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    Com.te Luigi Gorrini

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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:13 pm

    Com.te Luigi Gorrini Gorrin10
    Sarebbe facile, parlando di un aviatore, dire che fin da ragazzo aveva desiderato volare.
    Ma non è cosi; a Luigi Gorrini gli aeroplani non interessavano.
    Non si divertiva nemmeno a far volare quei piccoli aerei di carta che i suoi compagni di scuola costruivano con i fogli di quaderno e che volteggiavano in eleganti figure compiendo, entro certi limiti, tutte le manovre di un aeroplano vero.
    A Fidenza, Pietro Gorrini, suo padre, aveva aperto un'officina meccanica, e lui passava le ore più belle della sua fanciullezza rovistando alla scoperta di viti, bulloni e pezzi inutilizzabili che raccoglieva e montava dando al tutto una forma che potesse somigliare a una motocicletta immaginaria, imitandone il rumore con la bocca.
    ***
    Si era abituato a mangiare velocemente per finire prima dei familiari e poter cosi andare in officina.
    Una volta, sapendo che il padre si sarebbe trattenuto in casa per il consueto sonnellino pomeridiano, si impossesso della Guzzi e, attraverso strade secondarie, si porto sulla via Emilia in direzione di Alseno (un borgo in provincia di Piacenza ove e nato, e non molto distante da Fidenza).
    Dopo aver percorso due chilometri, incontrò due motociclisti della Milizia Stradale, che, vedendo un ragazzo in calzoncini corti, alla guida di tanto veicolo, gli intimarono con la mano di fermarsi.
    Ma il gesto ebbe per lui lo stesso effetto che può avere per un corridore il segnale di partenza in una gara motociclistica.
    Perciò, via a tutto gas, inseguito dalla pattuglia in un polverone indescrivibile.
    Buttatosi sulla strada di Vemasca - Bardi che portava a Castelnuovo Fogliani, si diresse a Scipione, sempre tallonato dai militi che non riuscivano ad accorciare le distanze, e giunse presso il torrente Stirone.
    Ma qui, mentre si aspettava un ponte su cui transitare, si trovò davanti una striminzita passerella di legno costruita per il passaggio dei pedoni. Senza esitazione si diresse sul legname traballante, e con un miracolo di equilibrio si portò sull'altra riva dove prosegui su per i tornanti verso Scipione alto.
    In una curva si volse a guardare in basso verso i suoi inseguitori.
    Essi erano Ia, fermi davanti a quelle tavole ballerine, su cui non osavano passare.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:14 pm

    Gorrini compì il primo volo il 15 dicembre bordo di un CR20, che pilotò come solista dopo soltanto tre ore e quarantacinque primi.
    Per conseguire il brevetto esegui voli per complessive 25 ore come solo pilota a bordo.
    La facilità con cui sapeva adattarsi ai comandi di aeroplani diversi coordinando i propri movimenti a seconda delle caratteristiche delle macchine,lo aveva fatto apprezzare non soltanto dagli istruttori, ma gli aveva fatto guadagnare anche la simpatia degli altri allievi benchè fossero tutti del corso precedente al suo; tanto più che, quando si trattava di combinare qualche scherzo, non si tirava mai indietro.

    Ma se questo ragazzo era cosi terribile a terra, non lo era di meno quando si trovava per aria; e ben lo potrebbero dire quei turisti che mentre stavano godendosi una gita in mare su una barca a vela al largo di Manfredonia, si erano visti salutare troppo da vicino da due CR.20 tanto che temendo di venire investiti dagli aerei, avevano preferito gettarsi in mare.
    Ma uno era rimasto in piedi sullo scafo, e aveva indirizzato un saluto non molto riverente a Gorrini che in quel momento stava cabrando.
    Il pilota lo aveva visto benissimo, e con una stretta virata era tornato indietro ed aveva puntato sulla barca cosi basso che, nella richiamata, aveva agganciato la vela con il pattino di coda, e l'aveva letteralmente strappata dall'albero.
    Sulla via del ritorno, Scarrone aveva cercato in ogni modo di richiamare la sua attenzione ma inutilmente, perchè Gorrini, credendo che lui si complimentasse per la bella esibizione, sorrideva divertito.
    Se ne accorse soltanto dopo l'atterraggio e dopo che l'istruttore, ostentando la più grande indifferenza, gli aveva chiesto:
    «Allora, e andato tutto bene?»
    «Si»
    «A che quota hai volato ?»
    «A mille metri»
    «…E chi ha steso quella biancheria a mille metri ?»
    L'istruttore sapeva molto bene quali potevano essere le conseguenze per il suo allievo se il fatto fosse stato conosciuto dal coman ante, e si incarico personalmente di far sparire la vela mantenendo il più rigoroso riserbo.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:15 pm

