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    Cinque Uomini ed un’Aquila

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    Messaggio  Green_Group Gio Dic 25, 2008 12:32 pm

    Cinque Uomini ed un’Aquila Mkre_w10
    1° maggio 1942, 204° Squadriglia siluranti.
    aeroporto di Gadurra (Rodi).
    Ore 8,45.
    Decollo di due "S.79" al comando del Cap. De Stefano, sul cui aeroplano io ho preso posta come motorista, per una ricognizione offensiva nelle acque di Porto Said, ove è stata segnalata la presenza di navi nemiche.
    Pochi istanti dopo viriamo, mettiamo la prua verso la zona segnalata nel più assoluto silenzio radio per non cadere nelle maglie dell'intercettazione nemica.
    I motori dei due nostri aeroplani hanno un ritmo uguale e possente, che a noi motoristi in volo pare sia quello della nostra anima.
    Sospesi, in una smaterializzante solitudine, fra il cielo e il mare, mentre il sole si trasforma a volte in una lastra d'acciaio abbagliante, solo la bussola ci indica la rotta.
    Dopo un' ora di volo, nessun avvistamento.
    Solo cielo e mare che si fondono tra di loro in uno sconfinato vuoto.
    Ma ecco che di li ad un'altra ora di volo - sono le 10,45 -, al termine della quale il mare è andato prendendo un colore grigio azzurro, incupito qua e la da scure nuvole basse che vanno velando il sole, scorgiamo all'improvviso a 10 miglia dalla costa di Porto Said, 1500 m. al di sotto di noi, una formazione navale nemica composta da varie navi da guerra e tre piroscafi.
    Immediati gli ordini del Comandante:
    continuare il silenzio radio, traguardare ed attaccare il primo piroscafo che ci sarebbe venuto a portata di tiro.
    Di li a qualche istante, mentre il Cap. De Stefano e il 2° pilota manovrano per portarsi a bassa quota e da qui lanciare il nostro siluro, vediamo un piccolo punto nero disegnarsi nel cielo e muoversi velocissimo contro di noi.
    Un caccia avversario.
    Nello stesso momento una raffica di mitraglia, sparata da una delle navi colpisce in più punti il "79", che ha un grosso sobbalzo.
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    Messaggio  Green_Group Gio Dic 25, 2008 12:33 pm

    Ciononostante, sperando che sia rimasto indenne il meccanismo di lancio del siluro, procediamo decisamente nell'azione e, giunti al punto minimo per l'attacco, azioniamo il sistema di lancio.
    Il siluro parte via, ma, purtroppo, forse per il fondale molto basso, forse per una tempestiva contromanovra della nave attaccata, esso non coglie il bersaglio.
    Maledizione!
    Nella successiva "manovra di scampo" al persistente tiro della contraerea delle navi ci viene addosso il caccia intravisto qualche istante prima, seguito subito da un secondo.
    Replichiamo al fuoco dei due caccia con tutte le armi di bordo;
    io con la mitragliatrice ventrale, il marconista con quella laterale e l'armiere con quella poppiera. Combattimento duro, spietato, e per noi in uno stato di chiara inferiorità.
    Colpito a morte il marconista, io sono ferito alla testa da una scheggia.
    Ho il volto coperto di sangue.
    Continua, intanto, l'S79 a prendere colpi su colpi.
    Abbiamo la certezza di finire in mare insieme alla cagnetta, la dolce, affettuosa Birby, che portiamo sempre con noi.
    Proseguiamo, tuttavia, a combattere decisi a vendere cara la pelle, tant'e che ad un certo momento non vediamo più girarci attorno i due caccia avversari, uno dei quali, centrato dal tiro delle nostre armi, e andato a sprofondarsi nel mare.
    Scomparso, nel frattempo, alla nostra vista l'altro S.79.
    Del pari il secondo caccia, che temiamo, però possa tornare ben presto ad assalirci.
    Anche se a questo punto il combattimento può dirsi finito
    (sempre ammesso che il caccia di cui sopra abbia desistito dalla lotta), la situazione a bordo resta drammatica.
    Equipaggio ridotto a 4 persone, fra cui il sottoscritto che continua a perdere copiosamente sangue; velivolo forato dappertutto con centine sventrate; motore centrale bloccato;
    assetto di volo precario, tra continui sbandamenti; la radio e altri strumenti di bordo fuori uso.
    Mi fascio la ferita con una benda di fortuna, mi incollo ad una mitragliatrice, così come l'armiere, benchè anche egli ferito ad un braccio, ad un'altra arma.
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    Messaggio  Green_Group Gio Dic 25, 2008 12:33 pm

