piloti del 51° decollano da Catania, per raggiungere Leece;
i Macchi ed i Reggiane volano in pattuglie di quattro, cinque unità, scalate nel tempo; una di queste pattuglie è formata da sottufficiali vecchi del reparto, gente con gli zebedei grossi così, che ha fatto tutta la campagna di Russia, poi ha volato nel cielo tremendo del Mediterraneo negli ultimi mesi precedenti l'armistizio.
Sono i sergenti Munarin e Ferrini, il sergente maggiore Baldini ed il maresciallo Zedda.
Ad un tratto, appena in vista della costa calabra, il velivolo di Munarin fa le bizze, ed il pilota è costretto ad abbandonare la formazione e a cercare un pezzo di terra decente ove tentare di atterrare.
Munarin, con un po' di fortuna e tanta praticaccia, riesce a non accopparsi, eseguendo un atterraggio al limite, nei campi attorno al paese di San Crispino.
Gli altri tre proseguono ma, mentre stanno ancora pensando a come se la sarà cavata il loro compagno, anche l'aeroplano di Zedda comincia a denunciare noie al motore.
Dapprima qualche perdita di colpi, poi il numero dei giri diminuisce progressivamente: solite moine, ma che non risolvono nulla.
Zedda aguzza la vista e vede in mezzo ai brulli crinali delle montagne calabre un prato che può fare al caso suo.
Sembra un fazzoletto, ma il Macchi dovrebbe starci dentro;
in ogni modo il motore ormai non tiene più, per cui non è il caso di star a scegliere: giù il muso ed in bocca al lupo!
Continue correzioni di cloche per scavalcare gli ultimi ostacoli, dossi, massi, piante, poi ecco il pianoro: barra tutta avanti, tolto contatto al motore; barra di nuovo contro lo stomaco ed il pilota si irrigidisce contro lo schienale del seggiolino.
Un fruscio, poi un rumore sordo sotto la pancia dell'aereo, sobbalzi continui, scricchiolii che denunciano che il caccia ha toccato terra.
i Macchi ed i Reggiane volano in pattuglie di quattro, cinque unità, scalate nel tempo; una di queste pattuglie è formata da sottufficiali vecchi del reparto, gente con gli zebedei grossi così, che ha fatto tutta la campagna di Russia, poi ha volato nel cielo tremendo del Mediterraneo negli ultimi mesi precedenti l'armistizio.
Sono i sergenti Munarin e Ferrini, il sergente maggiore Baldini ed il maresciallo Zedda.
Ad un tratto, appena in vista della costa calabra, il velivolo di Munarin fa le bizze, ed il pilota è costretto ad abbandonare la formazione e a cercare un pezzo di terra decente ove tentare di atterrare.
Munarin, con un po' di fortuna e tanta praticaccia, riesce a non accopparsi, eseguendo un atterraggio al limite, nei campi attorno al paese di San Crispino.
Gli altri tre proseguono ma, mentre stanno ancora pensando a come se la sarà cavata il loro compagno, anche l'aeroplano di Zedda comincia a denunciare noie al motore.
Dapprima qualche perdita di colpi, poi il numero dei giri diminuisce progressivamente: solite moine, ma che non risolvono nulla.
Zedda aguzza la vista e vede in mezzo ai brulli crinali delle montagne calabre un prato che può fare al caso suo.
Sembra un fazzoletto, ma il Macchi dovrebbe starci dentro;
in ogni modo il motore ormai non tiene più, per cui non è il caso di star a scegliere: giù il muso ed in bocca al lupo!
Continue correzioni di cloche per scavalcare gli ultimi ostacoli, dossi, massi, piante, poi ecco il pianoro: barra tutta avanti, tolto contatto al motore; barra di nuovo contro lo stomaco ed il pilota si irrigidisce contro lo schienale del seggiolino.
Un fruscio, poi un rumore sordo sotto la pancia dell'aereo, sobbalzi continui, scricchiolii che denunciano che il caccia ha toccato terra.