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    Saburo Sakai

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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:38 pm

    Saburo Sakai I336816_SaburoSakaiF9

    Quale più famoso asso degli Zero, Saburo Sakai afferma che la sua più grande impresa della guerra non furono le 60 e passa vittorie riportate, ma il non aver mai perso un solo compagno in più di 200 duelli aerei.
    Nato nel 1916 nella Prefettura di Saga da una povera famiglia di agricoltori, questo figlio di samurai si arruolò in marina nel maggio 1933.
    Mentre era in servizio come marinaio sulla corazzata Kirishima, Sakai rimase affascinato dagli aerei e decise di diventare un pilota.
    Dopo aver fallito per ben due volte l' esame di ammissione, ce la fece al terzo tentativo e fu accettato alla scuola di volo.
    Nel novembre 1937 Sakai conseguì il brevetto con la miglior votazione del suo corso, venendo premiato con l'orologio d'argento dell'imperatore.
    Come membro del 12° Gruppo aereo, prese parte alla Guerra di Cina, ottenendo la sua prima vittoria aerea nella sua prima missione di combattimento il 5 ottobre 1938.
    Sakai si trovava alla guida di uno dei 15 "Claude" imbattutisi negli I-16 nel corso di una missione verso Hankow, e nello scontro che ne seguì violò praticamente ogni regola del manuale e rischiò di morire.
    Sakai riuseì probabilmente ad abbattere un velivolo nemico utilizzando l'intera scorta di munizioni, e al suo ritorno alla base il giovane pivellino fu severamente biasimato, piuttosto che elogiato, dal suo comandante a causa del pessimo comportamento in battaglia.
    Alla data del 3 ottobre 1939 il sottocapo Sakai era ormai divenuto un pilota esperto, e quel giorno lo dimostrò gettandosi su 12 bombardieri DB-3 che avevano attaccato a sorpresa il campo d'aviazione di Hankow.
    Pur essendo stato leggermente ferito, Sakai saltò sul suo "Claude" e si gettò tenacemente all'inseguimento solitario dei nemici.
    La sua rincorsa durò più di 150 miglia e culminò nell' abbattimento di uno dei bombardieri.
    La notizia della sua temeraria impresa lo precede in Giappone, e al suo ritorno a casa Sakai fu accolto come un eroe.
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:39 pm

    Nel giugno del 1941 il sergente Sakai fu assegnato al Gruppo aereo di Tainan, col quale più tardi partecipò all'incursione su Clark Field, nelle Filippine, nel primo giorno di guerra nel Pacifico.
    Distrusse al suolo due B-17 e rivendicò l'abbattimento del P-40 pilotato da Sam Grashio, che invece riuscì a sfuggirgli, nonostante avesse un grosso foro di proiettile di cannone nell'ala.
    Il 10 dicembre Sakai impegnò per la prima volta in un combattimento aereo un B-17C del 14° Bombardment Squadron.
    Riuseì ad abbatterlo, pur restando profondamente colpito dalle gigantesche dimensioni della "Fortezza Volante".
    Una volta conquistate le Filippine, il Gruppo aereo di Tainan cominciò a operare nelle Indie Olandesi, dove Sakai affronto nuovamente i B-17:
    "Il B-17 non aveva un punto debole. Ogni volta era una dura battaglia. Ricordo un episodio particolare sopra Balikpapan, in Borneo, nel febbraio 1942, prima che elaborassi un metodo efficace per attaccare quei bombardieri. C'erano due Zero contro sette B-17
    Feci di tutto per abbattere quell'apparecchio, ma non fui fortunato.
    Non funzionò niente!"
    Il 28 febbraio 1942 Sakai si imbatte in un DC-3 da trasporto nel corso di una solitaria missione di pattugliamento a est di Surabaya, sull'isola di Giava. Dopo aver seguito l'aereo, decise di affiancarlo per un giro di ispezione prima di abbatterlo, e scorse una donna dai capelli biondi con un bambino piccolo che lo osservavano da un finestrino; Sakai risparmiò l' aereo civile, lasciandolo proseguire per la sua strada.
    Nell'aprile 1942 il Gruppo aereo di Tainan venne trasferito a Rabaul, e i piloti degli Zero fecero avanti e indietro da li fino a Lae durante lo scontro con le unita americane e australiane di base a Port Moresby.
    Sakai condusse anche una guerra personale contro la casta degli ufficiali, i quali consideravano i sottufficiali piloti come merce sacrificabile.
    Per rappresaglia, ai suoi uomini vennero serviti pasti sempre uguali e fu negato il tabacco, e cosi ordinò al suo compagno di volo di rubare il cibo dalla mensa ufficiali, dando inoltre ai suoi uomini il permesso di fumare in aperta violazione degli ordini.
    Trovatosi di fronte a tali problemi disciplinari e di natura morale, il comandante del gruppo decise finalmente di apportare dei miglioramenti alle condizioni degli uomini.
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:40 pm

    Saburo Sakai Saburo10
    Come pilota anziano della Squadriglia Sasai, Sakai istruì molti suoi camerati (compreso il comandante dell'unim, il sottotenente di vascello Junichi Sasai) nell'arte del duello aereo.
    Molti dei suoi allievi in seguito sarebbero divenuti degli assi.
    Il 22 luglio 1942 otto Zero intercettarono un solitario Hudson della RAAF (Royal Australian Air Force, aeronautica militare austraIiana), un A16-201 del 32° Squadron, mentre effettuava una missione di copertura caccia sopra Buna.
    Prevedendo una facile vittoria, Sakai si lanciò all'inseguimento del bombardiere bimotore, il cui pilota, il sottotenente Warren F. Cowan, invertì la rotta e attaccò frontalmente Sakai.
    Numericamente inferiore nell'ordine di otto a uno, Cowan mantenne l'iniziativa, creando grande disordine tra gli Zero e sparpagliandoli, finchè probabilmente Sakai non lo abbattè.
    Come unico testimone oculare vivente di quell'azione, Sakai inviò una memoria scritta al ministro della difesa australiano nel 1997, chiedendo che Cowan e il suo equipaggio ricevessero una menzione d'onore per il loro coraggio.
    Il riconoscimento fu negato.
    Il 7 agosto 1942, nel corso della prima missione a lungo raggio su Guadalcanal, il sergente Sakai abbatte il Wildcat pilotato dal futuro asso del VF-5, il tenente J. I. Southerland, il quale si salvò lanciandosi col paracadute. Quando si riunì alla sua squadriglia, Sakai fu sorpreso da un SBD solitario pilotato dal tenente Dudley H. Adams del VS-71; il pilota americano riuscì a colpire con un proiettile l'abitacolo dello Zero, mancando di un soffio la testa dello stupefatto pilota.
    Ormai pronto al duello, Sakai abbatte il Dauntless, uccidendo il mitragliere di coda Harry E. Elliot nell'azione.
    Il tenente Adams riuscì tuttavia a mettersi in salvo col paracadute, e fu successivamente decorato con la Navy Cross.
    Avendo già eliminato due aerei nemici in quella missione, Sakai individuò a distanza quelli che pensava fossero otto Wildcat; in realta, erano bombardieri in picchiata SBD del VB-6, comandati dal tenente Carl Horenburger.
    Ignaro di essere stato scorto a sua volta, Sakai si gettò sulla preda, ritrovandosi però sotto il fuoco incrociato dei mitraglieri di coda nemici con i loro pezzi binati da 7,62 mm, che lo ferirono gravemente.
    In un epico volo Sakai fece ritorno alla base dopo essere stato dato per spacciato.
    Cieco da un occhio, fu spedito in Giappone per ulteriori cure mediche.
    Al termine della convalescenza, Sakai si ritrovò nel frustrante ruolo di istruttore, con un programma d'addestramento sempre più ridotto all'osso e classi di piloti novellini sempre più giovani e numerosi.
    Nel giugno 1944 tornò finalmente a volare in prima linea e fu assegnato a Iwo Jima per unirsi al Gruppo aereo di Yokosuka.
    Il 24 giugno ingaggiò un feroce combattimento con gli Hellcat dei VF-1,VF -2 e VF-50, distruggendone tre.
    Ciò nonostante, la sua unità lamento a sua volta la perdita di 23 Zero.
    Senza più alcuna speranza di ribaltare le sorti della guerra contro gli invasori americani, il Gruppo aereo di Yokosuka ricevette l'ordine di convertirsi agli attacchi suicidi kamikaze.
    Il 5 luglio Sakai parti con due compagni per una missione di sola andata, in cui nove Zero scortavano otto aerosiluranti in una sortita completamente inutile.
    Prima che potessero raggiungere l'obiettivo, furono respinti da una formazione di Hellcat, e disobbedendo agli ordini di rifiutare il combattimento e restare con i bombardieri, Sakai contrattacco e ne abbatte uno.
    Nonostante gli sforzi degli aerei di scorta, tutti gli aerosiluranti furono rapidamente distrutti, lasciando Sakai e i suoi due compagni ad affrontare l'oscurità, il cattivo tempo e lo scarso carburante rimasto per fare ritorno alla base.
    Ventiquattr'ore dopo, Sakai e i piloti di Zero superstiti furono trasferiti di nuovo in Giappone, dove egli tornò all'insegnamento per mancanza di un ulteriore incarico operativo.
    Trasferito al 343° Gruppo aereo nel dicembre 1944, Sakai addestrò i piloti destinati al nuovo caccia Shiden-Kai "George".
    L'ultimo combattimento del grande asso ebbe luogo il 17 agosto 1945, quando (due giorni dopo l'annuncio dell'armistizio) insieme a due piloti del Gruppo aereo di Yokosuka si scontrò con un B-32 Dominator inviato in missione di ricognizione fotografica su Tokyo.
    Tratto da Aerei Militari
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:42 pm

    Saburo Sakai I40237_SaburoSakaiF1
    Battesimo del fuoco
    A Kiukiang, nella Cina sud – orientale,nel maggio del 1938, ebbi il mio primo combattimento...
    … che non tu certamente un inizio denso di auspici brillanti.
    Il comandante dello stormo di Kiukiang non aveva l'abitudine di portarsi appresso i piloti giovani nei suoi voli più lunghi, immaginando che la loro inesperienza li avrebbe resi facile preda dei veterani che volavano nelle file cinesi.
    Nel 1938 il caccia Zero, che dovevo in seguito imparare a conoscere così bene, non era ancora stato assegnato ai reparti combattenti e noi volavamo col caccia Mitsubisci 96, battezzato Claude dagli Alleati. Era un velivolo lento e con un raggio di azione alquanto modesto, con il carrello fisso e con l’abitacolo aperto.
    I nostri quindici caccia decollarono dunque molto presto dalla base di Kiukiang, il ventidue mattina, prendendo quota in formazione di cinque pattuglie di tre a cuneo.
    La visibilità era eccellente e i novanta minuti che impiegammo per giungere su Hankow mi dettero l’impressione di un pacifico volo di addestramento perchè nessun caccia nemico si avvicinò mai alla nostra formazione ne alcun colpo di contraerea venne a macchiare il cielo.
    Sembrava persino incredibile che, sotto di noi, infuriasse la battaglia.