    Gorrini venne affidato alle cure del Serg.Magg. Bortolotti e del Serg. Magg. Ruzzin che era uno spericolato acrobata già ricco dell'esperienza di guerra acquisita nei cieli di Spagna; addestratissimo sotto ogni aspetto, si poteva quasi dire che per lui era più difficile andare a piedi che andare per aria.
    Da Ruzzin, Gorrini apprese i primi trucchi del mestiere, l'arte di giostrare per tenersi in coda all'avversario e trovarsi sempre a quota superiore, anche se di solo cinque o sette metri, per assicurarsi il più grande vantaggio in combattimento.
    Alle lezioni di finta caccia spiegata a terra, facevano seguito le prove di finta caccia in volo dove tutte le manovre erano rivolte allo scopo di mantenere la posizione di coda mentre l'avversario doveva cercare di svincolarsi.
    Una volta Ruzzin lasciò che Gorrini gli si ponesse alle costole, poi tirò su in cabrata inseguito da lui; subito dopo tolse improvvisamente motore e si rovesciò.
    Gorrini che gli era sotto, se lo vide cadere addosso come un masso e si buttò in picchiata per evitarlo trasformandosi cosi da inseguitore in inseguito.
    «E' un trucco che riesce coi pivelli» gli spiegò dopo.
    «Invece di picchiare, avresti dovuto proseguire meno cabrato per portarti fuori dalla linea della mia caduta.
    In questo modo saresti rimasto in quota, e mentre io avrei dovuto per forza continuare a cadere, tu avresti potuto approfittarne per picchiarmi addosso.»
    Erano le prime malizie del duello aereo, che dovranno riuscirgli utili in seguito, quando si tratterà di porre in gioco la vita stessa.

    Tratto da Vespa 2 – 85° Squadriglia
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:17 pm

    Primo scontro a fuoco
    Il 15 giugno tre gruppi da caccia partirono per un'azione combinata di mitragliamento su aeroporti della Provenza.
    Il 150° Gruppo attaccò alle ore 13 il campo di Cuers Pierrefeu, mentre alla stessa ora il 23° Gruppo proveniente da Cervere eseguì un attacco al suolo sul campo di Cannet des Maures.
    Il 18° Gruppo proveniente da Albenga si era intanto disposto a copertura.
    Il sergente Gorrini volava come secondo gregario del capitano Anelli; più avanti si trovava il maggiore Vosilla con due gregari della 83a squadriglia: il maresciallo Francesco Colombo e il sergente maggiore Eduo Parmigiani.
    A terra, il mitragliamento era iniziato.
    La contraerea reagiva senza riuscire a disturbare l'azione.
    Gli aerei francesi cominciavano a esplodere e ad incendiarsi, e dense colonne di fumo si levavano lente verso il cielo.
    Nel momento in cui Gorrini stava osservando lo svolgersi dell'attacco al suolo, due Dewoitine 520 uscirono come fulmini dalle nubi, e con due precise raffiche incendiarono i caccia di Colombo e di Parmigiani che si trovavano circa sulla verticale della costa.
    Fece appena in tempo a vedere aprirsi un paracadute, poi un altro; ma subito dopo dovette badare a se stesso perchè altri Dewoitine, in sezioni di due, attaccarono la formazione italiana buttandosi in mezzo agli apparecchi che subito si allargarono per impegnare combattimento. Era giunta l'occasione di mettere in pratica tutto il repertorio dei numeri di acrobazia tante volte provati.
    Ma il cielo era pieno di aerei: una settantina dei due gruppi in azione, più quelli nemici che non c'era tempo di contare.
    Trovandosi più allargato nella formazione, venne preso di mira da una raffica che sfrecciò davanti al muso del suo aeroplano.
    Da che parte doveva difendersi?
    Quei Dewoitine erano velocissimi e molto maneggevoli oltre che meglio armati (un cannoncino da 20 mm. e quattro mitragliatrici da 7,5 contro le due mitragliatrici da 12,7 del CR 42). Attaccavano da tutte le parti e ormai era nel bel mezzo del calderone.
    La violenza delle manovre che era costretto a compiere impediva l'afflusso del sangue al cervello provocando disturbi alla vista.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:18 pm

    Gli italiani avevano lo svantaggio di essersi fatti cogliere di sorpresa, ma dopo il primo momento si erano ripresi.
    Qualche aereo sprofondava tirandosi dietro una lunga scia di fumo nero.
    Un francese attaccò dal basso l'aereo del maresciallo Bartolini e con una raffica gli apri uno squarcio di cinquanta centimetri nell'ala superiore; ma il CR 42continuava a giostrare come se nulla fosse stato.
    Mentre Gorrini stava compiendo una virata, si trovò davanti un Dewoitine che nel corso del combattimento si era portato più basso.
    La distanza di tiro era molto favorevole, tanto che riusciva a vedere il casco del pilota dentro la cabina.
    Ebbe la tentazione di sparare, ma esitò.
    Sentiva che se avesse premuto il pulsante, la raffica avrebbe ucciso il francese che non si era nemmeno accorto di essere a tiro.
    In quelle condizioni gli sembrava di commettere un omicidio.
    Sensazioni di un istante, ma in un combattimento aereo, tutto è questione di attimi, e cosi il Dewoitine si porto fuori dalla linea di mira.
    Quando Gorrini si decise a tirare i suoi primi colpi, l'occasione di riportare la sua prima vittoria al suo primo combattimento era già svanita.
    Ma dietro a lui un altro CR 42 teneva d'occhio il francese e gli sparò una lunga raffica.
    Le traccianti si infilarono nel Dewoitine che precipitò lambito dalle fiamme.
    Poi il carosello rallento il suo ritmo e il combattimento si esaurì.
    Le formazioni si raccolsero per il rientro.
    Si cercò di contarsi a vicenda, ma non era facile.
    Qualcuno dei nostri era andato giù, e Gorrini pensava a Colombo e a Parmigiani che aveva visto scendere col paracadute.
    Quasi non voleva credere che non fossero più in volo, ma il pensiero che potessero essersi salvati sembrava consolarlo ogni tanto.
    Sotto di lui sfilavano il paesaggio della riviera nella bellezza dei suoi colori e il mare coi suoi nastri di spuma lungo le coste francesi e italiane uguali tra loro, senza gli apparenti confini che gli uomini avevano tracciato sulle carte.
    Ma sentiva che l'armonia della natura non aveva significato se doveva essere sovrastata dalla tragedia.
    Quando atterrò venne preso da un tremito che non riusciva a dominare.
    La visione dei due apparecchi in fiamme non gli lasciava prendere sonno: il cervello rintronava ancora dello schianto delle esplosioni, del crepitare delle armi e del rombo dei motori.
    Poco gli importava se in quella azione erano stati distrutti al suolo Quaranta o cinquanta apparecchi nemici.
    Quello che lo angosciava erano i cinque italiani che erano stati abbattuti in quella operazione, e in particolare l’incertezza sulla sorte dei suoi due amici.

