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    Ritorno a Campomarino

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    Messaggio  Red_Group Dom Ott 12, 2008 2:15 pm

    Inverno 1994
    Sono in auto con Giulio Cesare Graziani e Umberto Bernardini alla guida.
    Stiamo andando a Campomarino, paese del Molise vicino a Termoli, che, nel 1944, durante la campagna di liberazione nazionale, ebbe ad ospitare lo Stormo da bombardamento "Baltimore", il mio Reparto d'allora.
    La strada corre lungo il corso del fiume Bifemo, da cui per altro prese il nome la nostra pista di volo, fatta di grelle di ferro, larga poco più di quaranta metri, stesa sulla spiaggia di Campomarino, parallela al mare.
    Le altre vicine piste di Canne e Nuova, attaccale alla nostra, perpendicolari al mare, erano utilizzate dalla Caccia.
    Prima dell'inizio della piana di Termoli uno sbarramento ha creato un grande lago artificiale, utilizzato, finora, solo per l'energia elettrica.
    Al nord, con le splendide insenature che vediamo e i fili alberi messi a dimora sulle sponde, saranno probabilmente sorti insediamenti turistici.
    Nuovi posti di lavoro, nuovo benessere per il Molise, la più giovane regione d'Italia.
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    Messaggio  Red_Group Dom Ott 12, 2008 2:18 pm

    Ritorno a Campomarino Mkre_c11
    Inverno 1944.
    Sono un Ufficiale in S.p.e., non il più anziano, non il più giovane.
    Sono, pertanto quello giusto per svolgere un compito sgradito a tutti, me compreso:
    smantellare l'accampamento di Campo Vesuvio (nel comune di Ottaviano di Napoli), precedente base dello Stormo, caricare i materiali ordinari sui nostri vecchi "Fiat 626" e autocarri inglesi.
    Poi, con gli specialisti non di equipaggio di volo, avieri di governo e i cani, tra i quali un cucciolo tirato su a vino dalla 253° Squadriglia, trasferimento a Campo Marino, la nuova base operativa per missioni sui Balcani.
    Viaggiamo nel buio della notte.
    Sono sul primo automezzo, un "'626", accanto all'autista.
    Il finestrino è difettoso e, per quanti artifici io metta in essere, scende inesorabilmente e fa entrare un'aria gelida che rende penosissimo il lungo viaggio.
    Traversiamo l'Appennino.
    Paesi spettrali, all'apparenza deserti, privi di luci.
    Persone isolate, piccoli gruppi, ai bordi della strada, nei crocevia, ci chiedono un passaggio.
    Non è regolare, non sarebbe possibile, ma acconsento.
    Non me la sento di non dare una mano, in quelle condizioni in cui viveva l'Italia di quei tanto travagliali giorni.
    Qualche mese prima mio padre mi aveva accompagnato alla stazione Termini di Roma.
    Avevo un Foglio di viaggio per Bari.
    Molto avvilito, mio padre mi aiuta a salire sul carro merci, riservalo al personale militare italiano in trasferimento.
    Non posso non pensare alle raccomandazioni in Accademia di tenere sempre alla dignità e alla forma, che, nei viaggi in treno, consisteva, ovviamente, nell'occupare un posta di I classe.
    L'inseparabile valigia dell'Accademia, visibilmente segnata dall'Africa, dalla Sicilia e dalla Sardegna, mi fa da sedile.
    Non ricordo con esattezza la località di campagna dove il treno, prima di Napoli, fu costretto a fermarsi.
    Fui obbligato a scendere su una strada bianca, sterrata, comunale.
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    Messaggio  Red_Group Dom Ott 12, 2008 2:19 pm

