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    Ten.Col. Ernesto Botto

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    Messaggio  Red_Group Mar Dic 09, 2008 11:50 pm

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    Il tenente colonnello Ernesto Botto, decorato di medaglia d' oro al valor militare, meglio conosciuto in aviazione come «Gamba di ferro».
    La sua vicenda, dalla quale nacque uno dei più significativi emblemi che l' aviazione abbia avuto, ebbe inizio in Spagna.
    Alba del 12 ottobre 1937.
    Dal campo di Saragozza partono per una crociera di vigilanza sull'Ebro la 31a e la 32a squadriglia del 6° gruppo, su diciotto apparecchi CR.32.
    Il capitano Borgogno è in testa con cinque apparecchi; seguono il tenente Neri con una pattuglia di quattro, il capitano Botto con una di cinque e il tenente Molinari con una di quattro.
    Fa un po' freddo.
    L'Ebro è in piena, ma dall'alto l'impeto delle acque appare attenuato.
    Sulla sponda destra la città, dominata dalle cupole della Virgen del Pilar, sembra ancora addormentata.
    D'un tratto Borgogno batte le ali, tutti sussultano, aguzzano lo sguardo e avvistano in distanza otto bombardieri russi tipo Katiuska con una ventina di caccia Curtiss in scorta diretta e altrettanti Rata più alti.
    Il primo impulso sarebbe quello di attaccare subito, ma la disciplina di volo impone di seguire compatti il comandante che manovra per portarsi in condizioni di vantaggio.
    I piloti tolgono le sicure, si inumidiscono le labbra con la lingua e si assestano bene sui seggiolini.
    Tra poco ci siamo.
    All'improvviso, senza che si possa capirne la ragione, dalla pattuglia di Neri si stacca un apparecchio che si butta dritto sui bombardieri.
    Addio!
    Gli altri compagni gli si precipitano dietro quasi volessero agguantarlo e Borgogno, imprecando, è costretto a iniziare subito il combattimento contro i Curtiss e i Katiuska, sapendo di avere sulla testa venti Rata.
    La sua squadriglia, la 31a, comincia la giostra in posizione sfavorevole: butta giù un Curtiss, nella foga due nostri si scontrano, un altro apparecchio avversario va giù, poi cadono ancora due nostri e poi ancora due rossi.
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    Messaggio  Red_Group Mar Dic 09, 2008 11:51 pm

    Le perdite fino a quel momento sono pari, dato che i bombardieri hanno già sganciato e invertito la rotta, ma Borgogno è rimasto con cinque apparecchi contro sedici; per fortuna si tratta di piloti di prim' ordine che, a furia di virate, rovesciamenti improvvisi, picchiate di disimpegno e arrampicate in candela, riescono ad evitare il peggio e ad ubriacare gli avversari fino a che questi, che non hanno molta autonomia, mettono la prua a levante e si allontanano.
    Chi ha salvato la 31a dall' attacco dei Rata è stato Botto che li ha affrontati con la sua squadriglia, impedendo loro di interessarsi di quanto avveniva più in basso.
    Ha portato la 32a in vantaggio di luce e ha impegnato i venti avversari a 4.500 metri di quota, abbattendo il loro capoformazione.
    I suoi gregari non sono da meno, fanno precipitare altri due Rata un CR. va giù, ma arrivano in quota i cinque della 31a e allora altri otto avversari vanno a schiantarsi per terra: quindici a cinque.
    Botto è esultante e prosegue la giostra con accanimento perchè gli altri questa volta non cedono e continuano ad attaccare.
    All'improvviso sente a bordo un colpo secco, avverte un dolore acuto che non riesce a localizzare e l' apparecchio gli si mette in vite.
    Notando che non riesce a riprenderlo, Botto da una rapida occhiata dentro e vede con raccapriccio che ha la gamba destra fracassata e che il piede è arrivato fino al seggiolino; senza capire in che modo, riesce a rimettere in assetto l' aeroplano, sente l' anima che se ne va col sangue, intravede il campo, lo punta, stringe i denti fino a farsi male, scivola d' ala e atterra quasi dissanguato.
    All' ospedale gli tagliano la gamba, gli fanno dieci trasfusioni, lo tengono su come possono, tutti parlano di lui, qualcuno prega, e non c'e aviatore legionario che, andando a Saragozza, non trovi il tempo e il modo di raggiungere l'ospedale per vederlo o per chiedere di lui.
    Quando, dopo un lungo periodo di degenza, egli ritorna al campo con le stampelle e con la gamba destra dei calzoni ripiegata sul moncherino e appuntata in alto, è difficile per i colleghi nascondere la commozione.
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    Messaggio  Red_Group Mar Dic 09, 2008 11:51 pm