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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:25 pm

    Erano le ore 11,05.
    Dopo aver preso quota, Gorrini si pose alla sinistra del tenente Melis comandante la 85a squadriglia, come suo primo gregario.
    Ormai si vedevano luccicare i B.17 sempre più distintamente.
    Non si notava la presenza di caccia di scorta.
    Il suo Macchi C.205 si arrampicava più velocemente e doveva tenerlo a freno per non sopravanzare il Macchi C.202 del suo comandante.
    Sentiva di potersi lanciare subito all'attacco, e ogni tanto, non sapendo calmare l'impazienza, gli manifestava con cenni della mano il desiderio di buttarsi all'assalto.
    E lo fece con tanta insistenza che alla fine riuscì a strappargli un gesto di consenso.
    Era lo spirito del cacciatore, per natura portato ad agire secondo la propria iniziativa, che lo faceva sentire entro certi limiti insofferente della disciplina di gruppo, che lo portava a staccarsene per buttarsi all'attacco, ormai immemore delle brutte esperienze precedenti.
    Aveva raggiunto la quota di ottomilacinquecento metri, e di lì scelse l'avversario.
    Mentre la caccia italiana dirigeva all'attacco di una seconda formazione, egli si lanciò sull'ultimo aereo di destra della prima formazione dei B.17. Le grandi e lunghe ali del bombardiere brillavano d'argento in tutta la loro superficie; solo sull'estremità dell'ala sinistra spiccava la grande stella bianca entro il disco azzurro.
    Le armi di bordo stavano orientandosi contro di lui, ed egli si preparò ad attaccare secondo la sua tecnica personale che lo ha reso famoso per i successi conseguiti.
    Era l'attacco a tre quarti di muso,che comportava la salita a quota superiore in coda al bombardiere, costretto dalla disciplina di volo a mantenere la formazione.
    Il caccia doveva poi sopravanzarlo e picchiare con una rovesciata davanti per dirigersi subito di tre quarti contro il suo muso a destra o a sinistra con un angolo di circa quarantacinque gradi.
    Gorrini eseguì la manovra, e quando si trovò in questa posizione, inquadrò bene il nemico nel collimatore, e a circa duecento metri sparò una prima raffica.
    I proiettili andarono a segno, ma senza alcun effetto apparente.
    Sparò una seconda raffica colpendo i motori di destra che subito si incendiarono.
    Tutto accadde nei pochi secondi che durò questo primo passaggio.
    Il suo Macchi C.205 era quasi sopra al B.17 e per evitare di esporlo di pianta ai tiri delle mitragliatrici, uscì a coltello sopra la fusoliera dell'aereo ormai condannato.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:26 pm

    Le mitragliere dorsali non potevano eseguire la repentina evoluzione, ed egli si trovò in coda inseguito dal tiro delle altre armi che dalla formazione serrata gli sparavano addosso con un volume di fuoco pauroso.
    Mentre stava eseguendo la virata per effettuare il secondo passaggio, vide sfilarsi i primi paracadute.
    I due motori di destra continuavano a bruciare rigando il cielo con una lunga scia di fumo nero sempre più denso, mentre parte dell'equipaggio si era già posto in salvo.
    Il bombardiere continuava però a mantenersi in linea di volo; bisognava abbatterlo ad ogni costo.
    Il piccolo aereo da caccia eseguì il secondo attacco mentre centinaia di traccianti gli si tendevano contro come una rete incandescente.
    Finalmente, al terzo assalto, dopo una lunga raffica, l'ala di destra fu nuovamente colpita.
    I longheroni non ressero allo sforzo, e cedette di schianto come tranciata da una forza irresistibile.
    Pezzi di lamiera infuocata furono proiettati in ogni direzione.
    L'enorme aereo, non più sorretto dalla portanza dell'ala infranta, si rovesciò sulla destra e cadde in una strettissima vite verticale mentre l'ala, avvolta dalle fiamme dei due motori, cadeva sfarfallando in un movimento di vite piatta impressole dall'effetto giroscopico delle eliche ancora in funzione.
    Gorrini scese fino a cinquemila metri per controllare la caduta della sua vittima.
    Sperava vivamente di veder aprirsi ancora qualche paracadute.
    Quello che più contava era l'avere impedito che il bombardiere portasse a segno il suo carico offensivo.
    Questa volta non aveva mirato alla cabina di pilotaggio, ma ai motori, e sperava che quegli aviatori si salvassero.
    Il B.17 andava a frantumarsi esplodendo con tutto il suo carico di bombe a circa un chilometro a nord dell'aeroporto di Nettuno.
    Questo tipo di bombardiere, tra i più grandi che siano stati impiegati nel conflitto.
    L'armamento difensivo permetteva di sparare in ogni direzione compatibilmente con l'angolazione di manovrabilità di ogni arma, in modo che un caccia era praticamente esposto alla reazione difensiva da qualunque posizione attaccasse.
    I così detti punti morti erano difficilissimi da inquadrare, e in ogni caso, non potevano essere mantenuti a lungo sotto tiro.
    Ogni pilota da caccia aveva le sue preferenze circa il modo di condurre l'attacco.
    In genere i tedeschi preferivano attaccare in coda, allo stesso livello dei bombardieri, perchè in tale posizione venivano a trovarsi sulle scie dei tubi di scarico dei motori e non potevano essere facilmente avvistati e presi di mira dai mitraglieri di coda.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:28 pm