    Da tremila metri di quota il campo di Hankow aveva un aspetto del tutto illusorio;
    l'erba verde scintillava sotto i raggi del sole mattutino e quello che era il più grande aeroporto nemico della zona aveva invece la tranquilla apparenza di un campo di golf molto ben curato.
    Ma i velivoli da caccia non usano servirsi di tali attrezzature sportive e i tre puntini che vedevo correre sul terreno per salire poi verso di noi erano proprio caccia nemici.
    A un certo momento arrivarono alla nostra altezza. grandi, neri e poderosi.
    Senza alcun preavviso, o almeno cosi sembro alla mia mente stupefatta, uno dei tre abbandonò la formazione e si precipitò su di me a tutta velocità.
    Di colpo, quei piani che avevo accuratamente elaborato nel mio intimo per il mio primo combattimento aereo svanirono;
    sentii tutta la muscolatura contrarsi nervosamente e, sebbene non sia piacevole confessarlo, devo aver tremato sotto l'impressione di servire da bersaglio al pilota nemico.
    Ho spesso pensato di essermi comportato stupidamente in quei momenti cruciali e il lettore può ben condividere la mia opinione.
    Debbo tuttavia far presente che la reazione mentale, a tremila metri, dopo un volo di novanta minuti a quella quota senza aver fatto uso della maschera dell'ossigeno, è ben poco paragonabile a quella che si ha, invece, a terra.
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:43 pm

    Saburo Sakai I40238_SaburoSakaiF10
    A quell'altezza una minore quantità di ossigeno raggiunge il cervello;
    inoltre il rombo del motore nell'abitacolo aperto è assordante e il vento freddo che sibila contro il parabrezza vi aggiunge il suo rumore.
    Non avrei dovuto fare altro che cercare di rilassare i nervi; ma invece giravo la testa da tutte le parti tentando disperatamente di vedere nello stesso tempo in tutte le direzioni per evitare di essere colto di sorpresa.
    Intanto stavo tentando di coordinare i movimenti dei comandi del velivolo e di controllare gli strumenti del cruscotto.
    Ero completamente confuso.
    Per mia fortuna mi venne in aiuto un'abitudine instillatami durante il periodo dell'addestramento;
    era un avvertimento che veniva continuamente ripetuto ai piloti che si trovavano alle prime armi:
    quello di cercare di attaccarsi sempre alla coda del velivolo del capo-pattuglia.
    Con movimenti quasi inconsci della mano strinsi l'allacciatura della maschera per 'ossigeno
    (ne avevamo soltanto per due ore e quindi l'adoperavamo esclusivamente in combattimento o nei voli a quota superiore ai tremila metri)
    e spinsi in avanti, a fondo, la manetta del gas.
    Il motore rispose con un rombo più potente e il mio piccolo caccia fece un balzo avanti;
    intorno a me vidi cadere i serbatoi supplementari di carburante, perchè tutti i miei compagni avevano dato uno strappo al comando di sgancio situato nell'abitacolo.
    Mi ero completamente dimenticato che la tanica che portavamo appesa all'esterno della fusoliera poteva divenire un terribile esplosivo se colplta;
    con mano tremante tirai anch'io la leva e il mio serbatoio fu l'ultimo a cadere.
    Avevo però perso completamente la tramontana.
    Avevo fatto, è vero, tutto quello che dovevo fare ma nella maniera più trascurata e quasi dimenticando le regole fondamentali per la preparazione a un combattimento aereo.
    Inoltre non mi ero più curato di guardarmi attorno alle spalle quindi non avevo più tenuto d’occhio il velivolo nemico che, per quanto ne sapevo, poteva anche avermi sparato e magari colpito;
    tutto quello che vedevo era la coda dell'aeroplano del mio comandante e, preso dalla disperazione, mi dondolavo dietro di lui, vicino alla sua coda.
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:44 pm

    Quando alla fine riuscii a riprendere la mia corretta posizione di gregario, alquanto indietro e di lato, recuperai anche la calma e smisi di agitarmi alla cieca dentro l’ abitacolo.
    Tirai un gran respiro e azzardai una rapida occhiata sulla sinistra: appena in tempo!
    Due lucidissimi velivoli nemici si precipitavano contro di me.
    Erano di tipo russo, due E 16 con carrello retrattile, con un motore molto più potente di quello del nosto Claude, più veloci e più maneggevoli.
    Feci ancora altri errori:
    in quei pochi attimi avrei potuto perdere la vita per la seconda volta.
    Le mie mani esitavano incerte e io non ero capace di fare nulla di quanto avrei dovuto;
    invece di spostarmi di lato o prendere quota, mi limitai a continuare il mio volo diritto.
    Secondo tutte le regole del combattimento aereo avrei dovuto essere abbattuto ma, all'improvviso, mentre i nemici già mi stavano collimando, eccoli fuggire via con un brusco dietro front, senza che riuscissi a capirne il motivo.
    La soluzione del problema era tuttavia molto semplice.
    Il mio comandante di squadriglia, prevedendo che avrei potuto comportarmi goffamente, come effettivamente stavo facendo, aveva incaricato uno dei nostri veterani di coprirmi le spalle.
    Era stato proprio lui che, buttandosi bruscamente contro i nemici, li aveva costretti a interrompere l'attacco e a mettersi in fuga.
    Ma non riuscivo ancora a calmarmi e a combinare qualcosa di buono.
    Dopo avere subito il secondo attacco rimasi immobile su i comandi, senza accorgermi che mi ero staccato dalla pattuglia ed ero andato a finire a circa quattrocentocinquanta metri dietro un altro velivolo russo. Me ne stavo seduto nel mio abitacolo, cercando di ragionare e di calmarmi per poter pensare a fare
    « qualcosa ».
    Alla fine mi svegliai dal mio stato di torpore e balzai avanti.
    Collimai esattamente il russo e premetti il comando delle armi, ma non accadde nulla.
    Azionai più volte il grilletto maledicendo le due mitragliatrici silenziose finche, con mio grande imbarazzo, dovetti accorgermi che mi ero dimenticato di armarle prima di entrare in combattimento.
    Un altro sottufficiale pilota che volava alla mia sinistra cominciò a disperarsi, vedendo la mia agitazione e. poi, il mio modo di sparare sul caccia nemico.
    I miei colpi infatti non potevano andare a segno perchè questi si era messo in virata sulla destra e quando potei averlo di nuovo davanti a me era a ormai duecento metri;
    ma io gli sparai ancora, sprecando così altre munizioni e perdendo di nuovo una magnifica occasione.
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:44 pm

    A questo punto giurai che lo avrei abbattuto a costo di dovermi scontrare con lui.
    A tutto motore abbreviai le distanze mentre il nemico virava, faceva dei loopings e delle spirali con manovre violente, ottenendo sempre di sfuggire costantemente alle raffiche che gli sparavo.
    Le sue virate strette e i tentativi che faceva per prendermi a sua volta in coda rivelavano poca abilità di pilotaggio e le sue pallottole traccianti rigavano l'aria a vuoto, esattamente come le mie.
    Il mio avversario era, effettivamente, piuttosto poco fortunato:
    senza che io me ne accorgessi diversi miei compagni stavano adesso girando in quota tenendosi esattamente sopra di noi pronti a intervenire qualora il russo fosse riuscito a mettermi in una brutta situazione; lui invece era completamente solo.
    Egli però se n'era accorto e da quel momento non fece che cercare una via di scampo invece che tentare di abbattermi:
    proprio quel che non avrebbe mai dovuto fare.
    Al termine di uno stretto looping mi trovai l'E 16 davanti, a centocinquanta metri e potei sparargli una raffica nel motore.
    Subito un fumo nero cominciò a uscire dal muso del velivolo che precipitò poi verso terra.
    Soltanto quando lo vidi ridotto a un piccolo ammasso di rottami fumanti mi accorsi che avevo esaurito le munizioni, cosa che avrei ben dovuto guardarmi dal fare:
    un pilota deve assolutamente conservarsi i colpi per il volo di ritorno, nella eventualità di essere sorpreso da qualche caccia nemico.
    Mi guardai d'intorno freneticamente cercando gli altri Mitsubisci e quando mi accorsi che ero solo sentii un colpo al cuore.
    Avevo perduto di vista la mia formazione!
    La mia stessa vittoria era poco meno di una beffa perchè mi era stata servita su un piatto d'argento dal pilota veterano che mi aveva accompagnato, quello stesso che poi avevo perduto mentre stavo seguendo il russo.
    Mi sentii umiliato per il mio deplorevole comportamento e fui quasi sul punto di mettermi a piangere.
    E questo fu proprio quel che feci quando, dopo essermi guardato ancora d'intorno, vidi alla fine quattordici Claude circolare lentamente in formazione molto in quota aspettando con molta pazienza che mi decidessi a raggiungerli.
    Credo di aver urlato per almeno cinque minuti per la vergogna che provavo.
    Dopo l'atterraggio a Kiukiang uscii esausto dall'abitacolo.
    Il mio comandante di squadriglia piombo su di me col viso rosso per la collera e urlando
    «Sakai! Per tutti i diavoli! Sei un dannato fesso.
    E' un miracolo che tu sia ancora vivo!
    Non ho mai visto nulla di più maldestro e ridicolo in tutta la mia vita di pilota!
    Tu ... »
    Ma non potè continuare.
    Io ero Immobile incollato al suolo, dolente e confuso.
    Sperai disperatamente e pregai tra me fervidamente che il mio comandante sfogasse la sua collera prendendomi a cali.
    Ma era troppo arrabbiato per ricorrere alla violenza fisica.
    Fece invece quanto di peggio avrebbe potuto fare.
    Mi voltò le spalle e si allontanò…

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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:45 pm

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    Il terzo giorno di guerra dovrò ricordarlo sempre perchè fu proprio il dieci dicembre che abbattei il mio primo B 17;
    era anche la prima «Fortezza Volante» che gli americani perdevano in combattimento e, dopo la guerra, seppi che era pilotata dal capitano Colin P. Kelly, Junior, eroe dell'aeronautica statunitense.
    Partimmo da Tainan in ventisette e, sull'aeroporto di Clark, non trovammo alcun bersaglio; girammo per una mezz'ora nel cielo della base distrutta senza avvistare velivoli, ne in volo ne a terra.
    Il gruppo riprese la via del ritorno, puntando a nord, per coprire un convoglio giapponese che sbarcava truppe a Vigan.
    Un incrociatore leggero da quattromila tonnellate, del tipo Nagara e sei caccia scortavano i quattro trasporti.
    Un resoconto americano, basato su quanto riferito dai superstiti dell'equipaggio del capitano Kelly, esagerò enormemente il numero delle nostre navi in quanto parlava di una nave da battaglia, l'Haruna da ventinovemila tonnellate, sei incrociatori, dieci caccia e quindici o venti trasporti.
    Stavamo scortando il convoglio da venti o venticinque minuti, tenendoci a circa 5.500 metri di quota, quando vidi tre grandi anelli formarsi nell'acqua presso le navi;
    eravamo troppo alti per poter vedere le colonne d'acqua sollevate dalle bombe.
    Ma non c'era da sbagliare su quanto stava avvenendo.
    Nessun bersaglio venne colpito, benchè gli americani abbiano invece scritto che la nave da battaglia aveva ricevuto un colpo in pieno e due nelle vicinanze e che era stata lasciata avvolta nel fumo e con perdite di nafta.
    I miei compagni e io eravamo rimasti meravigliati dal fatto che nonostante la nostra scorta, il nemico avesse attaccato ugualmente il convoglio:
    non eravamo nemmeno riusciti a vedere il bombardiere!
    Pochi momenti dopo però, riuscii ad avvistare un solitario B 17, a circa duemila metri sotto di noi, diretto verso sud;
    Lo indicai agli altri e continuai a guardarmi in giro per vedere se ve ne fossero ancora:
    non avevamo mai sentito parlare di attacchi condotti da un solo bombardiere senza scorta, su zona difesa come lo era quella dove ci trovavamo.
    Incredibilmente vero però, il B 17 era solo e aveva bombardato proprio sotto i nostri, occhi: quel pilota aveva del fegato!
    Il nostro comandante ci ordinò con i segnali di andare ad attaccarlo e tutti, meno una pattuglia di tre che rimase dl scorta al convoglio,
    ci mettemmo a rincorrere il nemico.
    Il B 17 era veloce in modo sorprendente ,soltanto col motore in pieno ci fu possibile raggiungerlo, all’incirca a cento chilometri a nord della base di Clark.
    A un tratto però tre Zero fecero un'inaspettata comparsa e si lanciarono sulla « Fortezza Volante »:
    si trattava evidentemente di velivoli dello stormo di Kaohsiung, che proprio nelle prime ore delle stesso giorno avevano attaccato la base di Nichols.
    Noi non eravamo ancora arrivati a distanza di tiro quando i tre caccia di Kaohsiung,cominciarono a sparare, mentre il bombardiere continuava tranquillamente la sua strada come se gli Zero fossero stati innocue zanzare.
    Sette di noi riuscirono finalmente a raggiungere gli attaccanti e cominciarono a loro volta a sparare raffiche, con una serie di manovre che non era possibile coordinare e che si ridussero alla fine a una successione di puntate che ogni Zero dovette fare da solo seguito dagli altri, a distanze variabili.
    Questo fatto mi irritava perchè occorreva molto tempo prima di poter arrivare a sparare e, per di più, sembrava che il B-17 non avesse ricevuto nemmeno un colpo di tutti quelli che gli erano stati sparati.
    Questa era la nostra prima esperienza con il B 17;
    le cui dimensioni, molto fuori del normale, ci inducevano in grave errore nel giudicare le distanze.
    La sua notevole velocità ci allontanava inoltre sempre di più dalla base, facendo sorgere il problema dell'autonomia.
    Durante tutti i nostri attacchi i mitraglieri della « Fortezza Volante» ci tennero. continuamente sotto tiro, ma la loro mira era, evidente mente, degna della nostra….
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:46 pm