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    E’ difficile anche per lui quando vede che, sulla fusoliera degli apparecchi del reparto, spicca un nuovo distintivo:
    una gamba di ferro completa di gambale, cosciale e ginocchiello.
    Quando Botto rientrò in Italia, ebbe inizio la fase più difficile della sua vicenda: i festeggiamenti, la notorietà, la solenne consegna della medaglia d'oro sull'Altare della Patria erano tutte cose molto lusinghiere, ma un po' frastornanti.
    Naturalmente gli facevano piacere; ma ciò che gli interessava di più era la ripresa dei voli e lui sapeva che nessun istituto medico-legale l' avrebbe autorizzato se non fosse arrivato un ordine dall' alto.
    Questo tardò fino a quando a Roma non ebbero la certezza che l'ufficiale si era ormai abituato all' arto artificiale, ma alla fine arrivò e Botto potè tornare a Gorizia.
    Comandava allora il4° stormo il colonnello Grandinetti, un pilota della Prima guerra mondiale che aveva dei vecchi aviatori l' esperienza e il buon senso. Considerato che l'idoneità al pilotaggio di «Gamba di ferro» era stata concessa soltanto «a doppio comando», cioè comportava la presenza di un altro pilota a bordo, mise a fianco del mutilato il tenente Pezzè, che era il miglior istruttore del reparto, e lasciò che i due se la sbrigassero da soli.
    Difficoltà da superare anche senza colonnelli di mezzo, ce n'erano fin troppe, a cominciare da quella di mettersi al posto di pilotaggio.
    Un aereo da caccia non è un'autovettura nella quale, bene o male, ci si riesce ad infilare anche con una gamba «gigia»; per raggiungere l' abitacolo, che è sempre angusto è complicato dalla presenza della cloche, delle cinghie e di altri imbrogli, bisogna arrampicarsi sul fianco della fusoliera servendosi di staffe fisse piuttosto scomode per chi ha una gamba sola.
    Ma Botto aveva dalla sua la passione per il volo e la testardaggine piemontese e Pezzè aveva la vocazione dell'istruttore, che è fatta di esperienza, passione e pazienza.
    A furia di tentativi, di prove, di adattamenti e di tenacia, il sistema per salire a bordo e per scendere fu trovato; una volta fatto questo, si trattò di trovare un altro sistema per poter agire sulla pedaliera, avendo un piede artificiale.
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    Messaggio  Red_Group Mar Dic 09, 2008 11:52 pm

    Tutto sommato non c' era nulla di meglio che fissare il piede buono con una cinghietta: quando c' era da spingere avanti il destro, che era inerte, si tirava indietro il sinistro e il risultato era lo stesso.
    Per il resto, dato che Botto non aveva perduto la sua sensibilità e la sua prontezza di riflessi, non c' erano preoccupazioni; o meglio, ce n' era una riguardante quella benedetta limitazione del «doppio comando» che gli dava un' avvilente sensazione d'inferiorità.
    E’ vero che la locuzione, nella sua genericità, si prestava ad interpretazioni di comodo, che gli consentivano di volare anche come istruttore dei piloti di nuova assegnazione, perchè sempre «doppio comando» era.
    Ma questi sotterfugi interpretativi non risolvevano il problema principale: alla caccia, dove gli aerei sono monoposto, o si è autorizzati a volare da soli o ci si deve rassegnare a compiti addestrativi e di scuola.
    E Botto non voleva rassegnarsi.
    L'idea di chiedere ufficialmente l'autorizzazione a volare da solo fu presa in esame e discussa a lungo con Pezzè, ma dovettero scartarla perchè nessuno si sarebbe preso la responsabilità di accordare un permesso simile.
    «Gamba di ferro» era ormai una bandiera ed esporlo a un rischio equivaleva ad esporsi a un rischio più grave.
    Tanto valeva non esporre nessuno e mettere tutti di fronte al fatto compiuto.
    Tutti meno uno: ancora oggi Botto dice di essere convinto che il colonnello Grandinetti aveva capito che qualcosa si stava preparando e fece finta di non accorgersene soltanto per non intralciare il tentativo.
    Sapeva che, se fosse avvenuto un incidente, ci sarebbe andato di mezzo lui, perchè un comandante è sempre responsabile di quanto avviene al suo reparto. Ma i vecchi aviatori sono capaci di questi gesti generosi.
    La carriera?
    SI, la carriera è importante e a tutti fa piacere mettere le spalline d' oro e diventare un «signor generale».
    Però è anche importante che un pilota valoroso come Botto possa riacquistare completa fiducia in se e dimostrare di essere ancora in grado di comandare un reparto senza limitazione alcuna.
    Una sera, quando le aviorimesse vengono chiuse, un CR.32 rimane fuori col motore in moto; probabilmente devono provarlo, pensa Grandinetti, e non si meraviglia che Botto sia rimasto li per assistere alla prova.
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    Messaggio  Red_Group Mar Dic 09, 2008 11:52 pm