    Veniva giù una pioggia leggera, noiosa, ma sufficiente per bagnarmi completamente.
    Valigia in spalla, seguii le indicazioni di un contadino per raggiungere una stanzioncina di una ferrovia secondaria che mi avrebbe portato a Napoli.
    Riuscii ad infilarmi in un vagone strapieno, in mezzo al chiasso e al vociare napoletano.
    Si recavano in città per racimolare il pane quotidiano.
    Riesco a raggiungere finalmente il Comando del Presidio.
    Rimedio, in dotazione, un giaccone di pelle, da autista, e l'indicazione di un posto letto in una scuola elementare, ubicata nei quartieri spagnoli.
    In un vicolo buio, prima di arrivare a conquistare la mia branda, mi colpisce una frase sprezzante di richiamo, rivolta in dialetto da una ragazzina, troppo truccata, ad una sua compagna che, automaticamente, nel vedere una divisa, si accingeva a proporre la sua compagnia intima:
    " ... Lascialo perdere ... non lo vedi che è italiano! ... "
    Aveva ragione, ero italiano.
    Non ero perciò in condizione di poter offrire un pasto a lei e alla sua famiglia.
    Non avevo "corned beef", ne "evaporated milk" e tanto-meno preziose sigarette.
    Da ragazzo, negli anni trenta, avevo conosciuto una Napoli ben diversa.
    Così anche quando ero in Accademia e nel primo anno di guerra.
    La sconfitta militare, i bombardamenti, la fame l'avevano completamente trasformata.
    Il giorno dopo ebbi ulteriori conferme, sotto tutti gli aspetti, tanto da indurmi a fare di tutto per mettermi in contatto telefonico con Campo Vesuvio, dove sapevo che c'era il mio Comandante Giulio Cesare Graziani.
    Questi operò rapidamente tanto da evitarmi l'inutile trasferimento a Bari e ottenere il nulla osta per la presa in carico dal mio vecchio Gruppo, il132°.
    Con un mezzo di fortuna finalmente raggiunsi il Reparto che stava effettuando il passagio sui "Baltimore".
    Ritrovai l' Asso Massimiliano Erasi, seduto su una sedia coloniale, con un largo cappello di paglia a protezione dal sole.
    Nell'estate del 1942 era stato mio istruttore di aerosiluramento a Gorizia.
    Con lui, Giulio Cesare Graziani, Rindone e Marescalchi, un formidabile terzetto di Ufficiali del Corso "Rex". Poi, Durante, Frustaci, Aprea, Biagiola, del mio Corso "Turbine" e "pinguini" dell' ''Urano'' e del "Vulcano". Ancora nuovi amici come Fagiolo, ex 51 ° Stormo Caccia e mio paziente istruttore sul "Baltimore" e l'indimenticabile Brolis, il carissimo Agostino, della covata aerosilurante di Marescalchi.
    Dopo il lungo periodo in ospedale a Gorizia, la lunga convalescenza, il periodo di Roma occupata dai tedeschi, ero di nuovo in un Reparto bellico, nel mio ambiente, nella mia seconda casa.
    Roma e Napoli, con la corruzione portata dalla fame e dagli Alleati, erano dimenticate.
    Sull'altro lato della stetta pista di Campo Vesuvio gli amici della caccia, anche loro impegnati nel passaggio sui nuovi velivoli ceduti dagli Alleati, prima di rientrare in zona operazioni.
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    Messaggio  Red_Group Dom Ott 12, 2008 2:21 pm