    Dopo un'altra puntata mi accorsi che stavamo passando su Clark e pensai che certamente il pilota nemico doveva aver chiesto l'aiuto dei suoi caccia.
    Bisognava perciò abbatterlo subito altrimenti saremmo caduti in una trappola;
    con il nostro sistema degli attacchi ripetuti non avremmo però ottenuto nulla e allora decisi di andare a sparare alla minima distanza, tanto più che quel B 17 era sprovvisto della torretta di coda altrimenti non avrei certo potuto pensare di scamparla.
    Mi precipitai a tutto motore sul bombardiere, seguito da altri due caccia che mi si misero in pattuglia accanto.
    Il pilota della «Fortezza» muoveva la coda del velivolo a sinistra e a destra per permettere ai suoi mitraglieri laterali di spararci ma, nonostante tutte le loro manovre, non fummo colpiti e io potei, a mia volta, aprire il fuoco.
    Vidi saltare via pezzi dall’ ala destra e quindi formarsi una sottile scia biancastra.
    Concentrai allora la mira nella zona già colpita per cercare di piazzare qualche colpo di cannoncino in un serbatoio.
    A un tratto la scia sottile divenne un vero getto, mentre i mitraglieri nemici .sospendevano il tiro e mi parve che si sviluppasse un incendio nella fusoliera.
    In quel momento esaurii le munizioni e dovetti interrompere l'attacco.
    Mi trassi di lato per permettere anche agli altri Zero di sparare, benchè ormai il massimo danno fosse già stato arrecato e il bombardiere stesse picchiando verso terra;
    pareva però che planasse regolarmente e il velivolo avrebbe forse potuto tentare un atterraggio di fortuna su Clark.
    Nel frattempo mi ero portato alla sua stessa quota e, da una certa distanza, mi misi a fare fotografie con la mia Leica.
    Riuscii a farne tre o quattro poi, a duemila metri, tre uomini si lanciarono e, mentre i loro paracadute si aprivano, il B 17 scompariva in un'esplosione.
    Seppi in seguito che gli americani avevano detto che noi avevamo mitragliato gli uomini appesi al paracadute, ma questa era tutta propaganda;
    io ero l'unico caccia vicino a loro e, completamente privo di munizioni, mi limitavo a fare fotografie.
    Nessun altro giapponese vide precipitare il B 17 e, sul momento, l'abbattimento non mi venne nemmeno riconosciuto.
    Il coraggio dimostrato dal pilota che, da solo, aveva osato effettuare il bombardamento, fu oggetto di molte discussioni nei nostri alloggi.
    Era la prima volta che un aeroplano isolato rischiava in tal modo la sicura distruzione, sfidando le forze da caccia nemiche pur di effettuare l'attacco, ne le esagerazioni da parte di coloro che si erano salvati intaccavano l'eroismo del comandante.
    Quando rientrammo a Formosa ci accorgemmo che le ali di due Zero erano crivellate di colpi di mitragliatrici, sparati dai difensori della «Fortezza Volante».
    Tredici anni dopo questo combattimento incontrai il colonnello Frank Kurt, dell'aviazione degli Stati Uniti, che aveva pilotato a Tokio il famoso Swoose e che mi disse:
    «Nel giorno in cui Colin fu abbattuto io ero nella torre di controllo della base di Clark;
    vidi avvicinarsi la 'Fortezza';
    lei aveva ragione di pensare a un tentativo di atterraggio di fortuna da parte sua.
    Poi tre paracadute spuntarono dalle nuvole, che mi parve fossero a circa settecento metri di altezza, seguiti da altri cinque ombrelloni; per lo meno, dal posto ove mi trovavo, mi parve che fossero cinque.
    Colin, naturalmente, non si era lanciato
    ».
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:47 pm

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    Il quindici maggio un acquazzone torrenziale ci obbligò a terra, ma il riposo fu di breve durata perchè all'indomani mattina prima dell'alba diversi B 25 si precipitarono sul campo a bassissima quota bombardando la pista e mitragliando la base.
    Anche quel giorno fummo obbligati a rimanere a terra, dato che occorrevano molte e molte ore per riempire le buche e spianare il campo.
    Eravamo seduti negli alloggi, mentre qualcuno dormiva, parlando del continuo succedersi degli attacchi nemici, quando un pilota del bombardamento venne a unirsi a noi.
    Aveva atterrato a Lae per rifornirsi di carburante ed era rimasto bloccato dall'attacco.
    Ascoltò con grande interesse le nostre descrizioni dei combattimenti con i bombardieri nemici, fissando intensamente gli Zero fermi oltre la pista.
    Ad un tratto disse:
    «Sapete, la mia più grande ambizione sarebbe quella di pilotare un caccia e non sempre questi barconi con i quali ci mandano in giro.
    Sarà stupido »
    aggiunse poi come parlando tra sè «ma siccome ogni volta che andiamo in volo molti di noi vengono abbattuti, quasi tutti riteniamo che non vedremo mai più la nostra patria; anch'io la penso così»
    «Tutto sommato », continuò « sarei soddisfatto se potessi fare una certa cosa »
    .
    Aspettammo in silenzio che continuasse.
    «Mi piacerebbe fare un looping con quel barcone sul quale volo. »
    Sorrise come per scusarsi, poi aggiunse:
    «Potete immaginarvi un affare simile che riesce a fare una gran volta completa? »
    Uno dei piloti della caccia gli disse lentamente:
    «Se fossi in te non ci proverei nemmeno; anche se ti riuscisse di farglielo fare, il velivolo si spaccherebbe nella fase di richiamata, all'uscita. e non potresti certo cavartela ».
    «Lo credo anch'io », rispose il pilota del bombardiere.
    Lo vedemmo poi traversare il campo e salire nell' abitacolo di un caccia, dove sedette per studiarne i comandi.
    In quel momento a nessuno di noi passò per la testa che il ricordo di lui sarebbe rimasto impresso nella nostra mente finchè fossimo stati vivi.
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:47 pm

    Il giorno finì rapidamente e a sera Niscizawa, Ota e io andammo al centro radio per ascoltare le musiche trasmesse dalle stazioni australiane, oltre al nostro solito notiziario.
    Ad un tratto Niscizawa chiese:
    « Ascoltate questa musica, non è la Danza macabra, la danza della morte?»
    Annuimmo.
    Niscizawa era eccitato.
    «Mi suggerisce un'idea.
    Sapete che domattina dobbiamo attaccare Moresby.
    Perchè non vi facciamo sopra una 'Danza macabra' di nostra invenzione?»

    «Di che diavolo stai parlando?» chiese Ota «Mi sembri pazzo!»
    Niscizawa ribatte.
    «Tutt'altro!
    Voglio dire questa, dopo che avremo finito e ci saremo rimessi in rotta per rientrare, noi tre dovremmo tornare a Moresby per fare qualche looping esattamente sul campo nemico.
    Potremmo eseguirli addirittura a terra!»

    « Bisogna essere matti », disse Ota con cautela;
    «ma come ce la caviamo col comandante? Non ci lascerebbe mai fare una cosa simile. »
    «E con ciò?» fu la risposta.
    «Chi dice che debba essere messo al corrente », chiese Niscizawa ridendo allegramente.
    Uscimmo dagli alloggi e tutti e tre ci mettemmo a parlare sottovoce per organizzare il piano da eseguire all'indomani.
    Non avevamo alcun timore di presentarci su Moresby da soli perchè tra noi tre avevamo abbattuto un totale di sessantacinque apparecchi nemici;
    io ventisette, Niscizawa venti e Ota diciotto.
    Andammo su Moresby con tutta la nostra forza disponibile, che era di diciotto Zero, guidati personalmente dal comandante dello stormo, Tadasci Nakajima.
    Niscizawa e io eravamo suoi gregari.

    L'attacco fu un fallimento:
    tutti i bombardieri erano stati accuratamente mimetizzati e nascosti ai nostri sguardi, ma in aria le cose furono ben diverse.
    Tre formazioni nemiche ci piombarono addosso nel cielo del campo;
    virammo verso la prima e l'attaccammo di muso.
    Nel combattimento velocissimo che ne segui sei P 39 vennero abbattuti in fiamme, due dei quali per opera mia.
    Diversi Zero lasciarono la mischia per andare a mitragliare il campo, ma questa iniziativa si tradusse in una rovina per loro perchè due caccia, gravemente colpiti, non poterono rientrare a Lae e dovettero atterrare fuori campo, nelle gole degli Owen Stanley.
    Dopo il combattimento ci rimettemmo in formazione.
    Appena le pattuglie si furono ricostituite segnalai al comandante Nakajima che mi sarei abbassato per inseguire un velivolo nemico;
    ricevuta l'autorizzazione mi buttai giù con una larga virata in picchiata.
    Fui di ritorno su Moresby in pochi minuti, circuitando a tremilacinquecento metri;
    la contraerea non sparò e nessun velivolo apparve nel cielo.
    Vidi poi arrivare due Zero alla mia stessa quota e subito ci mettemmo in pattuglia;
    Niscizawa e Ota mi sorrisero e io ricambiai il saluto.
    Stringemmo la formazione fino a portarci con le ali a brevissima distanza le une dalle altre;
    aprii il tettuccio, tracciai un cerchio verticale, con un dito, sulla mia testa e alzai poi tre dita;
    ambedue i piloti risposero assentendo:
    avremmo fatto tre loopings di seguito, stretti insieme.
    Un ultimo sguardo in giro per vedere se ci fossero velivoli nemici: nessuno!
    Allora picchiai per prendere velocità, con Niscizawa e Ota stretti accanto.
    Tirai la leva e lo Zero rispose magnificamente, descrivendo una Curva perfetta e ricadendo poi all'indietro, mentre gli altri due mi seguivano esattamente
    Andammo su e giù altre due volte, picchiando e tirando poi il looping.
    Da terra non venne sparato nemmeno un colpo e il cielo rimaneva sempre sgombro di nemici.
    Quando ebbi finito le tre gran volte, Niscizawa ridendo felice mi fece segno di continuare ancora;
    mi voltai a sinistra e, visto che anche Ota rideva approvando col capo, non potei resistere alla tentazione.
    Picchiammo fino a meno di duemila metri sul campo nemico e ripetemmo i tre loopings in perfetta formazione.
    La contraerea anche questa volta non sparò.
    Avevamo quasi l'impressione di trovarci sul nostro stesso campo e forse destavamo ,a terra un grande interesse;
    pensai che molto probabilmente tutto il personale di Moresby si fosse messo a guardare e questo pensiero mi fece scoppiare in una grossa risata.
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:48 pm

