- Okay, Zap! You may go solo –
Le parole dell'istruttore mi giungono come musica via interfono dal cockpit posteriore del Canadian T 6 Harvard fermo sulla linea di parcheggio col motore ancora in moto.
Any questions, any problems before I climb oft,Zap?, aggiunge.
No Sir! No questions, no problems, mi affretto a rispondere.
Sono emozionato, felice, eccitato.
È il 13 ottobre 1954, il più bel giorno della mia vita!
L'istruttore armeggia ancora un po', in piedi là dietro: sta bloccando le cinghie del sedile.
Non vedo l'ora che scenda, che se ne vada.
Dai, esci, scendi, lasciami solo.
Ecco, finalmente: lo vedo scavalcare il bordo dell'abitacolo e chiudere con un colpo secco il tettuccio posteriore.
You may go Zap, mi urla nel frastuono.
Mi batte sulla spalla e salta a terra, investito dal flusso dell'elica che fa svolazzare il suo equipaggiamento.
Si allontana di qualche passo e si volta, mostrandomi il pollice della mano destra alzato.
Sono solo a bordo.
Solo!
È una sensazione di grande sollievo; piacevole, indescrivibile.
Di colpo mi sento diventato importante.
Anche il velivolo, ora che è tutto in mano mia, mi sembra più importante, più grande.
Dovrò fare un decollo, un circuito intorno al campo e un atterraggio: dieci minuti in tutto, forse meno.
Andrà tutto bene - lo sento - e saranno i minuti più belli, più emozionanti della mia vita!
Un po' teso sui comandi, ma con l'animo più leggero che mai, chiedo alla torre di controllo di rullare.