    Gorrini preferiva attaccare nel modo di cui si è detto, perchè col passaggio a coltello sopra il bombardiere, si poneva nella condizione di virare più stretto offrendo il maggior bersaglio proprio quando il tiro incrociato degli altri bombardieri doveva cessare se non volevano
    correre il rischio di colpersi a vicenda.
    L'armamento del suo Macchi C.205, unito all’ esperienza tattica, alla decisione e al coraggio, aveva vinto la «regina dei bombardieri».
    La «Vespa 2» aveva saputo pungere nel punto giusto.
    Ben sapendo che la corazzatura del nemico, e soprattutto il perfetto equilibrio delle strutture portanti del B.17 facevano di questo aereo un formidabile incassatore di colpi, il tiro doveva essere concentrato nell'unico punto dove la Fortezza volante era più facilmente vulnerabile.
    Il più grande difetto di questo bombardiere era la facilita con cui prendeva fuoco, sicchè il tiro nell'aerea dei motori era sempre il più efficace.
    L'esplosione provocata dalla caduta del bombardiere fu così violenta che il Macchi C.205 venne scosso dallo spostamento d'aria.
    La fiammata della deflagrazione fu subito avvolta da dense nubi di fumo che si allargarono in volute roteando e salendo rapide verso il cielo.
    Spettacolo insieme tragico e imponente.
    Gorrini ebbe appena il tempo di sentire il sapore della vittoria, che venne subito scosso dal saettare di una gragnuola di proiettili traccianti che passarono davanti al suo apparecchio sulla destra e sulla sinistra perdendosi nel vuoto.
    Uno dei caccia americani, un Lockheed Lightning P.38 che accompagnava la formazione dei bombardieri in scorta indiretta e che si trovava sopra lo strato di nubi sotto cui volavano i B.17, aveva ricevuto per radio la chiamata di soccorso, e, messosi in caccia, aveva avvistato l'aereo italiano.
    Ora gli si avventava addosso sparando con tutte le sue armi: un cannoncino da 20 mm. e quattro mitragliatrici Colt Browning da 12,7.
    La scarica colse di sorpresa il nostro pilota che impreco contro se stesso per non essersi guardato alle spalle.
    In un combattimento aereo, la salvezza viene spesso dal torcersi il collo a guardare indietro perchè non ci si può mai fidare a credersi soli.
    Quando uno meno se lo aspetta e il momento in cui viene attaccato.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:29 pm

    Ormai non restava che una velocissima manovra di scampo.
    Da quel «manico» che è, sapeva benissimo che una picchiata non sarebbe servita a scrollarselo di dosso, avendo il nemico accumulato una maggiore velocità nell'affondata ed essendo troppo vicino.
    In certi momenti il ragionamento e l'intuizione sono un lampo in cui l'istinto, l'intelligenza e l'esperienza si compendiano determinando l'azione.
    Un rapido rovesciamento per uscire dalla mira dell'avversario e poi, con una veloce cabrata il Macchi 200 fece la barba alle nubi.
    Il Lightning gli era però sempre dietro e sparava, sparava in continuazione tallonandolo con quella tenacia che è caratteristica dei piloti da caccia.
    Ma Gorrini aveva ormai forato lo strato di nuvole che gli avevano celato l'insidia e che ora gli offrivano la salvezza.
    Adesso doveva contare unicamente sul volo strumentale badando soprattutto all'assetto di volo dell'apparecchio.
    Non è difficile, durante il volo nelle nubi, trovarsi senza accorgersene, a volare con la testa in giù.
    Posta quindi attenzione all’orizzonte artificiale e all'altimetro, attese che il P.38 proseguisse nel suo veloce volo al di sotto della stratificazione, e poi, uscendone con una stretta virata, riuscì ad avvistarlo e a porglisi in coda.
    Ora le parti del crudele gioco si erano invertite ed era il Macchi a tenere•sotto il tiro delle sue armi il caccia nemico che, ora picchiando, ora cabrando, cercava di sfuggire ai colpi di chi, fino a pochi istanti prima, avrebbe potuto essere la sua vittima.
    Ancora le nubi erano li ad offrire il loro soffice rifugio, e il caccia americano vi puntò deciso.
    Gorrini, dietro, come un segugio che abbia addentato la preda e non la vuole mollare, lo tenne sotto tiro fino a che una esplosione non segnò la fine del caccia nemico che andò a cadere presso il lago di Nemi.
    Con il combattimento Vespa 2 si era completamente staccato dalla formazione dei bombardieri.
    Si trovava solo nel cielo, con due vittorie riportate in pochi minuti.
    Chiunque si sarebbe sentito soddisfatto.
    Chiunque avrebbe provato quel senso di liberazione che subentra alla tensione di un duello all'ultimo sangue.
    Ma per il nostro pilota questa sensazione fu di breve durata.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:29 pm

