Ricordo bene Angelo Vezzani, classe 1922 (credo), ex pilota dell’ANR, I stormo caccia, squadriglia “asso di Bastoni”, quella comandata dal celebre Adriano Visconti.
Lo vedevo spesso all’aeroclub di Reggio Emilia, dove si incontrava per chiacchierare con altri uomini della sua generazione, gente che davvero aveva “fatto la storia”: Walter Ruozzi, Ballabeni, Rubbiani e tanti altri.
A me, giovane “pivello” malato di tutto quello che è aviazione e storia, ricordava il mio povero nonno, al quale mi lega non solo l’amore del nipote ed un bellissimo ricordo, ma anche un incolmabile debito di riconoscenza, poiché fu l’artefice del mio brevetto di pilota privato, che finanziò quasi in toto con un lascito post mortem.
Anche se quasi ottantenne, quando lo conobbi Vezzani conservava una figura dritta e asciutta, ed era sempre vestito in modo sobrio ed elegante, con i baffetti alla “Clark Gable” sempre curati ed uno sguardo vivo ed attento.
Ogni volta che potevo, gli chiedevo di parlarmi delle sue esperienze di pilota da caccia, e mi “bevevo” i suoi racconti sui voli di combattimento, su come aveva abbattuto un P38 Lightning, sui difficili atterraggi sul campo di Cavriago, sugli assi Visconti, Gorrini, Steinhoff: tutta gente che aveva conosciuto di persona, e con la quale aveva volato, combattuto, condiviso scelte difficili e sofferte.
Vezzani non si stancava di rispondere alle mie domande sulle prestazioni del Macchi 205, sulle tecniche di addestramento e di pilotaggio, sulle regole del combattimento e su mille altri dettagli che gli chiedevo. Ogni volta, i suoi occhi si illuminavano alla luce dei ricordi e iniziava a raccontare, con la sua voce calma, delle cose belle e di quelle brutte: di quella volta che Gorrini aveva “scippato” la Cicogna (il Fieseler Storch) per andare a trovare la “morosa”, oppure di quando all’atterraggio, dopo una missione, ci si contava e ne mancava sempre qualcuno…
Sentivo certamente, nei suoi racconti, la nostalgia della propria giovinezza trascorsa, ma quello che più mi colpiva era un fondo di amarezza, un risentimento che ho trovato in molti ex combattenti della RSI, una ferita aperta allora ed a tutt’oggi ancora non sanata, e che continua a influenzare la nostra storia.
Il ricordo più bello che ho di lui è legato ad un momento per me indimenticabile, durante il quale ebbi l’onore ed il privilegio di volare con lui.
Un giorno, con gli aeroplani dell’Aeroclub Lugo di Romagna presso il quale all’epoca ero socio, andammo all’aeroclub di Sassuolo per una giornata di allenamenti, in preparazione di una gara di acrobazia sportiva. Mentre eravamo in volo, molte persone, a terra, osservavano il susseguirsi dei voli d’addestramento e, fra loro, riconobbi presto il volto conosciuto di Angelo Vezzani. Andai da lui e gli chiesi se volesse saltare su e farmi vedere un po’ di manovre di combattimento, convinto che avrebbe sorriso e declinato gentilmente l’offerta.
Invece mi guardò con un’aria sorniona, ci pensò su un attimo e poi mi disse: “va bene, ma mi sa che magari è meglio che le manovre le faccia tu: son quasi sessant’anni che non tocco i comandi di un aeroplano!”
Detto, fatto: dopo qualche minuto eravamo in volo e, fatta quota fino a 3000 piedi, iniziai con un po’ di cautela a fare qualche manovra acrobatica classica: tonneaux a botte, looping e fieseler. Ad ogni nuova manovra, mi giravo per vedere com’ero andato e, invariabilmente, trovavo Vezzani che mi sorrideva con l’aria di un bimbo al Luna Park. “Comandante, come andiamo?” chiedevo. “Bene, bene” era la risposta.
A quel punto non potei trattenermi più e gli chiesi: “Comandante, prenda lei i comandi e faccia quello che vuole, guardi, è suo!”.
Non disse niente, rimase fermo per qualche secondo, la mano destra sulla cloche e i piedi sulla pedaliera. Poi mi guardò con un mezzo sorriso, spinse la cloche con delicatezza per prendere velocità, alzò il muso e inanellò un tonneaux a botte, un looping ed una “foglia di quadrifoglio” senza soluzione di continuità, senza mai toccare la manetta e senza guardare dentro, con un tocco delicato che mi lasciò di sasso.
Poi mi lasciò i comandi e mi chiese di ritornare all’atterraggio, sempre con quel suo sorrisetto a mezza bocca.
Dopo essere scesi, lo ringraziai dell’onore che mi aveva fatto volando con me e lui, tesa la sua mano ed afferrata la mia, mi disse: “sono io che ringrazio te: hai donato ad un vecchio pilota qualche minuto di giovinezza, il ricordo di anni che, per me, valgono una vita intera”.
Dovetti sforzarmi per non lasciare troppo trapelare l’emozione che mi suscitarono queste parole, che ancora oggi mi commuovono.