    La notizia che Botto aveva decollato da solo e che tutto era andato liscio provocò, come era prevedibile, un'apparente esplosione d'ira seguita da diverse reali esplosioni di bottiglie di spumante.
    Poi ci fu l'inchiesta, la relazione e, infine, l' autorizzazione per il volo su monoposto:
    l' aviazione italiana aveva riacquistato un pilota di classe, un comandante stimato da tutti.
    Da allora Botto portò a Berlino una pattuglia acrobatica di nove apparecchi, assunse il comando del 9° gruppo, lo guidò in guerra su Malta e in Africa settentrionale, fu rimpatriato in volo con la testa rotta per un grave incidente d'auto, guarì ancora una volta, fu rimandato a Gorizia per dirigere la Scuola Caccia, assolse per due anni i compiti d'ispettore della specialità e, nella primavera 1943, riuscì ancora una volta a venir fuori da un altro grave incidente col minimo dei danni.
    Si stava addestrando sui Macchi 202 perchè avrebbe dovuto assumere il comando del 1° stormo; un addestramento coscienzioso in quanto andavamo verso tempi brutti e, per comandare bene un reparto, era indispensabile conoscere a fondo le possibilità delle macchine con le quali si doveva operare.
    Durante un volo in coppia con il maggiore Callieri, proprio al termine di una prova che comprendeva arrampicata veloce, evoluzioni in quota e un buon quarto d' ora di finta caccia, il motore dell' aereo di Botto piantò secco.
    Ciampino non era distante, fu raggiunto con un bel planè, ma l' aereo arrivò corto e il pilota, atterrando col carrello rientrato, si ferì anche la gamba buona.
    Quello sarebbe stato il momento adatto per smetterla di volare, sposarsi, accettare un incarico in un ufficio e non pretendere dal proprio fisico più di quanto potesse dare.
    Ma Botto non si considerava un invalido; in precedenza aveva rifiutato l' offerta di andare in Spagna come addetto aeronautico, perchè sosteneva che in guerra quei posti dovevano essere riservati a chi non poteva più volare, mentre lui poteva ancora.
    Se, dopo il nuovo incidente, ritenevano che sarebbe stato imprudente affidargli un reparto, sperava di essere rimandato di nuovo alla Scuola Caccia di Gorizia, dove qualcosa avrebbe ancora potuto fare.
    Il generale Fougier ne era pienamente convinto e lo rimandò lassù, dove si preparavano i rincalzi da immettere a ritmo continuo nei reparti per compensare le perdite.
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    Messaggio  Red_Group Mar Dic 09, 2008 11:53 pm

    Fu lassù che lo colse l' armistizio e, dopo una quindicina di giorni, la notizia della sua nomina a sottosegretario di Stato per l' Aeronautica del nuovo governo costituito da Mussolini.
    All'inizio non ci credette, sia perchè non era stato interpellato sia perchè nel comunicato ufficiale si parlava del «comandante Carlo Botto», mentre lui si chiamava Ernesto.
    Poi senti che veniva diramata la biografia di «Gamba di ferro» e capì che ce l'avevano proprio con lui.
    La sua reazione fu la più inattesa: visto che le cose si complicavano e minacciavano di compromettere tutto il suo avvenire, si sposò e porto la moglie in Piemonte per farla conoscere ai suoi genitori.
    Dopo di che raggiunse Roma e si mise al lavoro, seguendo un sistema cosi personale che più volte mise in imbarazzo il governo, il maresciallo Graziani, i tedeschi e gli aviatori che, rompendo gli indugi, si erano messi a sua disposizione, attratti dal suo nome e dalla sua rettitudine.
    Esordì passando alla radio e alla stampa un breve comunicato col quale informava gli aviatori che tutti i bandi precedenti, da chiunque emessi, non avevano alcun valore e che coloro che alla data dell'armistizio erano in servizio in aeronautica dovevano attendere le sue istruzioni.
    Le autorità tedesche reagirono subito chiedendo che il comunicato, da esse considerato offensivo venisse annullato e Botto rispose che lui considerava offensiva la richiesta di annullamento.
    Fece una raccolta di tutti i bandi contraddittori emessi in quel periodo e andò sul lago di Garda insieme al generale Tessari, per dimostrare al maresciallo von Richthofen che razza di confusione era stata eretta con tutti quegli ordini e contrordini e per iniziare le trattative per la costituzione dell' Aeronautica Repubblicana.
    Furono ricevuti dal capo di stato maggiore, colonnello Krist, il quale confermò che il maresciallo aveva considerato il famoso comunicato come un' offesa alle forze armate germaniche, e che non avrebbe dato inizio ad alcuna trattativa se prima il comunicato non fosse stato annullato.
    La risposta di Botto fu sconcertante nella sua semplicità:
    «Dite al maresciallo che mi rincresce averlo offeso, ma che l'annullamento del comunicato non risolverebbe nulla perchè la prima cosa che io chiederei aprendo le trattative sarebbe proprio l' emanazione di un comunicato assolutamente identico a quello che voi volete annullare».
    Il colonnello Krist, che conosceva bene la nostra lingua, capì di avere a che fare con un italiano di tipo prussiano, prima ancora che l'interprete avesse finito di tradurre.
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    Messaggio  Red_Group Mar Dic 09, 2008 11:53 pm