    Un rapido controllo dell' efficienza del proprio apparecchio, e dei colpi che ancora gli rimanevano,l'istinto del cacciatore e il pensiero che ancora avrebbe potuto contrastare l'incursione impedendo a qualche tonnellata di bombe di raggiungere gli obiettivi, lo spingevano a cercare ancora il combattimento.
    Un veloce calcolo della sua posizione in rapporto alla direzione presa dalle Fortezze volanti, gli diceva che avrebbe potuto porsi con successo all'inseguimento.
    La velocità di un caccia è sempre superiore a quella di un bombardiere. Se si considera che la massima velocità di un B.17 era di circa cinquecento chilometri, mentre quella del Macchi C.205 si aggirava sui seicentocinquanta, si comprende come fosse possibile riprendere il contatto balistico.
    Infatti, tra Sulmona e Avezzano, Gorrini avvistò nuovamente i bombardieri, e mentre prendeva il vantaggio della quota, osservo lo spettacolo pur sempre maestoso ed esaltante che offriva l' ordinata formazione degli aeroplani che procedevano regolarmente intervallati, dondolandosi sospesi nell'aria, sospinti dalla potenza dei loro motori.
    Egli scelse il suo nuovo avversario.
    Era l'ultimo aereo di sinistra.
    E' facile immaginare la sorpresa degli aviatori americani che poco prima avevano visto precipitare il loro gregario di destra ad opera di quello stesso italiano così ostinato che non esitava a buttarsi da solo contro la barriera di fuoco delle micidiali armi di una formazione in volo serrato.
    L'allarme, all'intemo del B.17 fu dato probabilmente dal mitragliere di coda che, inginocchiato sotto la parte inferiore del grande timone di direzione, aggiustò il puntamento delle sue mitragliatrici binate mentre il mitragliere della torretta dorsale in plexiglas a prova di pallottole stava manovrando il dispositivo elettrico che muoveva la torretta, per orientare le armi automatiche verso poppa e in alto.
    Gorrini intanto, col medio e l'indice appoggiati sulla leva di sparo, stava preparandosi al suo nuovo attacco a tre quarti di muso.
    Picchiò a quarantacinque gradi sparando sui motori, contrastato dal tiro della torretta e da quello delle mitragliatrici anteriori.
    Ma il brandeggiare a mano queste armi di circa centotrenta chilogrammi non offriva molte possibilità ad un tiro preciso, e il Macchi C. 205, benchè fatto segno dal fuoco di protezione degli altri bombardieri, riuscì, dopo avere innaffiato di pallottole il suo B.17, a portarsi fuori tiro col solito passaggio a coltello.
    La sua scarica colpì non soltanto i motori, ma penetro anche nella cabina di pilotaggio che non resse al martellamento delle pallottole esplosive.
    Avverti un senso di nausea al pensiero che in quel momento poteva avere ucciso, e ancora oggi, nel raccontare questo particolare, la sua voce assume un tono di accorata emozione; ma l'eccitazione e il nervosismo accumulati nel corso del combattimento sostenuto poco prima, non gli avevano consentito di tener conto dei pochi metri che separavano i piloti dai motori.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:30 pm

    Quando la raffica di un caccia colpisce la cabina di pilotaggio, dentro succede il finimondo.
    Basta leggere le relazioni di volo di qualsiasi pilota che abbia avuto la fortuna di portare a casa l'aeroplano colpito, per avere un'idea della distruzione che devasta l'abitacolo.
    Così in quel B.17 dovevano essere saltati quadranti, maniglie, comandi per la pressione idraulica, manometri per l'indicazione del vuoto e della temperatura dell' olio, i regolatori dei turbocompressori, la girobussola, l'indicatore di virata e sbandamento: insomma, tutto il sistema nervoso centrale dell'aereo.
    Gli aviatori abbandonarono l'apparecchio.
    Gorrini riuscì a contare l'aprirsi di nove paracadute che si sfilarono l'uno dopo l'altro mentre il bombardiere si manteneva ancora in linea di volo. Egli sapeva benissimo che l'equipaggio del B.17 era composto da più di nove uomini.
    Perchè gli altri non si buttavano?
    La nausea lo assali di nuovo.
    La tensione della battaglia, la consapevolezza di trovarsi in zona sconosciuta (con tutto il da fare che aveva avuto non gli era stato possibile verificare la rotta), di essere solo ed esposto al tiro da ogni direzione, facile preda di altri caccia che da un momento all'altro avrebbero potuto accorrere numerosi, erano tutti elementi che non potevano lasciarlo tranquillo.
    Rivoli di sudore gli si versarono da sotto il casco e gli occhiali, sulla faccia.
    La tuta ne era inzuppata fino agli stivali.
    Ad ogni secondo il pericolo aumentava in progressione, anche in rapporto all'autonomia di volo per il rientro alla base.
    Ma ancora non voleva desistere.
    Quel bombardiere non doveva arrivare sull'obiettivo.
    Mentre stava preparandosi al nuovo assalto pensò che forse l'equipaggio si era già lanciato al completo.
    Considero che se ancora l'aeroplano era in linea di volo, era possibile che fosse stato innestato il pilota automatico.
    Decise così di colpirne il dispositivo.
    Ormai nell'abitacolo non poteva esserci rimasto più nessuno, o vi restavano soltanto dei morti.
    Puntò dunque risoluto sulla cabina a tutta manetta, e a duecento -trecento metri apri il fuoco.
    Altri due paracadute si aprirono, poi la regina dei bombardieri oscillò lentamente dondolandosi sulle ali con eleganza per l 'ultima volta, e da seimila metri inclinò docilmente il muso verso terra acquistando sempre maggiore velocità mano a mano che scendeva di quota, sino a precipitare diritta scivolando verso la sua fine.
    Poco più avanti la divisione Goring veniva bombardata.
    Ma per Gorrini non era ancora finita.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:31 pm