    Inverno 1994.
    Sulla destra l'insediamento FIAT, poi i tornanti della vecchia strada statale Adriatica per entrare a Campomarino.
    Il paese, venendo dalla nostra direzione, non sembra cambiato.
    E’ rimasto come cinquantanni or sono.
    A sinistra una piccola balaustra panoramica sul mare, poi la piazzetta con la vecchia Chiesa.
    A destra la casa dello scomparso Barone Norante, ora Scuola elementare.
    Infine, proseguendo e superando il bivio per il nostro vecchio accampamento, la nuova moderna Campomarino, con il Palazzo comunale che guarda sulla piazza dove e stato collocato, nel 1983, il monumento agli Aviatori, ai nostri compagni, caduti nella Guerra di Liberazione.
    Parliamo con il Sindaco Ettore Catena e con l'Assessore Italo Casolino.
    Otteniamo piena disponibilità per una cerimonia commemorativa da tenersi il 18 o il 25 settembre p.v.
    Pasto veloce a Termoli da "Antonio" e poi ritorno a Campomarino.
    Graziani si ferma con il figlio del Barone Norante, mentre Bernardini ed io andiamo verso il mare, alla ricerca dei ricordi della nostra vecchia pista.
    A destra, sul ciglione, in luogo dell'accampamento sud africano, c'e il villaggio FIAT.
    Sotto il ciglione corre la nuova velocissima Adriatica.
    Lo stabilimento balneare, bar, ristorante, dove ci siano fermati nel 1983, in occasione dell'inaugurazione del pre-citato monumento, sono vuoti.
    Il proprietario si ricorda di noi.
    Ci offre un caffè, poi ci apre un'ampia vetrata sul mare.
    Tira vento forte, gelido.
    Bernardini lo affronta impavido in giacchetta, senza cappello.
    Io mi rinserro nell'impermeabile imbottito e tengo fermo il copricapo.
    E’ un vento che riconosciamo.
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    Messaggio  Red_Group Dom Ott 12, 2008 2:22 pm

    Ritorno a Campomarino Mkre_c12
    E’ lo stesso vento che ci colpiva di fianco durante il decollo o l'atterraggio e rendeva più pericoloso il già delicato controllo del "Baltimore".
    Ci viene naturale evocare episodi, ricordi antichi.
    Su questa spiaggia, in questo paese, è rimasta una parte importante della nostra vita.
    In quel punto, dove ora c’è l'apertura della barriera di scogli protettiva, al ritorno da una missione, si è infilato in mare con tutto il proprio equipaggio, Biagiola.
    Dal paese la moglie lo ha visto morire.
    Ed ancora, il decollo, a pieno carico di bombe, l'improvvisa uscita di pista di Grazioli con il suo navigatore Petruzzelli.
    Purtroppo non ci vengono in mente i nomi dei due specialisti, chiusi nella vera e propria prigione, costituita dalla fusoliera del "Baltimore".
    Prima di sentire il rumore, si vide una grande palla di Fuoco innalzarsi a campanile nel cielo.
    Dei quattro uomini non rimase nulla.
    Come nulla è rimasto nella storia del nostro Paese a ricordare questa come tanti altri episodi oscuri.
    Non era Forse un "eroico bel gesto" accomodarsi nei propri posti di combattimento, giorno dopo giorno?
    Il "navigatore" non aveva via di scampo perchè posizionato tra le due eliche.
    Il "pilota" lo stesso, anche se in apparenza poteva sembrare quello privilegiato.
    L'antenna della radio dietro il posto di pilotaggio sarebbe stata, inevitabilmente, un'arma letale.
    E se questa non bastava, c'era la corta fusoliera e gli imponenti piani di coda.
    Non parliamo degli specialisti di bordo, costretti ad infilarsi da uno stretto buco nel ventre dell'aereo e, come abbiamo, purtroppo, potuto osservare, senza possibilità di scampo in caso di incidente o combattimento aereo.
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    Messaggio  Red_Group Dom Ott 12, 2008 2:23 pm