Arrivederci Comandante Vezzani.
Lo vedevo spesso all’aeroclub di Reggio Emilia, dove si incontrava per chiacchierare con altri uomini della sua generazione, gente che davvero aveva “fatto la storia”: Walter Ruozzi, Ballabeni, Rubbiani e tanti altri.
A me, giovane “pivello” malato di tutto quello che è aviazione e storia, ricordava il mio povero nonno, al quale mi lega non solo l’amore del nipote ed un bellissimo ricordo, ma anche un incolmabile debito di riconoscenza, poiché fu l’artefice del mio brevetto di pilota privato, che finanziò quasi in toto con un lascito post mortem.
Anche se quasi ottantenne, quando lo conobbi Vezzani conservava una figura dritta e asciutta, ed era sempre vestito in modo sobrio ed elegante, con i baffetti alla “Clark Gable” sempre curati ed uno sguardo vivo ed attento.
Ogni volta che potevo, gli chiedevo di parlarmi delle sue esperienze di pilota da caccia, e mi “bevevo” i suoi racconti sui voli di combattimento, su come aveva abbattuto un P38 Lightning, sui difficili atterraggi sul campo di Cavriago, sugli assi Visconti, Gorrini, Steinhoff: tutta gente che aveva conosciuto di persona, e con la quale aveva volato, combattuto, condiviso scelte difficili e sofferte.
Vezzani non si stancava di rispondere alle mie domande sulle prestazioni del Macchi 205, sulle tecniche di addestramento e di pilotaggio, sulle regole del combattimento e su mille altri dettagli che gli chiedevo. Ogni volta, i suoi occhi si illuminavano alla luce dei ricordi e iniziava a raccontare, con la sua voce calma, delle cose belle e di quelle brutte: di quella volta che Gorrini aveva “scippato” la Cicogna (il Fieseler Storch) per andare a trovare la “morosa”, oppure di quando all’atterraggio, dopo una missione, ci si contava e ne mancava sempre qualcuno…
Sentivo certamente, nei suoi racconti, la nostalgia della propria giovinezza trascorsa, ma quello che più mi colpiva era un fondo di amarezza, un risentimento che ho trovato in molti ex combattenti della RSI, una ferita aperta allora ed a tutt’oggi ancora non sanata, e che continua a influenzare la nostra storia.
Il ricordo più bello che ho di lui è legato ad un momento per me indimenticabile, durante il quale ebbi l’onore ed il privilegio di volare con lui.
Un giorno, con gli aeroplani dell’Aeroclub Lugo di Romagna presso il quale all’epoca ero socio, andammo all’aeroclub di Sassuolo per una giornata di allenamenti, in preparazione di una gara di acrobazia sportiva. Mentre eravamo in volo, molte persone, a terra, osservavano il susseguirsi dei voli d’addestramento e, fra loro, riconobbi presto il volto conosciuto di Angelo Vezzani. Andai da lui e gli chiesi se volesse saltare su e farmi vedere un po’ di manovre di combattimento, convinto che avrebbe sorriso e declinato gentilmente l’offerta.
Invece mi guardò con un’aria sorniona, ci pensò su un attimo e poi mi disse: “va bene, ma mi sa che magari è meglio che le manovre le faccia tu: son quasi sessant’anni che non tocco i comandi di un aeroplano!”
Detto, fatto: dopo qualche minuto eravamo in volo e, fatta quota fino a 3000 piedi, iniziai con un po’ di cautela a fare qualche manovra acrobatica classica: tonneaux a botte, looping e fieseler. Ad ogni nuova manovra, mi giravo per vedere com’ero andato e, invariabilmente, trovavo Vezzani che mi sorrideva con l’aria di un bimbo al Luna Park. “Comandante, come andiamo?” chiedevo. “Bene, bene” era la risposta.
A quel punto non potei trattenermi più e gli chiesi: “Comandante, prenda lei i comandi e faccia quello che vuole, guardi, è suo!”.
Non disse niente, rimase fermo per qualche secondo, la mano destra sulla cloche e i piedi sulla pedaliera. Poi mi guardò con un mezzo sorriso, spinse la cloche con delicatezza per prendere velocità, alzò il muso e inanellò un tonneaux a botte, un looping ed una “foglia di quadrifoglio” senza soluzione di continuità, senza mai toccare la manetta e senza guardare dentro, con un tocco delicato che mi lasciò di sasso.
Poi mi lasciò i comandi e mi chiese di ritornare all’atterraggio, sempre con quel suo sorrisetto a mezza bocca.
Dopo essere scesi, lo ringraziai dell’onore che mi aveva fatto volando con me e lui, tesa la sua mano ed afferrata la mia, mi disse: “sono io che ringrazio te: hai donato ad un vecchio pilota qualche minuto di giovinezza, il ricordo di anni che, per me, valgono una vita intera”.
Dovetti sforzarmi per non lasciare troppo trapelare l’emozione che mi suscitarono queste parole, che ancora oggi mi commuovono.
Arrivederci Comandante Vezzani.