    Docici P.38 della caccia di scorta gli si avventarono addosso da due lati dall'alto: sei da destra e sei da sinistra, con manovra convergente.
    Egli sapeva molto bene che se fosse andato via diritto i caccia sarebbero riusciti a stringerlo per la maggior velocità che erano andati acquistando in fase di picchiata.
    L'unica manovra di scampo che poteva fare era quella di precipitarsi verso terra.
    Le nubi, questa volta erano troppo lontane.
    Non deve fare meraviglia se anche in questa seconda fase la caccia americana è intervenuta con un certo ritardo.
    Ciò rientrava nei rischi di quel particolare sistema di protezione.
    Infatti, come si legge nel libro «Il padrone del cielo» di Johnnie Johnson gli equipaggi delle Fortezze volanti richiedevano soltanto uno schermo protettivo a una certa distanza «fuori dal raggio d'azione delle loro armi di bordo, davanti e di fianco alle loro formazioni.
    Qualunque velivolo che superasse quello sbarramento veniva considerato nemico e trattato come tale».
    Per questo, chi come Gorrini, riusciva ad infilarsi nella formazione, poteva venire a contatto con la caccia nemica soltanto in un secondo tempo perché aveva qualche possibilità di passare inosservato dalla scorta sempre piuttosto lontana.
    I mitraglieri non guardavano troppo per il sottile quando vedevano a tiro un aereo non preavvisato:
    «prima sparavano e poi cercavano di identificare il velivolo sospetto»,
    e nessuno dei piloti ci teneva a far da bersaglio.
    Tale sistema di scorta aveva tuttavia i suoi vantaggi consentendo quel maggior campo di manovrabilità che la scorta ravvicinata non permetteva in caso di attacco con formazioni pesanti.
    Sotto il tiro dei Lightning, e cioè sotto il fuoco concentrato di dodici cannoncini e quarantotto mitragliatrici, Gorrini buttò il Macchi C.205 in picchiata.
    Con un colpo di cloche e di piede, dopo una strettissima spirale diresse l'aereo in picchiata affidandosi alla velocità e alla resistenza delle strutture del suo aereo che cominciò a scendere inseguito da sei caccia dai due caratteristici timoni che davano a questo tipo di aereo un aspetto inconfondibile.
    Ma forse la salvezza di Gorrini stava proprio qui: in questa caratteristica del P.38 il cui timone di profondità, teso tra i travi di coda, non poteva reggere alle sollecitazioni di una velocità portata al limite di sicurezza, quel limite certamente superato dal Macchi C.205, contro cui il terreno andava ingrandendosi minacciosamente.
    L'aereo era tutto un tremito.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:31 pm

    All'urlo del motore imballato a tutta potenza, si aggiungevano le preoccupanti vibrazioni di tutte le strutture.
    Il metallo sembrava gemere scricchiolando per il formidabile attrito contro l'aria.
    L'indicatore di velocità era bloccato sul massimo e la lancetta vibrava non potendo segnare oltre.
    Gorrini, col sudore che gli grondava sugli occhi, non riusciva a distinguere bene; sapeva però di aver superato la velocità di collaudo
    La lancetta dell’anemometro sembrava voler saltare dal quadrante. Andò oltre gli ottocento chilometri orari.
    Ad un tratto, una secca detonazione accompagnata dal lampo di una fiammata sull'ala sinistra, scosse le lamiere del caccia Italiano.
    Il pitota pensò di essere stato colpito.
    Era invece accaduto che, per i colpi sparati, il cannoncino da 20 mm. collocato nell' ala, si era talmente arroventato che aveva fatto scoppiare la culatta dell'arma provocando uno squarcio con l'asportazione di parte del bordo d'uscita.
    Anche qui la fortuna giuoco il suo ruolo, perchè se fosse saltato il bordo d'entrata, l'attrito dell' aria avrebbe tranciato l'ala per intero.
    Nello stesso istante, sia per la scossa dell'esplosione, sia per la violenza del vento della caduta in verticale, il tettuccio della cabina fu divelto e proiettato in coda dove dopo aver rotto l'antenna radio, finì per sbattere contro il timone di profondità che si accartoccio in seguito all'urto.
    Nella cabina scoperchiata fu tale il risucchio dell'aria, che la carta di navigazione venne strappata di sotto la gamba destra del pilota trattenuto dalle cinghie del seggiolino.
    Egli stava ancora picchiando con la velocità di un moderno reattore.
    La terra era ormai vicina.
    Volse lo sguardo dietro di se.
    Dei Lightning non vi era più traccia nel cielo.
    Probabilmente, dopo aver visto la fiamma sull'ala, lo avevano considerato abbattuto, e non avevano voluto correre il rischio di far saltare i timoni battendosi in un cosi folle inseguimento.
    La volontà era tutta tesa a riportare in linea l'apparecchio, ma era dubbio che le superfici di governo, ridotte in quelle condizioni, potessero dare una adeguata risposta ai comandi.
    Occorreva richiamare l'aereo con dolcezza come quando si deve adagiare un ferito.
    Gorrini tolse manetta; di velocità ne aveva fin troppa, e tirò lentamente la cloche verso di se.
    I piani di coda, nonostante tutto, si muovevano e l'aeroplano cominciò ad alzare il muso.
    La linea dell'orizzonte prese a profilarsi dall'alto del parabrezza e a scendere verso la linea del cofano motore.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:32 pm

