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    Croci rosse, fiaschi e cannonate

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    Messaggio  Red_Group Sab Nov 15, 2008 12:44 am

    Il 25 Novembre 1941, alle ultime luci serali e senza gregari, silurai una navicella ferma fuori del porto di Tobruch.
    Era illuminata in modo che io ritenni necessario ad agevolare le sue operazioni di scarico.
    Non la colpii, perché forse il siluro si guastò o forse le passò sotto, tanto era piccina.
    Fu una fortuna perché, dopo il lancio del siluro, il mio marconista Aldo Becatti si accorse che era una nave ospedale, perché era illuminata e perché le luci stesse gli consentirono di scorgere una croce rossa dipinta su una sua fiancata. Chiesi scusa per radio, in italiano e su una frequenza internazionale, spiegando che non mi ero accorto che era una nave ospedale.
    L'episodio è riferito dal Generale Giuseppe Santoro, già Sotto capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, nel suo libro sulla storia dell'Aeronautica in guerra.
    Quella prima croce rossa, apparsa tra le fortuite circostanze del mio racconto, e il fallito siluramento della nave ospedale, mi portarono veramente fortuna, come vedremo.
    Ma l'incontro con un'altra nave ospedale, pochi giorni dopo, fu più strettamente connesso col finale del mio racconto.
    Un'altra circostanza casuale, più divertente, accadde negli ultimi giorni di novembre, quando un mattino incontrai un Ufficiale della "Luftwaffe" che, insieme ad un interprete, gironzolava incuriosito intorno a un mio aeroplano dotato di siluro.
    Mi presentai ed invitai i due a colazione.
    Si trattava del Tenente Colonnello Christ, che in quei giorni sostituiva temporaneamente il Comandante della Luftwaffe in Libia, come mi riferì l'interprete Dottor Fuchs, che prima e dopo la guerra diresse a Roma un importante istituto italo-germanico di cultura.
    Passando accanto alla baracca della mensa Christ adocchiò un mucchio di fiaschi vuoti e me ne chiese un certo numero, per mettervi dentro del caffè crudo che voleva spedire alla moglie, ed evitare, così, che il caffè ammuffisse.
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    Messaggio  Red_Group Sab Nov 15, 2008 12:45 am

    Aderii di buon grado alla sua richiesta e gli regalai anche una cassa di fiaschi di buon Chianti.
    Dopo il brindisi Christ mi domandò come poteva contraccambiare i miei doni ed io gli chiesi il cifrario e la frequenza radio dei suoi ricognitori, in modo da poterne utilizzare tempestivamente i segnali di scoperta di navi.
    Christ aderì alla mia richiesta e il giorno dopo mi mandò un Tenente con quanto desideravo. Insomma, col Chianti avevo corrotto, o se volete convinto, un rigido e potente Ufficiale Superiore germanico, che in quei giorni sostituiva nientemeno che il Generale Kesserling . Avvertii subito il Generale Raffaelli della mia iniziativa e misi il bravo marconista Becatti in ascolto sulla frequenza dei ricognitori tedeschi.
    Così, il 1° dicembre, verso le undici del mattino, sapemmo dai ricognitori germanici che, poco prima, quattro navi da guerra britanniche erano passate a sole dieci miglia a nord di Derna, con rotta est e a gran velocità.
    Bisognava dunque raggiungerle, prima che fossero protette dai caccia.
    Solitamente frettoloso e nervoso, quella volta lo divenni come non mai, e concitatamente telefonai al Colonnello Capo di Stato Maggiore del Comando di Settore, per avere subito l'autorizzazione al decollo con due gregari.
    Lui mi rispose, con molta flemma, che
    il Generale Raffaelli era fuori sede e che era difficile trovarlo telefonicamente, per chiedergli il permesso da me richiesto.
    Allora feci finta di non capirlo a causa di un immaginario guasto telefonico, e decollai in fretta e furia con gli indimenticabili gregari Aligi Strani e Pinotto Coci.
    Assunta rotta est, sul traverso di Tobruch avvistammo un grosso piroscafo, che con rotta sud andava verso il porto, in pieno giorno, ora insolita per le navi dirette alla piazzaforte assediata. Era un obiettivo facile ed importante, per ostacolare i rifornimenti a Tobruch.
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    Messaggio  Red_Group Sab Nov 15, 2008 12:45 am