    Occhi inchiodati all'esterno dei portelli, pronti ad affrontare l'eventuale, è assai probabile riapparizione del caccia inglese, mentre, con una sconcertante padronanza di nervi ed eccezionale freddezza, il Cap. De Stefano e il secondo pilota vanno impegnandosi al massimo, madidi di sudore e i volti pietrificati dalla tensione, per poter governare il velivolo in quelle tremende condizioni.
    Trascorrono lunghi, interminabili minuti.
    A 50 metri da noi la superficie del mare, pronto ad inghiottirci.
    Miracolosamente i due motori reggono ancora bene e sono per noi l'ultimo filo di speranza, che, però, ad un tratto si rompe:
    dal foro di una tubazione esce a fiotti olio.
    Mi precipito su di essa, tampono il foro con una mano.
    Un dolore lancinante, che l'alta temperatura dell'olio mi brucia la mano.
    Lo sguardo mi si annebbia.
    Ma debbo assolutamente resistere, poichè, se avessi tolto la mano dal foro e non fosse più rimasto olio nei serbatoi, l'aeroplano si sarebbe inevitabilmente trasformato in una gigantesca torcia ardente.
    In aggiunta nessuna possibilità di lancio in mare con il paracadute e il battellino di salvataggio - sul quale
    poi non si potrà fare alcun affidamento poichè avrebbe potuto essere bucato - stante la quota che tenevamo per ridurre la capacità di manovra del caccia avversario nel caso di un suo ritorno.
    Giunti fuori dal tiro delle navi inglesi e dal pericolo di un nuovo attacco da parte del suddetto caccia - di certo allontanatosi dalla zona per avere ritenuto il suo pilota che il nostro S.79 non sarebbe stato in grado di restare in aria per i colpi ricevuti - saliamo piano piano dai 50 metri di quota ai 500.
    Ed è, questo, il momento in cui riaffiora in noi un barlume di speranza di salvezza.
    Andiamo avanti cosi per un paio di ore, con il fiato che si mozza in gola ad ogni scricchiolio dell'aeroplano e, finalmente, ci appare l'amica costa dell'isola di Rodi.
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    Messaggio  Green_Group Gio Dic 25, 2008 12:34 pm

    Ci sentiamo quasi liberi dall'incubo da cui eravamo stati presi, quand'ecco il Cap. De Stefano avvertirci che l'apparato di fuoriuscita del carrello era in avaria e che, pertanto, non restava che tentare un atterraggio sulla pancia;
    manovra che, già di per se stessa assai problematica e rischiosa, lo era ancora più in una simile circostanza poichè con l'impatto contro il terreno il velivolo, date le lesioni riportate, avrebbe potuto andare in pezzi, esplodere, incendiarsi.
    Ci aggrappiamo qua e la ai longheroni dell'aeroplano con le poche forze che sono rimaste in noi, ci abbandoniamo fatalisticamente al nostro destino.
    Il Comandante compie alcuni giri sull'aeroporto per fare capire che avrebbe tentato il succitato atterraggio, quindi comincia a perdere lentamente quota.
    Di li a pochi secondi un urto violento.
    Ma con l'aiuto di Dio, il vecchio S.79, l'eroe di tante battaglie vittoriose, ha vinto anche questa, riportando al nido con il suo grande "cuore" e sebbene gravemente "ferito", cosi come sono uso fare le aquile con i propri aquilotti, cinque uomini, ancorchè uno di essi senza più vita

    Bruno D’Orazio
    Aeronautica, Novembre 1992

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