    Il mare si presentò davanti alla prua dell'aereo, ma l'orientamento era impossibile, e senza la carta topografica, i dettagli del terreno sottostante non potevano esser utilizzati.
    I criteri della navigazione a vista non offrivano alcun soccorso in quelle condizioni.
    Il carburante era agli sgoccioli.
    Le munizioni esaurite.
    Stava volando a mille metri di quota, ma su quale zona?
    Quale direzione prendere per rientrare al campo?
    Considerò che quando era partito da Palidoro aveva il sole di fronte, mentre ora se lo trovava sulla destra; ma questo non era un rilievo sufficiente a fare il punto sulla sua posizione.
    Occorreva far quota per aumentare il margine di sicurezza nel caso fosse stato necessario lanciarsi col paracadute o planare per un atterraggio di fortuna.
    Piano piano, per consumare il meno possibile di carburante salì a milleottocento - duemila metri, e sebbene vi fossero poche probabilità che la radio funzionasse, tento un contatto con la centrale operativa.
    «Campanile da Vespa 2! Campanile da Vespa 2! Rispondete!».
    Il richiamo fu ripetuto più volte senza risultato.
    «Campanile da Vespa 2!»
    Ancora silenzio.
    Poi una voce prese a gracchiare negli auricolari.
    «Vespa 2, avanti! Qui Campanile».
    Per Gorrini era la voce dell' Arcangelo Gabriele venuto a prestargli le sue ali per condurlo a casa.
    «Campanile da Vespa 2. Rilevate la mia posizione».
    Il pilota ripetè quindi una serie di numeri per mantenere il contatto fonico e consentire così il rilevamento radiogoniometrico.
    Dopo uno scambio di dettagli tecnici, gli comunicarono che stava volando sopra Pescara.
    Ottenuti quindi i gradi della rotta da seguire, ricevette infine le istruzioni per il rientro.
    «Fa tremila metri di quota. Motore a millesettecentocinquanta giri».
    Il contatto radio gli infuse nuova fiducia.
    Il motore funzionava ancora regolarmente.
    Solo i comandi rispondevano meno dolcemente alla pressione della mano sulla cloche e del piede sulla pedaliera, ma l'aereo si lasciava governare.
    Eseguite tutte le istruzioni, il pilota fu diretto sulle strisce di Palidoro dove il Gruppo aveva già preso terra da tempo.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:32 pm

    L'unica preoccupazione era sulla quantità del carburante rimasto.
    Già il «televel» destava qualche apprensione.
    Dai tremila metri dove il motore rendeva meglio e consumava meno, Gorrini si era ormai portato a bassa quota per andare all'atterraggio.
    I campi, le strade, gli alberi sfilavano sotto di lui confondendo i loro colori come macchie variopinte su un nastro che scorreva veloce.
    Erano gli ultimi momenti in cui la tensione ritornava a mordere.
    Ogni attimo era vissuto nell'attesa di arrivare a terra con l'ultima goccia di combustibile.
    Lo sguardo era al tempo stesso sulla pista, sull'indicatore di pressione e di temperatura dell'olio, sull'indicatore di velocità e sul contagiri.
    L’orecchio era teso a percepire ogni battito dei pistoni che potevano piantare da un momento all'altro.
    L'uomo e la macchina erano corporalmente una cosa sola.
    Ad un tratto il motore, come preso da collasso, cessò di battere.
    Il disco dell'elica si fece più scuro e si bloccò in una croce con tre braccia tese e immobili.
    Ormai non c' era più quota per lanciarsi col paracadute, ed era giocoforza portare a terra l'aeroplano.
    Istintivamente il pilota abbasso i flaps e fece uscire il carrello, ma questa manovra fece aumentare fortemente la resistenza opposta dal maggior attrito delle superfici e provocò di conseguenza la diminuzione della velocità, con pericolo di stallo.
    Fatti subito rientrare il carrello e i flaps, dopo le imprecazioni di rito, la velocità riprese grazie anche alla leggera picchiata in cui l'aereo era tenuto per sfruttare l' efficienza aerodinamica.
    A motore spento la macchina si era trasformata in un veleggiatore del peso di tremilaquattrocento chilogrammi.
    La situazione era critica, ma c'erano ancora fondati elementi di speranza.
    Attorno a lui il silenzio era rotto dal sibilare dell'aria che s’infilava nell'abitacolo e che lambiva l'aereo come a volerlo sostenere ad ogni costo.
    «Ce la farò, ce la farò» seguitava a ripetere a se stesso.
    Ma ecco, vicinissimi ed inaspettati, gli si pararono davanti i fili elettrici della ferrovia che correva nei pressi del campo.
    Il passaggio era obbligato e l'apparecchio era poco più di una freccia che doveva seguire una traiettoria.
    C'era solo un'alternativa: passare sotto quei maledetti fili o saltarli.
    Mentre stava considerando che il passarvi sotto sarebbe stato troppo rischioso a causa del breve spazio utilizzabile, i cavi gli si presentarono all'altezza del viso.
    Non c'era più ragionamento che tenesse in tale situazione.
    D'istinto tirò la cloche al ventre.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:33 pm