    Ritorno a Campomarino Mkre_c13
    Il campo sportivo è sempre nello stesso luogo, nel vecchio paese, accanto al cimitero.
    Ora è contornato da gradinate e da una tribuna.
    Anche qui venne combattuta una battaglia.
    Una battaglia che, istintivamente, nacque da un'infinità di frustrazioni represse.
    Una salutare battaglia a "cazzotti" contro i sudafricani che, pur essendo terminato il loro turno, non volevano lasciare libero il campo.
    Giulio Cesare Graziani, come suo costume, sempre in prima linea, seguito da tutto il personale presente, si buttò gagliardamente nella mischia.
    Dall'accampamento, specialisti ed avieri, non appena informati, accorsero numerosi, qualcuno anche con le armi.
    Conclusione: un sudafricano rimase sul terreno.
    Probabilmente nel suo Paese sarà ricordato come "morto per la Patria"
    Dopo l'inchiesta e l'accertamento della verità ricordo l'imperturbabilità e la naturalezza con la quale il Comandante inglese dello "Wing" organizzò un cocktail per sancire la pace ufficiale tra i due Reparti ai suoi ordini.
    Ed ancora l'ospitalità offerta al personale, durante le feste natalizie, in povere semplici case contadine dove, intorno al caminetto a legna, dominavano i ritratti in divisa dei mariti e dei figli.
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    Messaggio  Red_Group Dom Ott 12, 2008 2:24 pm

    Indimenticabili le tende "Moretti" costruite per i climi caldi.
    L’umidità creata dal terreno argilloso e il freddo intenso di quel duro inverno 1944/45 sono albergati ancora, in via permanente, nelle nostre ossa.
    Man mano ogni tenda, con l'aiuto dei nostri magnifici specialisti, si era attrezzata, per superare il freddo inverno, con un fusto di benzina, tagliato in basso come una bocca di caminetto.
    Dentro mattoni da costruzione sui quali, attraverso un tubicino da carburante, munito di rubinetto graduabile nell'apertura veniva ovviamente incendiata e tenuta accesa dal flusso metodico del carburante.
    In pratica si dormiva stesi sul pagliericcio sempre bagnato delle brande, ma in un'atmosfera calda.
    Nel caso di guasto dell'impianto di riscaldamento, le norme di ... sicurezza erano costituite dalla prontezza di riflessi e dalla fuga.
    Avevo anche un comodino, costituito da un rocchetto di legno, abbandonato, di cavi telefonici.
    Gli Ufficiali specialisti Mastrolorenzi e Bernazzani, quest'ultimo già marconista dell'aereo di Mussolini, avevano surclassato tutti e raggiunto il "top" della raffinatezza antiumidità.
    Avevano costruito una tenda pensile, con i paletti di sostegno poggiati su quattro fusti di benzina, uniti e tenuti fermi da grelle di Ferro come quelle della pista di involo.
    Le grelle, a loro volta, erano rivestite da una moquette, costituita da vecchie coperte militari.
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    Messaggio  Red_Group Dom Ott 12, 2008 2:25 pm

    La fine delle operazioni, la fine della guerra.
    L'ultimo volo venne effettuato il 5 maggio 1945.
    Un ordine radio, mentre eravamo in pieno Adriatico, ci fece invertire la rotta e scaricare in mare la dotazione di bombe da caduta.
    Era una giornata di sole.
    Al rientro, in vista della pista, sorvoliamo Campomarino in una formazione davvero insolita e stravagante: gesto di esultanza per la fine della guerra, che è costata tanti sacrifici agli aviatori italiani, a tutti i combattenti del sud; sacrifici che purtroppo, dovremo amaramente vedere in gran parte vanificati con le dolorose mutilazioni territoriali imposteci dal trattato di pace.
    Scaccio questa angosciosa considerazione dalla mia mente e la sostituisco con una visione di un campo di ulivi nei giorni del raccolto, con nostri avieri che, frammmisti alla gente del posto, aiutano a stendere i teli, a far cadere le olive e colmare gli appositi cesti.
    Sono giornate serene.
    E’ il primo raccolto di pace, dopo cinque anni di aspra guerra.
    Ed è anche il segnale che la vita sta rinascendo.
    Molti, però, rimarranno per sempre a Campomarino.
    Sono i miei compagni aviatori caduti nell'adempimento del dovere e, purtroppo, dimenticati da quanti alla guida della Nazione avrebbero avuto l' obbligo morale di onorarne perennemente la memoria, così come di tutti i soldati morti, non importa in quale guerra, non importa su quale fronte, nel sacro nome della Patria.

    P.Ammannato
    Aeronautica, aprile 1994

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