    Rientrammo a Lae venti minuti dopo che ghi altri erano già a terra e non raccontammo a nessuno quello che avevamo fatto.
    Appena però Potemmo riunirci, ci mettemmo a sfogare la nostra soddisfazione, tutti contenti, gridando e dandoci gran colpi nella schiena.
    Ma il nostro segreto non doveva rimanere tale per lungo tempo;
    quella sera stessa, subito dopo le nove, un piantone venne a cercarci negli alloggi, dicendoci che il capitano Sasai voleva vederci immediatamente.
    Ci guardammo l'un l'altro piuttosto preoccupati, perchè avremmo potuto ricevere una seria punizione per quel che avevamo fatto.
    Appena entrati nell'ufficio di Sasai, il capitano si alzò in piedi urlando:
    «Guardate qua, sciocchi bastardi che non siete altro! Guardate questo! »
    Aveva il viso rosso e riusciva a malapena a controllarsi mentre agitava davanti alle nostre facce una lettera scritta in inglese.
    «Sapete di dove mi arriva questa cosa? No?
    Ve lo dico io, stupidi che non siete altro;
    E’ stata lanciata pochi minuti fa sulla pista da un velivolo nemico!»


    La lettera diceva:
    "Al comandante di Lae:
    siamo rimasti molto impressionati dalla visita fattaci oggi da tre dei suoi piloti e ci sono molto piaciuti i loopings eseguiti sul nostro aeroporto.
    E’ stata un'ottima esibizione e saremmo molto grati ai tre piloti se volessero tornare ancora, portando ciascuno una sciarpa verde attorno al collo.
    Siamo dispiaciuti di non aver potuto dedicare loro soverchia attenzione, quest'oggi;
    ma cercheremo di preparare loro un'accoglienza migliore per la prossima volta ».


    Tutto quel che avevamo ottenuto era stato di farci prendere in giro;
    la lettera era firmata da un gruppo di piloti della caccia di Moresby.
    Il capitano ci tenne rigidamente sull'attenti e ci ammonì severamente per il nostro «comportamento idiota ».
    Ci ordinò poi di non fare mai più, nella maniera più assoluta, acrobazie sui campi nemici Tutto sommato, era stato però un bello scherzo e, ricordandolo, ci godevamo ogni minuto della nostra Danza macabra sulla base di Moresby.
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    Messaggio  Staff Mer Set 10, 2008 10:49 pm

    Non potevamo tuttavia ancora sapere che il giorno dopo, ci sarebbe stata una vera danza della morte eseguita senza scopi di esibizionismi aerei.
    Sette dei nostri Zero andarono a scortare otto bombardieri sulla base nemica; l'avevamo appena raggiunta che almeno diciotto caccia americani ci piovvero addosso da tutte le direzioni.
    Fu la prima battaglia difensiva in cui mi trovai, e lnoltre dovevamo anche difendere gli otto bombardieri dai velocissimi attacchi nemici.
    Ne allontanai diversi dalle loro spalle,ma non riuscii a farne cadere nemmeno uno;
    tre caccia alleati vennero però incendiati da altri piloti.
    I nostri bombardieri riuscirono a sganciare le loro bombe, anche se non troppo accuratamente, poi virarono alla meno peggio per tornare a casa.
    Vedemmo allora un P 39 picchiare a tutta velocità in mezzo alla loro formazione, senza che potessimo intervenire per stornare l'attacco:
    in un dato momento il cielo era libero e, un attimo dopo, l'Aircobra stava sputando fuoco da tutte le sue armi contro l'ultimo bombardiere della pattuglia, virando poi e picchiando per portarsi fuori tiro.
    Il velivolo colpito si era incendiato e, quando gli arrivai vicino, mi parve di riconoscerlo:
    era infatti quello stesso Mitsubisci che aveva atterrato a Lae , il suo pilota era quello col quale avevamo parlato nei nostri alloggi.
    Le fiamme aumentavano mentre il bombardiere picchiava e acquistava velocità:
    perdeva quota rapidamente e sembrava che precipitasse senza controllo;
    poco sotto i duemila metri le vampe lo avvolsero completamente.
    Di colpo, sempre ardendo terribilmente, il muso del velivolo si alzò per cominciare una cabrata;
    lo guardavo a bocca aperta e lo vidi tirare un looping, manovra quasi impossibile per un povero Betty.
    Il pilota, lo stesso che ci aveva detto che avrebbe voluto poter fare un looping con un caccia, lo stava facendo.
    Il bombardiere si rovesciò, rimase appeso a metà manovra, poi scomparve in una palla di fuoco che lo nascose completamente alla nostra vista.
    La massa incendiata cadde e, poco prima che toccasse terra, il cielo fu scosso dalla violenta esplosione dei serbatoi.

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    Messaggio  Staff Dom Set 14, 2008 11:06 pm

    Il tre agosto il Comando di Rabaul richiamò tutti gli Zero assegnati a Lae;
    noi fummo felici del trasferimento perchè ci offriva il doppio vantaggio di evitare la quotidiana pattuglia su Buna e i bombardamenti notturni.
    Partimmo lasciando a Lae Ie nostre cose personali, pienamente sicuri di ritornare presto;
    ma sbagliavamo di grosso.
    Per i primi quattro giorni di permanenza a Rabaul facemmo soltanto ricognizione e crociere su Rabi, che era stato rapidamente attrezzato e ampliato a tal punto da divenire il centro più temibile della caccia nemica, quasi sul genere dl Moresby.
    L'otto agosto, dopo avere ricevuto dal Comando l'ordine per l'effettuazione di una crociera, c'incamminammo attraverso il campo per recarci ai nostri velivoli;
    quando ormai quasi tutti i diciotto piloti erano già a posto nei rispettivi abitacoli, sopraggiunsero di corsa alcuni piantoni per avvertirci che il volo era stato annullato.
    Dovevamo tornare subito al Comando.
    Vi trovammo una gran confusione: piantoni e portaordini correvano in tutte le direzioni e gli ufficiali che v'incontrammo avevano un aspetto molto preoecupato.
    Il comandante Nakajima, che avrebbe dovuto condurre la nostra crociera, uscì dall'ufficio dell'ammiraglio,piuttosto inquieto, urlandoci:
    - La missione odierna è stata annullata! C'e da fare qualcos'altro!
    Si guardò attorno per la stanza.
    - Dove si è cacciato il mio piantone? Tu!, urlò rivolto a un portaordini che appariva meravigliatissimo.
    - Portami una carta, svelto!
    Stese la mappa su un grande tavole e cominciò a misurare una distanza con un compasso, senza prestare alcuna attenzione ai piloti che lo circondavano.
    Chiesi al capitano Sasai se avesse un'idea di quel che stava accadendo;
    Sasai lo chiese a Nakajima e, dopo aver ricevuto una breve risposta, si precipitò nell'ufficio dell'ammiraglio senza dirci una parola
    Dopo qualche minuto ne uscì e fece segno a tutti i piloti di avvicinarsi a lui;
    quel che ci disse ebbe l'effetto dello scoppio di una bomba. .
    «Alle cinque e venti di questa mattina una poderosa forza anfibia nemica ha iniziato l'invasione di Lunga, all'estremo meridionale dell'isola di Guadalcanal.
    Le prime informazioni dicono che gli amencani stanno rovesciando in quel punto una vera valanga di uomini e di mezzi.
    Contemporaneamente hanno attaccato Tulagi, nell'isola della Florida e tutta la nostra flotta di idrovolanti che vi era concentrata è andata distrutta.
    Appena il comandante avrà trac¬ciato le rotte' per il nuovo obiettivo decolleremo per Guadalcanal, per attaccare le forze nemiche sulla spiaggia. » . ."
    I piantoni consegnarono a ogni pilota Ie carte della zona e tutti ci mettemmo a studiare per cercarvi quell'isola, fino allora sconosciuta, che diveniva di colpo tanto importante.
    Tutti brontolavano tra se e se;
    uno,esasperato, urlò: .
    « Dov'e questa dannata isola? Chi ha mai sentito prima d'ora un nome simile? » Misurammo la distanza tra Rabaul e Guadalcanal:
    si udirono sommessi sibili di meraviglia perche si trattava di poco meno di millecento chilometri.
    Avremmo dovuto superare quella distanza per arrivare sulla spiaggia dello sbarco, impegnarvi combattimento con i caccia nemici e poi ripercorrerla per rientrare a Rabaul!
    Una cosa inaudita!
    Significava un volo senza scalo di oltre duemila chilometri, senza contare la battaglia e le eventuali ma quasi certe deviazioni per evitare i temporali che avrebbero portato a un pauroso aumento dei consumi.
    Ve n'era abbastanza per stroncare qualunque commento;
    attendemmo in silenzio che il comandante alzasse la testa dalla carta e ci desse gli ordini.
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    Messaggio  Staff Lun Set 15, 2008 10:08 pm

    Nel frattempo piantoni su piantoni si succedevano nell'ufficio dell'ammiraglio per portargli le ultime notizie della battaglia terrestre;
    a un certo momento ne udimmo uno dire al comandante Nakajima che ogni comunicazione era stata interrotta con Tulagi e che i nostri soldati vi erano morti fino all'ultimo uomo.
    Sasai impallidì visibilmente e dovetti chiedergli più e più volte cosa gli stesse accadendo;
    finalmente, guardando diritto avanti a se. mi rispose calma:
    « Mio cognato era di guarnigione a Tulagi! »
    Non era il caso di stare a discutere sul significato di quel tempo passato che aveva adoperato nel riferirsi al cognato:
    se Tulagi era adesso in mano nemica era ovvio che il marito di sua sorella, il capitano Yoscio Tasciro comandante di un reparto di idrovolanti, non poteva essere più vivo.
    Aveva certamente combattuto fino all'ultimo e la sua fine venne infatti confermata in seguito.
    Nakajima ci chiamò per darci i nuovi ordini.
    «Partirete per la più lunga operazione di caccia della storia», ci avverti.
    «Evitate di correre qualunque rischio inutile. Eseguite rigidamente gli ordini e' soprattutto evitate qualunque negligenza e state attenti a non sciupare benzina.
    Chiunque tra voi dovesse trovarsi a corto di carburante, durante il ritorno da Guadalcanal, faccia un atterraggio di fortuna sull'isola di Buka:
    le nostre truppe che vi si trovano di guarnigione hanno ricevuto ordini di occuparsi dei nostri velivoli in tale eventualità.
    «Attenzione! Il volo fino a Guadalcanal e ritorno a Buka equivale a superare una distanza all'incirca simile a quella che già venne coperta quando andaste da Tainana a Clatk, nelle Filippine, e poi ne tornaste.
    Non vi sono quindi dubbi che sia possibile superare questa distanza:
    il rientro a Rabaul è invece un'altra faccenda;
    potreste anche riuscire a farcela, ma indubbiamente non sarà una cosa facile.
    Vi ripeto perciò il mio avvertimento: non sciupate benzina!»