    Seguito dai gregari lo puntai, ma poi... vidi una croce rossa dipinta sulla sua fiancata. "Ancora una croce rossa, questa è una persecuzione", pensai. Desistetti dall'attacco, accostai un poco a sinistra, passammo tutti e tre dietro la poppa della nave e proseguimmo verso est.
    Poco dopo avvistammo le quattro unità segnalateci dai tedeschi: erano due incrociatori con due cacciatorpediniere ai loro lati, molto accostati tra loro e in linea di fronte, ad alta velocità, come risultava dalle loro scie spumeggianti.
    A tutto motore ci avvicinammo alle navi salendo un po' in quota ed entrando e uscendo da un banco di nuvolette esteso alla loro destra.
    Arrivato alloro traverso virai a sinistra e picchiai a capofitto per scendere rapidamente alla quota di cento metri, necessaria per il lancio del siluro.
    Lo mollai a breve distanza dalla prima unità a destra della formazione, mentre le navi concentravano i loro tiri contro il mio velivolo, che era in testa alla pattuglia.
    Subito dopo il lancio effettuai un'elegante virata a destra, in cabrata, ma il velivolo fu subito colpito all'estremità dell'ala destra, poi al carrello che venne fuori dal suo alloggiamento gravemente lesionato (come accertarono i miei specialisti di bordo), infine furono colpiti i serbatoi della benzina, che miracolosamente non si incendiò.
    Tuttavia ne perdevo un grosso flusso, nebulizzato in una scia fumosa.
    Fino all'atterraggio temetti l'esaurimento del carburante.
    Dopo il mio lancio la formazione navale si allargò e si scompigliò, tanto che Strani riuscì a silurare il mio stesso obiettivo sul lato destro e Coci su quello sinistro.
    Poi ambedue mitragliarono le altre navi, prima di sorvolarle.
    In questi casi alcuni serventi delle mitragliere delle navi scappavano in cerca di riparo e la massa di fuoco diminuiva sensibilmente.
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    Messaggio  Red_Group Sab Nov 15, 2008 12:46 am

    Pertanto anche io, dopo il lancio del siluro, avrei dovuto fare altrettanto, anziché esibirmi in una piroetta, sotto il fuoco nemico.
    Dopo essermi tanto celebrato, un po' di autocritica non guasta.
    Ma quell'esperienza mi servì in altre occasioni.
    Nel parapiglia successivo al mio lancio un solo siluro colpì, a poppa, il cacciatorpediniere "Jackal".
    Dio solo sa chi di noi tre lo abbia colpito, perché credo che in quella confusione neanche gli inglesi lo abbiano realizzato.
    Mentre ci allontanavamo a tutto motore dalle navi, inseguiti dalle loro cannonate, in coda ai velivoli i nostri equipaggi videro che la nave colpita aveva la prua fuori dall'acqua e così credemmo che stesse affondando. Ma poi, dopo la guerra, si seppe che i suoi locali poppieri allagati furono isolati prontamente e che essa potette tornare ad Alessandria.
    Col carrello lesionato ero sicuro di fare un atterraggio pericoloso.
    A causa del blocco degli indicatori del livello del carburante non sapevo se avevo la benzina bastante a raggiungere l'aeroporto e una quota sufficiente al lancio in paracadute su di esso. Perciò rinunciai a salire in quota e, come Dio volle, raggiunsi l'aeroporto a bassa quota e a motori ridotti, per economizzare benzina.
    Decisi di atterrare lungo il limite nord del campo, per evitare che la carcassa del mio velivolo ostacolasse poi l'atterraggio di altri aeroplani.
    Come avevo previsto, appena toccato terra cedette il carrello, già sconquassato dai colpi dei fieri britanni, e il velivolo strusciò la terra con la fusoliera, sobbalzando.
    Temevo che una scintilla potesse scoccare per lo sfregamento della fusoliera stessa sul terreno sassoso.
    Ad ogni buon conto, per scendere in fretta dal velivolo appena fummo fermi, col carissimo secondo pilota Sergente Gioacchino Arcarisi sganciammo il tettuccio sovrastante i posti di pilotaggio, saltammo sulla ala e poi in terra, dove affondai le gambe fino al polpaccio in un laghetto di benzina, che in caso di scintilla avrebbe prodotto un micidiale falò.
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    Messaggio  Red_Group Sab Nov 15, 2008 12:46 am

    Intanto gli altri quattro dell'equipaggio erano già usciti ruzzolando dalla porta della fusoliera, ancor prima che il velivolo si fermasse.
    Per la soddisfazione di essere tornati tutti incolumi, di avere finalmente operato di giorno e di aver preso delle iniziative tanto pericolose quanto fortunate, ringraziai Dio, e tuttora lo ringrazio per avermi concesso di servire per tanti anni la Patria, nella buona e nella avversa sorte.
    Quale esempio di buona sorte ricordo la giornata del 1° dicembre 1941 come la più bella nella mia vita di combattente, al tempo ormai lontano della giovinezza.

    Aeronautica Ottobre 1989

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