    Il caccia ebbe un sussulto, e, come scagliato in alto da una folata di vento, passo sopra quel dannatissimo ostacolo per ricadere subito verso terra.
    Fuori il carrello e giù gli ipersostentatori.
    Le ruote toccarono finalmente il terreno in un modo un pò pesante ma, appena dopo, l'aereo prese a rullare sul campo come in un atterraggio normale.
    Gorrini uscì felice dalla carlinga, e il suo fedele Flak, un bellissimo cane siberiano nero che lo aveva accompagnato dalla Grecia, salto festoso sull'ala come tutte le volte al ritorno da ogni missione.
    Immediatamente fu circondato dai piloti e dagli specialisti smaniosi di sapere.
    Tutti guardavano l'apparecchio, quasi increduli che quella macchina, con un'ala smozzicata, con gli stabilizzatori accartocciati e la fusoliera svergolata, avesse potuto volare.
    Soltanto un'ora e mezzo prima era un aeroplano nuovo di zecca, e adesso non era che un rottame da mandare alla demolizione.
    «Ebbene, Gorrini, com’è andata?» gli chiese il maggiore Camarda.
    «Ho abbattuto due quadrimotori e un caccia».
    «Va bene, va bene, però guarda come hai ridotto l'aeroplano!»
    Il volo era durato novantacinque minuti.
    Furono sparati settecentocinquanta colpi dalle mitragliatrici calibro 12,7 e quattrocentoottanta dai cannoncini calibro 20.
    Il dettagliato rapporto del pilota fu accolto con qualche scetticismo.
    Il comandante stentava a credere a quanto gli era stato esposto, e non nascondeva le sue perplessità.
    Guardò Gorrini con aria mista di sorpresa, incredulità ed ammirazione. Poi, quasi a voler provocare la reazione del suo sottufficiale, gli disse a bruciapelo una battuta che avrebbe fatto perdere la pazienza ad un santone biblico:
    «E' impossibile. Non s'è mai visto buttar giù due quadri motori e un Lightning, essere attaccato da dodici caccia e cavarsela in questo modo».
    «Comandante, a me è accaduto questo. E poi, gli aerei non sono caduti in mare. Possiamo andare a controllare sul posto», rispose Gorrini lanciando una significativa occhiata in direzione di un Stork Fieseler tedesco che riposava pigramente sul campo.
    «Vieni con me» replicò Carnarda dirigendosi verso il piccolo aereo da collegamento.
    I due uomini presero posto nell'abitacolo.
    Il maggiore si pose ai comandi e decollò immediatamente.
    Gorrini, seduto sul seggiolino posteriore, poteva godersi tranquillamente il volo come passeggero.
    Quando furono in vista dell'aeroporto di Nettuno videro l'enorme cratere prodotto dall'esplosione del B.17.
    «E’ uno, signor maggiore!»
    «Va bene, ora scendiamo a vedere».
    A terra lo spettacolo era impressionante.
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    Messaggio  Green_Group Lun Dic 15, 2008 11:33 pm

    I rottami dell'aereo si trovavano sparsi nel raggio di qualche centinaio di metri.
    Certi erano anneriti dalle fiamme, altri luccicavano contorti come carta stagnola e sminuzzati tra le zolle.
    Era quasi inutile cercare i resti degli aviatori caduti.
    Difficilmente poteva essere rimasto qualcosa di loro.
    Tutto sembrava essersi polverizzato nell'esplosione.
    I pochi membri dell'equipaggio che erano riusciti a lanciarsi col paracadute erano stati fatti prigionieri dai militi della contraerea, ed erano ancora sotto shock.
    Il tempo stava guastandosi, ed era meglio affrettarsi se si voleva arrivare al lago di Nemi presso cui doveva trovarsi ciò che era rimasto del P.38.
    La ricerca risultò fortunata perchè appena lo Stork Fieseler toccò terra su un piccolo appezzamento erboso, alcuni ragazzi che erano rimasti nascosti tra i cespugli, uscirono allo scoperto come se giocassero agli indiani, e uno di loro si mise a gridare:
    «I motori sono la in fondo! I motori sono la in fondo!»
    e indico una direzione guidando sui posto i due aviatori seguito dalla frotta dei compagni eccitatissimi per l'avvenimento.
    Qualcuno cercava di spiegare come aveva visto cadere l'aeroplano e scendere col paracadute il pilota che era poi stato catturato dai Carabinieri.
    Disceso il pendio di una collina, trovarono un motore e un frammento d'ala.
    «E due, signor maggiore!»
    «Comincio a pensare che forse valeva la pena di scassare il 205» soggiunse l'ufficiale mentre stavano ritornando sui loro passi per ripartire.
    Si trattava ora di ragiungere Sulmona.
    Ii tempo stava facendosi sempre più brutto, e intraprendere il volo sulle montagne con un aereo cosi leggero non era una prospettiva molto allettante.
    Infatti quando furono sul dorsale appenninico, il vento fortissimo e i frequenti piovaschi resero difficile il governo e l'orientamento, ma anche questa volta tutto finì per risolversi bene.
    Gorrini riuscì persino a parlare con il comandante dell'ultima Fortezza volante da lui abbattuta.
    Era un ufficiale americano il quale, dopo aver saputo che quel ragazzo biondo di ventisei anni che gli stava davanti, era il pilota Italiano che lo aveva attaccato, volle stringergli la mano complimentandosi per il suo valore e per il suo coraggio.
    Tutti sanno con quanta cura i tedeschi perquisissero i prigionieri. Eppure, in quel caso, non si erano accorti che il maggiore nascondeva una minuscola pistola.
    L'ufficiale sorridendo si chinò con calma sulla gamba destra, slaccio lo stivale e ne estrasse l'arma offrendola in dono a chi lo aveva abbattuto.
    Con questo combattimento Gorrini era diventato famoso.
    Il suo nome era comparso sul bollettino di guerra n. 1192.
    Il Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica lo volle conoscere personalmente.
    Telegrammi di congratulazioni gli giunsero da ogni parte.
    I quotidiani si occuparono di lui, e così anche alcuni periodici.
    Ma ciò che forse gli giunse più gradito furono le lettere di alcuni scolaretti di Sulmona e dei loro insegnanti che esprimevano il desiderio di poterlo avere un giorno fra loro.

    Vespa 2, 85° Squadriglia

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