    Il comandante Nakajima mi disse poi a Tokio, dopo la guerra, che l'ammiraglio gli aveva chiesto di mandare a Guadalcanal, quel sette agosto,tutti gli Zero in condizioni di volare.
    Nakajima aveva protestato e offerto invece di inviarvi i dodici migliori, piloti dello stormo, perchè temeva di perdere almeno la meta degli equipaggi in una missione effettuata a tale distanza.
    Ne era sorta un'accesa disputa finche erano venuti a un compromesso, risolvendo di' mandare diciotto caccia, con l'accordo, che coloro che avessero dovuto atterrare a Buka sarebbero poi stati recuperati.
    Appena ricevuti gli ordini, i piloti si suddivisero in gruppi di tre ciascuno.
    Io dissi a Hatori e Yonekawa, i miei due gregari:
    «Oggi incontrerete per la prima volta i piloti della marina americana; essi sono in condizioni di notevole vantaggio su di noi perchè noi dobbiamo coprire una enorme distanza.
    Voglio che poniate la massima attenzione a qualunque manovra che facciate;
    per prima cosa non allontanatevi mai da me:
    qualunque cosa succeda, chiunque ci sia intorno a noi, tenetevi stretti al mio aeroplano il più che potete:
    Ricordate sempre e solo questo: non allontanatevi mai da me! »

    Corremmo agli aeroplani e attendemmo che la pista fosse libera;
    ventisette bombardieri Betty decollarono prima di noi con un gran rombare di motori, poi il comandante Nakajima agitò le mani fuori dell'abitacolo e alle otto e mezzo tutti i velivoli erano in volo.
    Gli specialisti e gli altri piloti che non dovevano volare si erano riuniti sui due lati della pista agitando i berretti e urlandoci i loro auguri.
    Il tempo era magnifico, specialmente nella zona di Rabaul.
    Persino il vulcano si manteneva calmo: le sue eruzioni erano terminate nel giugno precedente e il suo cratere lasciava uscire soltanto un sottile,filo di fumo che il vento piegava verso occidente.
    Ci mettemmo in posizione di scorta dietro ai bombardieri;
    ero rimasto sorpreso nel vedere che i Betty portavano bombe invece di siluri, che erano il normale armamento per l'attacco alle navi.
    Le bombe mi infastidivano; conoscevo benissimo i problemi del tiro da alta quota contro bersagli mobili e sapevo che anche i B17, nonostante la loro grande precisione, mandavano la maggior parte delle loro bombe in mare quando attaccavano le navi al largo di Buna.
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    Messaggio  Staff Mar Set 16, 2008 10:53 pm

    Prendemmo quota lentamente dirigendoci verso est, puntando sull'isola di Buka.
    Lungo questa tratto di rotta notai a un tratto un'isola, particolarmente bella sull'acqua, a circa centoventi chilometri a est di Rabaul;
    d'un bel verde briIIante, aveva la forma di un ferro di cavallo e sulla carta era segnata col nome di Isola Verde.
    In quel momento non sospettavo certamente che proprio quella brillantezza di colori che richiamava così vivamente lo sguardo, mi avrebbe in seguito salvato la vita.
    Da Buka la formazione virò verso sud tenendosi lungo le coste occidentali di Bougainville.
    Il sole picchiava, caldissimo, sull'abitacolo e il calore mi fece venir sete;
    poichè avevamo ancora molto tempo disponibile prima di arrivare sulla zona nemica presi una bottiglietta di soda dalla scatola dei viveri.
    Senza pensarci tanto I'aprii, ma avevo dimenticato che ci trovavamo in quota e non appena ebbi tolto il sughero, l'acqua schizzò violentemente, spinta dalla pressione del gas;
    in pochi secondi, aveva bagnato tutto davanti a me.
    Per fortuna si asciugò rapidamente, ma lo zucchero disciolto nella soda si era depositato sugli occhiali, impedendomi la vista.
    Nauseato per la mia balordaggine mi misi a sfregarli, ma non riuscii a pulirli completamente. .
    Nei pochi minuti che seguirono dovetti lavorare per liberare non soltanto gli occhiali, ma anche il parabrezza e tutto I'abitacolo;
    non mi ero mai sentito tanto ridicolo e, mentre mi affaticavo a sfregare, sempre più irritato, lasciavo che il velivolo errasse per suo conto al disopra della formazione.
    Nel frattempo potevo guardare in tutte le direzioni;
    vidi così che ci trovavamo esattamente al disopra di Vella Lavella,circa a mezza strada tra Rabaul e Guadalcanal.
    Sulla Nuova Georgia prendemmo ancora quota e ci portammo a seimila metri, davanti a noi, a circa cento
    chilometri di .distanza, Guadalcanal si ergeva vagamente sul mare.
    Nonostante fosse ancora tanto lontana riuscii a scorgere qualcosa, come vampate giallastre che rompevano il blu del cielo dell'isola, tanto disputata.
    Evidentemente la battaglia era ancora in corso tra gli Zero provenienti da altre basi fuori Rabaul e i velivoli della difesa nemica.
    Detti un' occhiata alla costa settentrionale di Guadalcanal :nel canale che la separava da Florida centinaia di linee bianche e sottile, le scie delle navi americane, s'incrodavano dovunque sull'acqua;
    dovunque guardassi non vedevo che navi.
    Non avevo mai visto prima di allora tanti mezzi da guerra e da trasporto riuniti insieme.
    Questa fu la mia prima visione di un'operazione anfibia americana.
    Era quasi incredibile: una settantina almeno di navi da carico puntavano verso le spiagge mentre una dozzina di cacciatorpediniere sollevavano grandi baffi di spuma attorno a loro;
    all'orizzonte c'erano poi ancora altre navi, ma erano troppo distanti perche mi fosse possibile definire il tipo o anche soltanto contarle.
    Nel frattempo i bombardieri si erano abbassati lentamente, mettendosi in posizione di tiro.
    A quattromila metri, esattamente davanti a loro, apparirono nuvolette di fumo;
    alla nostra destra e sopra di noi, splendeva il sole e la sua luce abbagliante ci toglieva la vista. .
    Ero molto preoccupato perchè noi non avremmo mai potuto scorgere la caccia nemica che eventualmente ci fosse piombata addosso da quella direzione.
    I miei timori ebbero una pronta conferma perche, senza, alcun preavviso sei velivoli nemici spuntarono bruscamente da quel chiarore abbagliante, come se fossero comparsi improvvisamente nel cielo;
    un'occhiata mi rivelò che erano più piccoli, ma più tozzi di quelli contro i quali avevamo fino allora combattuto.
    Erano dipinti in verde oliva e avevano la faccia inferiore delle ali colorata di bianco;
    erano i Wildcat, i primi Grumman F4F che avessi mai visto.
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    Messaggio  Staff Ven Set 19, 2008 9:48 pm

    I Wildcat, ignorando completamente gli Zero, si buttarono sui bombardieri e i nostri caccia andarono subito all'attacco, qualcuno sparando anche da molto lontano nella speranza di distrarre l'attenzione dei nemici.
    Gli americani si tuffarono in mezzo alla formazione dei Betty, poi virarono e sfuggirono in picchiata.
    Giunti sulla zona di mare attorno all'isola di Savo, i bombardieri sganciarono il loro carico su un enorme convoglio;
    seguii con lo sguardo le bombe nella loro lunga caduta e di colpo, una serie di alte colonne di spuma comparvero nel mare, senza tuttavia che il minimo danno venisse arrecato alle navi.
    Era stata ovviamente una sciocchezza, pretendere di colpire bersagli cosi piccoli e mobili da una tal quota!
    Non riuscivo a rendermi conto del perche non fossero stati impiegati i siluri, che avevano dato ottimi risultati nel passato;
    tutto il nostro volo era andato completamente a vuoto a causa dell'impressione del bombardamento effettuato cosi dall'alto.
    (Il giorno successivo i bombardieri tornarono all'attacco, portando questa volta i siluri, per colpire da bassa quota. Ma ormai era troppo tardi;
    i caccia nemici si lanciarono su loro e molti di essi caddero in fiamme prima ancora di aver potuto raggiungere il bersaglio prescelto.)
    Dopo aver lanciato le bombe, la formazione dei bombardieri virò sulla sinistra prendendo velocità e dirigendosi poi su Rabaul mentre noi ancora li scortavamo;
    giunti all'altezza di Russel, dove ormai erano al sicuro dalle pattuglie dei caccia nemici, virammo per tornare su Guadalcanal;
    era circa l'una e mezzo del pomeriggio.
    Passammo su Lunga, disposti in formazione di combattimento, e di nuovo, altri Wildcat comparvero all'improvviso nella luce abbagliante del sole, picchiando su di noi.
    Io fui l'unico a notare l'attacco e subito misi il mio caccia in cabrata, seguito dagli altri velivoli;
    i Wildcat però si sparpagliarono e picchiarono in tutte le direzioni.
    La loro tattica evasiva ci metteva nell'imbarazzo, perche nessun risultato poteva essere raggiunto da nessuna delle due parti avversarie;
    sembrava ovvio che, per quel giorno, gli americani non avessero voglia di combattere contro
    di noi. '
    Mi voltai per controllare i miei gregari, ma essi se n'erano andati!
    Guardandomi intorno mi accorsi allora che, tutto sommato, le cose non andavano così lisce come dapprima mi era parso e che gli americani stavano per impegnare combattimento.
    Cercai dappertutto con lo sguardo, per scoprire Yonekawa e Hatori, ma non riuscivo a vederli;
    notai per un momento il velivolo di Sasai, facilmente distinguibile per le due lunghe strisce blu lungo la fusoliera: stava raggiungendo la formazione mentre alcuni caccia si rimettevano in pattuglia dietro di lui; non riuscivo però a scorgere i miei gregari.
    Finalmente li vidi, a circa quattrocento metri sotto di me.
    Contemporaneamente vidi un Wildcat isolato che aveva attaccato tre Zero sparando loro brevi raffiche mentre essi manovravano freneticamente per evitarle.
    I quattro velivoli erano impegnati in un duello selvaggio che si svolgeva a base di strettissime spirali;
    gli Zero riuscivano a portarsi facilmente in posizione di sparo, ma ogni volta che stavano per aprire il fuoco quel Grumman dannato evitava le raffiche con una brusca manovra che lo portava invariabilmente in coda di uno dei tre giapponesi.
    Non avevo mai visto, prima di allora, nulla di simile.
    Battei le ali per segnalare l'attacco a Sasai e mi buttai in picchiata.
    Il Wildcat era in quell'istante come appeso alla coda di uno Zero a cui stava sparando e le sue pallottole traccianti sforacchiavano le ali e i timoni del mio compagno.
    Preso dalla disperazione sparai una raffica di avvertimento e subito il Grumman, che l'aveva notata, virò secco sulla destra, stringendo il giro e finendolo in una cabrata che lo portò proprio sotto il mio aeroplano.
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    Messaggio  Staff Ven Set 19, 2008 10:00 pm

