Sì, ho amato un aeroplano!
Qualcuno dirà che è impossibile, che si tratta di una battuta, eppure è vero, è capitato a me come credo sia capitato a tanti altri piloti.
Un uomo è un uomo e un aeroplano è un aeroplano, eppure venne un giorno nel quale uomo e aeroplano furono una cosa sola!
E' una storia d'amore di tanti anni fa, nata nei cieli infuocati della guerra.
In squadriglia, la vecchia gloriosa 93a dell'8° Gruppo Caccia, mi avevano assegnato il Macchi 200 con il n. 4, un apparecchio scontroso più di quanto già lo fosse per sua origine, tanto che alla prima manovra un po' violenta mi aveva risposto con una altrettanto violenta autorotazione.
Per qualche tempo convivemmo con distacco, andavamo in azione, partenze su allarme, scorte alle navi, ricognizioni, ma io lo pilotavo sempre con una certa diffidenza finché un giorno, al rientro da una missione, avvenne il colpo di fulmine.
Era uno di quei giorni magici, misteriosi, che sconvolgono tutto e di colpo aprono, dentro, nuove prodonde tracce e nulla si può spiegare: avvengono!
Ero in alta quota, solo, in un infinito purissimo azzurro dove si rincorrevano manciate di grandi nuvole bianche, architetture fantastiche fra sciabolate di sole, alte montagne e grandi laghi azzurri, profonde vallate e cattedrali e torri e pareti vertiginose.
Mi tuffai sotto un batuffolo candido e poi tirai su a circondarlo con un morbido looping e poi di seguito virate in piedi e capriole fra spume trasparenti.
Allungando un braccio avrei potuto acchiappare una nuvola e mi sentivo grande, invulnerabile e nello stesso tempo infinitamente piccolo per una immensa Presenza che sentivo sopra di me. Tutto era musica e cantavo, leggero, senza peso ed io e il mio n. 4 ora eravamo una sola creatura che si librava in una danza inebriante a disegnare arabeschi nelle profondità dell'azzurro.
Qualcuno dirà che è impossibile, che si tratta di una battuta, eppure è vero, è capitato a me come credo sia capitato a tanti altri piloti.
Un uomo è un uomo e un aeroplano è un aeroplano, eppure venne un giorno nel quale uomo e aeroplano furono una cosa sola!
E' una storia d'amore di tanti anni fa, nata nei cieli infuocati della guerra.
In squadriglia, la vecchia gloriosa 93a dell'8° Gruppo Caccia, mi avevano assegnato il Macchi 200 con il n. 4, un apparecchio scontroso più di quanto già lo fosse per sua origine, tanto che alla prima manovra un po' violenta mi aveva risposto con una altrettanto violenta autorotazione.
Per qualche tempo convivemmo con distacco, andavamo in azione, partenze su allarme, scorte alle navi, ricognizioni, ma io lo pilotavo sempre con una certa diffidenza finché un giorno, al rientro da una missione, avvenne il colpo di fulmine.
Era uno di quei giorni magici, misteriosi, che sconvolgono tutto e di colpo aprono, dentro, nuove prodonde tracce e nulla si può spiegare: avvengono!
Ero in alta quota, solo, in un infinito purissimo azzurro dove si rincorrevano manciate di grandi nuvole bianche, architetture fantastiche fra sciabolate di sole, alte montagne e grandi laghi azzurri, profonde vallate e cattedrali e torri e pareti vertiginose.
Mi tuffai sotto un batuffolo candido e poi tirai su a circondarlo con un morbido looping e poi di seguito virate in piedi e capriole fra spume trasparenti.
Allungando un braccio avrei potuto acchiappare una nuvola e mi sentivo grande, invulnerabile e nello stesso tempo infinitamente piccolo per una immensa Presenza che sentivo sopra di me. Tutto era musica e cantavo, leggero, senza peso ed io e il mio n. 4 ora eravamo una sola creatura che si librava in una danza inebriante a disegnare arabeschi nelle profondità dell'azzurro.