    Un inizio così brusco non era fatto per semplificare le cose e Botto rientrò a Roma senza aver risolto nulla, ma il suo sistema di contrapporre a un tedesco un tedesco e mezzo finì con l' assicurargli la stima e la simpatia della controparte e fu lo stesso von Richthofen che, in uno dei numerosi colloqui successivi, gli consigliò di andare in Germania per trattare direttamente con il capo di stato maggiore della luftwaffe, generale Korten, le questioni più delicate.
    Korten, che doveva poi morire per le ferite riportate nell'attentato a Hitler del 20 luglio 1944, fu i conquistato dalla personalità del colonnello Botto e aderì sia alla sue richieste di materiale sia alle sue pressioni per far cessare la deportazione di aviatori italiani e far rimpatriare tutti quelli che volevano entrare nell' Aeronautica Nazionale Repubblicana.
    E’ superfluo sottolineare che un uomo in grado di tener testa ai tedeschi non aveva certo timori reverenziali nei confronti degli italiani.
    Pur agendo e parlando sempre con la massima correttezza formale, metteva in imbarazzo gli interlocutori di qualunque calibro con osservazioni che toglievano la pelle.
    Quando vide a Gargnano Vittorio Mussolini, che lui conosceva come maggiore d' aviazione, indossare un' altra divisa con i gradi di colonnello, disse al padre che non gli dispiaceva constatare che, dal disastro dell'8 settembre, qualcuno era riuscito a trarre vantaggio.
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    Messaggio  Red_Group Mar Dic 09, 2008 11:54 pm

    Anche col maresciallo Graziani, per il quale aveva molta deferenza e molta stima,le cose non andarono sempre lisce, soprattutto per la diversità di vedute nei rapporti con i tedeschi.
    Per manifestare apertamente il suo punto di vista sull' argomento, preparò una nota che invano i suoi collaboratori tentarono di fargli modificare, perchè assumesse un tono meno aspro.
    Essi sapevano che le precedenti asperità, se gli erano valse la stima degli aviatori tedeschi e la conseguente possibilità di costituire i primi reparti operanti, gli avevano inimicato altri ambienti che non tolleravano il suo irritante candore e la sua sconcertante franchezza.
    Ma da lui si potè ottenere con difficoltà soltanto qualche insignificante attenuazione che lasciò sostanzialmente immutato il tono dello scritto: più che una manifestazione di fronda, sembrava un' espressione di sfida e di opposizione, due cose che in quel periodo non erano ammesse.
    «Gamba di ferro» rimase in carica ancora qualche tempo, ma nel marzo del 1944 apprese dal sottosegretario alla Presidenza Barracu, come lui mutilato e come lui decorato di medaglia d' oro, che Mussolini aveva deciso di accettare le sue dimissioni.
    Quando la notizia fu ufficialmente diffusa, si ebbe nei reparti d'impiego qualche reazione, perchè molti aviatori avevano tagliato i ponti con il passato e avevano accettato di continuare a combattere in condizioni assurde perchè a comandarli c' era lui, «Gamba di ferro», un pilota mutilato che aveva ripreso a volare e che aveva rifiutato un comodo posto di addetto aeronautico all' estero dicendo che, come già riferito, durante la guerra lui preferiva combattere.
    Botto si ritirò a casa sua in Piemonte, protetto dalla sua fama di galantuomo che in quel tragico periodo fece sì che egli fosse rispettato da tutti, perchè perfino quelli che erano dalla parte opposta vegliavano su di lui.
    Contro le noie dell' epurazione si protesse da solo e rimandò indietro il questionario ministeriale precisando che non riteneva necessario rispondere dato che tutto quanto lo riguardava poteva essere trovato nel suo libretto personale.

    Tratto da Aviatori Italiani

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