    Non mi era ancora capitato di vedere un velivolo nemico manovrare così velocemente e con abilità;
    le sue mitragliatrici si avvicinavano sempre più al ventre del mio Zero e dovetti virare rapidamente per togliermi dalla sua mira.
    Ma il pilota nemico non si scosse;
    seguiva la mia tattica favorita, quella di attaccare dal basso.
    Chiusi il motore e sentii il mio caccia barcollare quando perse velocità;
    ma la manovra mi riuscì e il nemico, finita la tirata, tornò all'attacco.
    Detti allora tutto motore e virai a sinistra;
    per tre volte virai seccamente, ma alla fine caddi in vite e ne uscii in spirale verticale, sempre seguito dal Wildcat che guadagnava terreno a ogni giro.
    Le nostre ali erano ormai a angola retto con l'orizzonte, le sinistre puntate contro il mare e le destre verso il cielo.
    Nessuno dei due riusciva più a guadagnare terreno sull'altro;
    stringemmo il giro disperatamente mentre una tremenda forza centrifuga ci schiacciava sui sedili, aumentando a ogni secondo.
    Il cuore mi pulsava violentemente e la testa era divenuta più pesante di una tonnellata mentre un velo grigio mi scendeva lentamente sugli occhi;
    strinsi i denti, se il mio avversario poteva sopportare quello sforzo, avrei senz'altro potuto sopportarlo anch'io.
    Quello di noi che avesse ceduto per primo e cambiato manovra, allentando la stretta, sarebbe stato perduto.
    Dopo il quinto giro il Wildcat barcollò leggermente; è mio! pensai.
    Ma il Grumman picchiò leggermente il muso, prese velocità e il pilota lo ebbe di nuovo sotto controllo:
    chi sedeva ai comandi aveva i nervi d'acciaio.
    Un attimo dopo, tuttavia, fece l'errore: invece di stringere il sesto giro diede ancora motore, si raddrizzò alquanto e tirò un looping.
    Era arrivato il momento decisivo: gli corsi appresso tagliando all'interno l'arco tracciato dal Grumman e gli arrivai in coda: era fatta!
    Il mio avversario si mise a fare un looping dietro l'altro, cercando di accorciare le distanze ad ogni giro, ma ogni volta ero io che potevo invece tagliare all'interno e avvicinarmi a lui lentamente;
    lo Zero era superiore a qualunque altro aeroplano del mondo, in questa genere di manovra.
    Quando fui a soli cinquanta metri di distanza gli sparai una raffica e rimasi altamente meravigliato di vederlo interrompere i suoi loopings e mettersi a volare diritto.
    Data la breve distanza, non avevo nemmeno bisogno di adoperare i cannoncini, sparai duecento colpi di mitragliatrice nell'abitacolo e vedevo distintamente le mie pallottole stracciare la leggera lamiera di copertura e fracassare le vetrate.
    Non volevo credere ai miei occhi:
    il Wildcat continuava a volare diritto e tranquillo come se nulla gli stesse accadendo.
    Se uno Zero avesse dovuto subire una tale gragnuola di colpi sarebbe già stato ridotto a una palla di fuoco; non ci capivo nulla.
    Spinsi la manetta e mi avvicinai al velivolo americano che intanto perdeva velocità;
    in un attimo lo superai senza volerlo e mi trovai a una decina di metri davanti a lui mentre stavo cercando di rallentare la corsa e mi stringevo nelle spalle istintivamente, pronto a sentirmi piovere addosso i colpi nemici.
    Mi ero messo in trappola.
    Ma nessun colpo venne sparato e le mitragliatrici dell'avversario rimasero silenziose.
    La situazione era divenuta incredibile; diminuii ancora la velocità fino a farmi raggiungere dal nemico in modo che la sua ala fosse accanto alla mia, come in pattuglia, poi aprii il tettuccio e lo fissai.
    Anche il tettuccio del Wildcat era stato arretrato ,e potevo vedere chiaramente il pilota:
    era un uomo piuttosto grosso, con un volto rotondo, vestito di una leggera uniforme cachi:
    si trattava di una persona di media età e non di un giovane, come avevo invece supposto.
    Per qualche secondo continuammo a volare in quella strana pattuglia, guardandoci negli occhi attraverso quel poco spazio che ci separava.
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    Messaggio  Staff Sab Set 20, 2008 1:17 pm

    Il Wildcat pareva fosse stato macellato e i fori delle mie pallottole erano sparsi dovunque,fittamente, lungo le ali e nella fusoliera;
    la lamiera che rivestiva il timone di direzione era stata divelta e la struttura interna, completamente visibile, gli dava l'aspetto di uno scheletro.
    Intanto potevo anche rendermi conto del perché, di quel volo diritto e del motivo per il quale il pilota non mi aveva sparato:
    la sua spalla destra era coperta di sangue e un rivolo nero gli colava sul petto ..
    E’ incredibile che un aeroplano e un uomo ridotti in quelle condizioni potessero ancora volare!
    Non potevo uccidere quel pilota; non avrei potuto assolutamente farlo mentre era ancora in volo, ormai senza più alcuna speranza, ferito e col velivolo ridotto a un rottame.
    Levai la mana sinistra, agitandola verso di lui e urlandogli, pur sapendo ch'era inutile, di combattere invece di persistere nel suo volo diritto che lo rendeva simile al piattello lanciato per il tiro a volo.
    L'americano sembrò sorpreso; sollevo debolmente la mano destra agitandola.
    Non mi ero mai sentito cosi strano.
    Avevo abbattuto molti americani in combattimento, ma questa era la prima volta che avevo sotto gli occhi un uomo ridotto cosi a mal partito e con ferite che io stesso gli avevo inflitto con le mie pallottole. . .
    Non riuscivo a rendermi conto se avrei potuto o no, onestamente, finirlo.
    Erano pensieri assurdi, ovviamente: ferito o no, era un nemico che poco prima aveva attaccato tre dei miei uomini.
    Tuttavia non riuscivo a sentire che questa fosse una ragione sufficiente per sparargli ancora addosso: volevo abbattere l'aeroplano, non l'uomo.
    Mi portai dietro di lui e mi misi di nuovo in coda; in quel mentre I'americano deve aver riunito quel poco di forze che ancora gli restavano e aveva tirato un looping.
    Era il momento: il muso del velivolo,si era alzato e potei cosi mirare accuratamente al motore, sparando pochi colpi di cannoncino.
    Una vampata di fuoco e di fumo ne scaturì immediatamente:
    Il Grumman virò e il pilota si lanciò.
    Il paracadute si aprì molto basso, sotto di me, ma quasi esattamente sulla costa di Guadalcanal, in modo che il pilota non ebbe nemmeno bisogno di manovrare le corde per dirigerlo, ma rimase appeso tranquillamente alla calotta.
    L'ultima visione che ne ebbi fu quando stava per prendere terra sulla spiaggia.
    Gli altri Zero si rimisero prontamente in pattuglia con me;
    Yonekawa si rimise al suo posto con una grossa risata ,e tutti riprendemmo quota dirigendoci di nuovo sull’isola, in cerca di aeroplani nemici.,mentre i primi colpi della contraerea cominciavano a scoppiare.
    La mira era scarsa, ma il semplice fatto che subito poche ore dopo l'invasione i nemici avessero disponibili sulle spiagge i cannoncini della contraerea pesante era altamente indicativo.
    Sapevo che le nostre truppe non avrebbero potuto sbarcare armi di quel calibro, prima di almeno tre giorni dall'inizio di una operazione del genere e la velocità con la quale invece gli americani vi avevano provveduto era davvero stupefacente.
    Molto tempo dopo, il comandante Nakajima mi descrisse quel che era accaduto agli altri quattordici Zero:
    I caccia della marina nemica si erano sempre tenuti in quota, su Guadalcanal, attaccando i nostri velivoli con forti picchiate, sfruttando la protezione offerta dall'alone solare.
    Prima di quel giorno Nakajima e i suoi piloti non avevano mai incontrato un' opposizione cosi violenta e un nemico cosi deciso a non mollare.
    I Wildcat, attaccando dall'alto, non avevano fatto altro che buttarsi in continuazione contro la formazione degli Zero. .
    Ogni volta i Wildcat picchiavano, sparavano, viravano e poi sparivano in basso.
    Lontano, sempre rifiutando il combattimento individuale che avrebbe consentito agli Zero di far risaltare la loro netta superiorità nel campo della maneggevolezza.
    La tattica non era errata, ma per fortuna nostra la loro mira era molto poco accurata e infatti uno solo dei nostri velivoli venne abbattuto da tutti quegli attacchi.
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    Messaggio  Staff Sab Set 20, 2008 1:41 pm

    Quella la fu la giornata trionfale di Niscizawa.
    Prima di aver finito le munizioni quel magnifico pilota aveva abbattuto sei Grumman con una serie di manovre assolutamente incredibili, che avevano lasciato senza fiato i suoi gregari. . ..
    Fu in quella stessa giornata che Nakajima ebbe a subire quella che poi divenne una tattica normale per il nemico e cioè l'attacco simultaneo di due caccia nemici.
    I due Wildcat si buttarono contro il suo velivolo e Nakajima non ebbe difficoltà a virare e a mettersi in coda a uno di essi;
    non riuscì però a sparare una raffica perche l'altro, subito, lo attaccava di fianco, sparandogli a sua volta. Quando atterro a Rabaul, Nakajima era ancora tremante di collera per essere stato costretto a buttarsi in picchiata per sfuggire all'abbattimento.
    Niscizawa e io fummo i soli piloti di tutto il gruppo che abbatterono velivoli nemici durante quello scontro.
    Nel frattempo ero tornato a duemila metri, sempre seguito dai tre velivoli, passando attraverso un leggero strato di nuvole sparse e senza avvistare velivoli avversari.
    Ero appena uscito da una nuvola quando, per la prima volta in vita mia, un velivolo nemico mi colse di sorpresa;
    sentii un rumore di tuono, il fischio delle pallottole e un buco di quasi cinque centimetri di diametro apparve nel vetro alla mia sinistra, a meno di quindici centimetri dalla mia faccia: .
    Non avevo visto ancora nessun velivolo nemico attorno a me e, per quello che ne sapevo, quel buco poteva anche essere stato causato da una scheggia della contraerea;
    ma subito però lo scorsi:
    era un bombardiere, non un caccia, che mi aveva colto In fallo.
    Era un Dauntless, che subito virò per buttarsi al coperto dentro una nuvola.
    L'audacia del suo pilota era sorprendente: aveva attaccato, coscientemente, quattro Zero col suo velivolo da bombardamento in picchiata, male armato.
    In un attimo gli fui in coda; il Dauntless manovrava saltando di qua e di la per diverse volte, poi si buttò
    di colpo dentro una nuvola e io lo seguii senza' esitare.
    Per qualche secondo non vidi che una massa fluttuante, poi uscimmo in aperta luce; mi avvicinai decisamente e sparai.
    Vidi perfettamente il mitragliere di coda alzare le mani e ricadere sulla sua stessa arma, tirai leggermente la leva e i colpi entrarono nel motore.
    Il velivolo oscillò ripetutamente sulla sinistra e poi precipitò in candela.
    Yonekawa vide il pilota lanciarsi.
    Era la mia sesta vittima.
    Tornati a quattromila metri cercammo invano gli altri componenti del gruppo; qualche minuto dopo, guardando verso le coste di Guadalcanal, avvistai le sagome di alcuni aeroplani che si trovavano diversi chilometri davanti.
    Li segnalai agli altri piloti e detti motore per avvicinarmi a loro; potei così vedere che si trattava di otto apparecchi nemici, divisi in due pattuglie di quattro:
    era una formazione che i nostri caccia non assumevano mai.
    Ero già molto avanti rispetto ai miei gregari e continuai ad avvicinarmi al gruppo nemico;
    avrei attaccato quelli che si trovavano sulla destra.
    Lasciando agli altri Zero che mi seguivano la seconda pattuglia.
    Ed ecco che i nemici strinsero la formazione: perfetti!
    Sembravano Wildcat e il fatto che si fossero raggruppati significava che non mi avevano ancora avvistato.
    Finchè rimanevano in pattuglia mi sarebbe stato possibile attaccarli e colpirli senza preavviso, sparando loro dal basso e in coda.
    Ancora pochi secondi... e avrei potuto abbatterne due al primo attacco.
    Mi avvicinai il più possibile: la distanza diminuì da duecento metri a cento, a settanta, a sessanta ...
    Ero caduto in trappola.
    I velivoli nemici non erano caccia ma bombardieri: erano i nuovi Avenger siluranti, mai incontrati prima di allora.
    Visti di coda sembravano esattamente uguali ai Wildcat, ma da vicino erano ben visibili la torretta superiore con una mitragliatrice dodici e sette e quella inferiore con un altra arma dello stesso calibro.
    Ecco perchè avevano stretto la formazione!
    Mi aspettavano e ora avevo otto mitragliere che mi tenevano sotto mira sulla destra e altrettante dalla sinistra.
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    Messaggio  Staff Dom Set 21, 2008 12:06 am

    Avevo il motore con la super-potenza innestata e quindi non mi era nemmeno possibile ridurre subito la velocità .
    Non potevo più tornare indietro ormai;
    se avessi tirato un looping sarei stato un facile bersaglio perchè avrei esposto al tiro il ventre dello Zero:
    non avevo alcuna probabilità di sfuggire al loro fuoco.
    Non c'era che una sola cosa da fare: andare avanti e sparare con tutte le armi.
    Premetti la leva di comando e quasi nello stesso momento tutte le mitragliatrici della formazione degli Avenger risposero nella stessa maniera.
    Il gracidare delle mitragliatrici e i colpi più cupi dei cannoncini coprivano ogni altro suono;
    i nemici erano a venti metri davanti a me quando vidi scaturire fiamme da due di essi.
    Nello stesso momento una violenta esplosione squasso il velivolo e il mio corpo;
    ebbi la sensazione che dei coltelli mi venissero infilati selvaggiamente negli occhi:
    tutto apparve fiammeggiante attorno a me e, a un tratto, divenni cieco.
    (I tre piloti che mi seguivano riferirono poi al nostro comando di avere visto entrambi gli Avenger precipitare, insieme al mio velivolo; aggiunsero anche che i nemici si lasciavano dietro una scia di fuoco e di fumo.
    Questa loro testimonianza mi valse il riconoscimento dell'abbattimento, sessantunesima e sessantaduesima vittoria.
    Un comunicato ufficiale americano sulla battaglia negò ogni perdita dei Grumman TBF Avenger che operavano da bordo delle portaerei a sud ovest dl Guadalcanal e forse i due velivoli riuscirono effettivamente a rientrare sulla nave.
    Mentre il mio Zero precipitava gli altri due mi seguirono nella picchiata, abbandonandomi poi quando il caccia s'infilò nel banco di nuvole sottostante.) .
    Dovettero passare diversi secondi prima che riprendessi conoscenza.
    Un vento fortissimo e gelato mi soffiava addosso attraverso il parabrezza frantumato facendomi rinvenire senza però ch'io riprendessi anche II controllo dei sensi.
    Tutto mi appariva indistinto e ricadevo continuamente entro parentesi di oscurità che mi piombavano addosso ogni qualvolta cercavo di mettermi seduto diritto.
    Sentivo che la testa mi pendeva all'indietro fino a toccare il poggiatesta.
    Mi sforzavo disperatamente di vedere, ma il cruscotto ondeggiava e ballava davanti ai miei occhi;
    il tettuccio sembrava che fosse stato aperto: le vetrate erano state sfasciate e l'aria mi si precipitava addosso, sbattendomi in faccia come per cercare di strapparmi alla semi incoscienza nella quale mi trovavo.
    Anche gli occhiali erano rotti.
    Non avvertivo niente ... tranne una deliziosa, piacevole sonnolenza.
    Volevo andare a dormire.
    Cercavo di rendermi conto del fatto che ero stato colpito, che stavo morendo, ma non sentivo alcun senso di paura.
    Se questa voleva dire morire, cosi, senza alcun dolore, non c'era da preoccuparsi.
    Ero immerso in un mondo di sogno e uno strano stupore mi ottundeva il cervello mentre alcune visioni galleggiavano attorno a me.
    Il volto di mia madre mi apparve con una chiarezza stupefacente;
    urlava:
    «Vergognati! Vergognati! Svegliati, Saburo, svegliati!
    Ti stai comportando come una ragazzina.
    Non essere vigliacco! Svegliati!»

    A poco a poco cominciai a rendermi conto di quel che stava accadendo:
    lo Zero precipitava come una pietra.
    Mi sforzai di tenere gli occhi aperti e di guardarmi attorno, ma vedevo soltanto un color rosso scarlatto brillantissimo.
    Pensai che il velivolo bruciasse,ma non sentivo alcun puzzo di fumo.
    Ero ancora tutto confuso.
    Sbattei più volte le palpebre:
    c'era qualcosa che non mi tornava, ma non riuscivo a capire cosa.
    Tutto mi appariva cosi rosso!
    Brancolai alla cieca con le mani e incontrai la leva;
    I'afferrai e, sempre incapace di vedere, la trassi leggermente a me: con dolcezza.
    Il velivolo cominciò a riprendersi dalla sua caduta a precipizio e mi sentii premuto sul sedile mentre lo Zero usciva dalla picchiata e si metteva in una specie di volo che doveva avvicinarsi abbastanza a quello orizzontale.
    La pressione dell'aria cominciò a diminuire e il vento cessò dallo sbattere con tanta violenza contro il viso.
    Un pensiero terribile mi attanagliò la mente, riempiendomi di panico:
    dovevo essere diventato cieco!
    Non sarei quindi mai riuscito a rientrare a Rabaul.
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    Messaggio  Staff Lun Set 22, 2008 10:05 pm

    La pressione dell'aria cominciò a diminuire e il vento cessò dallo sbattermi con tanta violenza contro il viso.
    Un pensiero terribile mi attanagliò la mente, riempiendomi di panico:
    dovevo essere diventato cieco!
    Non sarei quindi mai riuscito a rientrare a Rabaul.
    Agivo istintivamente: cercai di alzare la mano sinistra per agguantare la manetta del gas e regolare il motore.
    Tentai più volte, ma la mano non voleva muoversi.
    Niente da fare! Disperato, mi sforzai di stringere almeno le dita.
    Non avvertivo alcuna sensazione, ma solo un intorpidimento.
    Volli allora muovere i piedi sulla pedaliera, ma solamente il destro mi obbedì, facendo derapare violentemente lo Zero.
    Anche il piede destro era intorpidito.
    Stringendo i denti mi sforzai ancora, ma non sentivo nulla, non avvertivo sensibilità di alcun genere. Sembrava che tutta la parte sinistra del corpo fosse paralizzata;
    tentai per diversi minuti di muovere la gamba e il braccio sinistro, ma inutilmente: era impossibile.
    Non avvertivo ancora nessun dolore e non riuscivo a capacitarmene;
    ero stato colpito e gravemente, ma non sentivo niente.
    Avrei tanto preferito avvertire dolore al braccio o alla gamba sinistra, non fosse altro per poter capire se i due membri erano ancora intatti.
    Sentivo le guance bagnate: piangevo e le lacrime sgorgavano da sole.
    Esse mi furono di grandissimo aiuto.
    La mia cecità si attenuò man mano che le lacrime lavavano e portavano via un poco del sangue che mi copriva gli occhi.
    Non riuscivo ancora a udire rumori, ma alla fine riuscii a vederci di nuovo.
    Appena un poco, ma il rosso cominciò ad attenuarsi ed il sole che dardeggiava sull'abitacolo mi permise di vederne il contorno metallico.
    Il collimatore mi appariva come una macchia davanti a me, ma stavo migliorando e poco per volta riconobbi anche i cerchi degli strumenti;
    li vedevo confusi e, sebbene li riconoscessi, non riuscivo a vedere le lancette per leggerne le indicazioni. Voltai la testa e guardai fuori del velivolo: enormi masse nerastre passavano accanto all'ala a velocità grandissima.
    Potevano essere navi nemiche; questa significava che stavo volando a non più di cento metri dall'acqua.
    A un tratto anche l'udito mi tornò; dapprima riconobbi il rombo del motore, poi sentii secchi suoni intermittenti:
    erano le navi che mi sparavano contro.
    Lo Zero volava in mezzo alle nuvolette delle esplosioni della contraerea .
    Stranamente, non feci nessun movimento e rimasi invece seduto tranquillamente nel mio abitacolo, senza tentare alcuna manovra per evitarle.
    Il rumore dei colpi si allontanò: ero fuori tiro.
    Passarono altri minuti durante i quali non feci altro che rimanere inerte cercando, con grandissima difficoltà di. pensare.
    I pensieri mi giungevano a ondate irregolari.
    Volevo riaddormentarmi.
    Pure in mezzo al mio stato di stupore mi resi conto che non sarei mai stato in condizione di volare fino a Rabaul:
    così come mi 'sentivo non ce l’avrei fatta.
    Non sarei nemmeno arrivato fino a Buka, distante circa cinquecentocinquanta chilometri.
    Per qualche minuto mi sentii attratto dal pensiero di infilarmi in mare a tutta velocità, come unica soluzione per la mia incapacità fisica.
    Stavo diventando stupido.
    Cercai allora di svegliarmi insultandomi:
    non era questo il modo di morire!
    Se dovevo morire, pensavo, dovevo farlo da uomo.
    Ero forse un allievo inesperto, incapace di volare?
    I miei pensieri andavano e venivano, ma mi resi conto che non appena fossi riuscito a controllare il velivolo, avrei voluto fare tutto il possibile per trascinare un altro nemico, o anche più nemici, nella mia stessa fine.
    Ero sciocco, ma mi pareva che sarebbe stata una azione disonesta verso qualche pilota nemico se mi fossi infilato in mare soltanto per avere accettato troppo prontamente l’inevitabile.
    Sapevo quale grande valore avessero le vittorie aeree per un pilota da caccia;
    se dovevo morire. perche non avrei potuto farlo in combattimento?
    Perche sparire da solo e non visto da alcuno nell'urto contro il mare,con un'esplosione che sarebbe stata ignorata da tutti?
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    Messaggio  Staff Ven Set 26, 2008 9:03 pm

    Non riuscivo più a ragionare.
    Dove erano i caccia nemici?
    Mi misi a insultare i Wildcat, urlando contro di loro come per attirarmeli addosso.
    «Venite! Eccomi qua! Venite a combattere! »
    Per qualche minuto debbo avere smaniato come un pazzo,dentro al mio abitacolo;
    poi lentamente ritornai in me e a poco a poco mi resi conto della ridicola futilità delle mie azioni e apprezzai l'incredibile fortuna che aveva fatto si ch'io fossi ancora in vita.
    Altre volte mi ero trovato in seri pericoli, ma mai in uno cosi grave come questo;
    in precedenza, alcune pallottole mi avevano sfiorato la testa senza ferirmi, mentre altre mi avevano colpito nelle braccia, limitandosi a lacerarmi la pelle senza altro danno.
    Questa volta però le cose erano diverse e le mie ferite dovevano essere molto gravi;
    eppure avevo la sensazione di potere ancora una volta salvarmi la pelle: perche dovevo gettarla?
    Appena fui in grado di farmi questa domanda mi resi conto che volevo vivere, che volevo rientrare a Rabaul.
    Subito pensai che la prima cosa da fare era quella di esaminare le mie ferite;
    non sapevo ancora dove fossi stato colpito e quanto gravemente.
    Stavo riprendendo fiducia in me stesso man mano che cominciavo a pensare e ad agire seriamente.
    Non riuscivo però a muovere il braccio sinistro e mi misi allora a scuotere violentemente il braccio e la mano destra fino a fame saltar via il guantone da volo che ancora calzavo.
    Quando la mano fu libera me la portai alla testa, delicatamente, come timoroso di quel che avrei potuto trovarvi.
    Le dita, spostandosi sul casco, avvertirono del bagnaticcio appiccicoso, che era certamente sangue, poi incontrarono uno squarcio, proprio in mezzo alla testa.
    Il buco era profondo e pieno di sangue semirappreso e viscido;
    vi spinsi dentro un dito, premendovelo dolcemente.
    Quanto poteva essere profondo?
    Piano piano incontrai qualcosa di duro: avevo paura di dover ammettere la verità, ma il dito era ormai molto addentro rispetto al casco di protezione e quel « qualcosa di duro» non poteva essere che il mio cranio messo allo scoperto dalle pallottole e forse, forse i proiettili potevano essere penetrati nel cervello. Sia pure non molto profondamente.
    Mi ricordai allora tutte le notizie che ci erano pervenute circa gli effetti delle ferite al cervello, che non provocano dolore;
    i conti mi tornavano e le pallottole dovevano essere responsabili della paralisi che avevo individuato nel lato sinistro del corpo.
    Questi pensieri e ricordi non mi si presentarono istantanei, ma come se avanzassero lentamente nella mia testa;
    d'altra parte, come era mai possibile ,che me ne stessi seduto, o meglio accoccolato nell’abitacolo di un velivolo cosi mal ridotto, mezzo cieco e mezzo paralizzato, impegnato a infilare le dita attraverso un buco che avevo nella testa ed essere contemporaneamente obiettivo su quanto mi stava accadendo?
    Mi ero reso conto di quanto mi era accaduto, avevo cognizione del sangue che perdevo e del buco che avevo nel capo, ma sono certo che il vero significato degli avvenimenti non venne afferrato esattamente dai miei pensieri.
    Sapevo quel che i miei sensi mi permettevano di afferrare e basta: questo era tutto.
    Mi passai poi le dita sul volto, che sentii gonfio;
    avvertii le lacrime che seguitavano a cadermi sulle guance e, forse, anche pezzi di metallo che ne sporgevano.
    Non ne ero molto certo; tuttavia mi rendevo conto di essere abbondantemente insanguinato e di avere qua e la, la pelle dilaniata.
    Man mano che la testa continuava a schiarirmisi ed ero sempre più in condizioni di comportarmi razionalmente, avvertivo che lo Zero procedeva sicuro e che il motore batteva regolarmente.
    Odorai l'aria, ma non sentii nè puzzo di fumo ne vapori di benzina;
    potei concludere che ne il motore, ne i serbatoi, ne le tubazioni del carburante erano stati toccati.
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    Messaggio  Staff Sab Set 27, 2008 9:10 pm

    Questa fu la constatazione più bella alla quale potei giungere dal momento in cui avevo ripreso conoscenza, perché col motore a posto e con la scorta di carburante ancora intatta il mio caccia aveva la possibilità di volare per un bel numero di chilometri.
    Ebbi a un certo momento l'impressione che il vento aumentasse, forse in accordo con il graduale migliorare delle mie capacità percettive; continuava a battermi in faccia tanto che cercai di fissare lo sguardo davanti a me, ma la visione era ancora troppo indistinta.
    Mi resi conto tuttavia che il parabrezza era saltato e che questa era la ragione per cui avvertivo un soffio cosi violento sul viso;
    l'apparecchio volava a una velocità di circa trecentosettanta chilometri orari e l'aria che penetrava faceva asciugare il sangue sparso sulla faccia.
    Il buco che avevo in testa era però sempre bagnato e il vento che batteva sulla profonda spaccatura del cranio provocava una continua emorragia.
    Avrei dovuto mettervi qualcosa sopra, altrimenti a un certo momento sarei svenuto di nuovo, ma questa volta per effetto della perdita di sangue.
    Un dolore improvviso mi colpi, come un colpo di lancia, nell'occhio destro.
    Man mano che il dolore aumentava, l'occhio cominciava a pulsare violentemente; provai a toccarlo appena con le dita, ma le allontanai con un sobbalzo e subito la pena divenne intollerabile.
    Misi la mano aperta sull'occhio e mi accorsi che la visione non subiva cambiamenti:
    ero cieco dalla parte destra.
    Ogni pilota della caccia giapponese portava quattro pezze triangolari di garza in una tasca della combinazione di volo;
    ne estrassi una e cercai di bagnarla con la saliva tenendola ferma a una estremità con i denti;
    ma non avevo in bocca una sola goccia di saliva.
    Mi accorsi allora che ero terribilmente assetato e che avevo la bocca secca come se fosse piena di cotone.
    Masticai la benda e, dopo un poco, sentii che si era inumidita.
    Chinandomi allora in avanti per sottrarmi al vento violento, ripulii l'occhio sinistro con la garza.
    Per mia fortuna la vista comincio a migliorare e, in meno di un minuto, ero in condizioni di distinguere l'estremità delle ali.
    Respirai sollevato, ma questa sollievo duro pochi secondi.
    Mi ero appena tirato su per rimettermi seduto normalmente e sentii nella testa un dolore lancinante, subito seguito da un altro.
    Le trafitte andavano e venivano a ondate; in certi momenti non avvertivo nulla, poi a un tratto sentivo un brutto colpo, come di una martellata che mi venisse battuta esattamente sul cranio.
    Applicai subito la benda che avevo ancora in mano, sulla ferita della testa, ma appena la lasciai, il vento la strappo, portandosela via attraverso le vetrate fracassate dell'abitacolo.
    Fui preso dalla disperazione: come avrei mai potuto bendarmi il capo?
    Eppure dovevo farlo, per fermare l'emorragia!
    Avendo la mane sinistra inutilizzabile, potevo adoperare solo la destra per applicare la benda;
    d'altro canto però la mano libera mi serviva per tenere la leva da manovrare, quando necessario, la manetta del gas; a tutto questa bisognava aggiungere il fatto che il vento, che fischiava dagli squarci del parabrezza, complicava maggiormente la situazione.
    Preparai una seconda benda di garza, ma non appena l'ebbi messa a posto anche questa venne strappata via;
    la terza e la quarta fecero la stessa fine.
    Che potevo più fare?
    Il dolore al capo aumentava continuamente facendosi sempre più lancinante e rendendomi quasi pazzo per la sofferenza;
    a ogni ondata successiva la sofferenza era sempre più forte di quella delle trafitte precedenti.
    Avevo ancora la sciarpa di seta attorno al collo.
    Sciolsi il nodo che la teneva ferma e ne misi un'estremità sotto la coscia destra per impedirle di volar via; presi il coltello da tasca e lo aprii, tenendolo tra i denti.
    La sciarpa fluttuava violentemente nell'aria agitata;
    ne misi in bocca l'estremità libera, stringendola fermamente, poi ne tagliai un pezzo.
    Il vento lo soffiò via.
    Ne tagliai un altro ed anche questa se ne andò trascinato nel turbine sibilante.
    Non sapevo più che e la disperazione mi riprese.
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    Messaggio  Staff Dom Set 28, 2008 3:11 pm

    Cercavo freneticamente una soluzione:
    non mi rimaneva più che un solo pezzo di sciarpa.
    Finalmente mi venne un'idea:
    avrei dovuto pensarci prima.
    Mi chinai in avanti per sottrarmi al vento e cominciai a spingere la seta sotto il casco, fino a infilarla nella ferita.
    Dovetti però, a un certo momento, rimettermi seduto diritto senza continuare nell'operozione perché più rimanevo chino e più il dolore aumentava.
    Finalmente risolsi la situazione mettendomi la leva sotto il ginocchio destro, riuscendo così a tenere diritto il velivolo muovendo la gamba.
    Poi spostai a fondo la manetta, bloccandola per dare tutto motore.
    Tirando leggermente a me la gamba potei tenere lo Zero in cabrata, controllandolo sufficientemente nonostante s'inclinasse a destra oppure a sinistra e derapasse sensibilmente.
    A circa cinquecento metri di quota ridussi il motore e mi rimisi in volo orizzontale;
    levai allora il cuscino dal sedile per potermi abbassare al massimo e in tal modo essere meno esposto al vento.
    Tenendo poi il velivolo diritto con la pressione della gamba,riuscii a scivolare dal sedile, a mettermi in ginocchio e a tener fermo il cuscino, con la spalla, contro l'ossatura del parabrezza per arrestare il flusso dell’aria.
    Potei così spingere lentamente il resto della sciarpa sotto il caschetto, premendola poi dentro la ferita.
    Non ho alcuna idea circa il tempo che impiegai, ma mi sembrò un'eternità.
    Mi era impossibile vedere fuori dell'abitacolo;
    una volta lo Zero incontrò un vuoto d'aria che lo fece oscillare paurosamente,inclinandolo poi violentemente di lato.
    Per fortuna si rimise da solo, perche se fosse precipitato non avrei mai potuto arrivare in tempo alla pedaliera.
    Finalmente finii il mio lavoro di bendaggio.
    La sciarpa era ormai ben salda sotto il casco e premeva leggermente sulla ferita.
    Ritornai, piano piano,a sedermi e ripresi il controllo dell'aeroplano.
    Subito mi sentii meglio; il dolore alla testa diminui e l'emorragia cessò lentamente.
    Il senso di sollievo che mi prese dopo aver compiuto lo sforzo di sistemare quel bendaggio improvvisato mi ridette forza.
    Ben presto però mi assalì un prepotente bisogno di dormire;
    mi sforzavo disperatamente di scacciarlo, ma non vi riuscivo.
    Più di una volta mi sorpresi a scuotere la testa sperando che il dolore che provavo nel farlo fosse sufficiente a tenermi desto, ma ogni trenta o quaranta secondi Ie spalle mi si contraevano sotto l'azione delle cinghie, che me Ie 'stringevano quando il corpo si rilassava, preso dal sonno.
    Mi accadeva ogni tanto di risvegliarmi con l' aeroplano rovesciato.
    Una volta ritrovatomi in tale assetto, mi sentivo cosi intorpidito che non riuscivo più a muovere i comandi;
    quasi subito il motore comincio a farfugliare in modo allarmante e questa fu sufficiente,a ridestarmi di colpo e a farmi riportare il velivolo in posizione normale. ,
    Che sonnolenza!
    Scuotevo la testa, ma sempre più piano, finché il meraviglioso caldo e confortevole abbandono del sonno mi faceva piombare nel nulla.
    Tutto diveniva allora cosi tranquillo!
    «Svegliati! Svegliati !» urlavo a me stesso; «svegliati!»
    Rinvenivo e magari mi ritrovavo con l'aeroplano in violenta derapata sulla destra, mentre l'ala oscillava pericolosamente.
    Dovevo rimanere desto!
    Ma come fare?
    Come dominare il terribile bisogno di dormire, come non soccombere a quella volontà che mi superava a quel delizioso appello del dolce riposo che mi appariva cosi denso di piacevole conforto?
    Il caccia ebbe un sobbalzo improvviso: mi ero di nuovo rovesciato!
    «Sta' sveglio!» urlai a me stesso, pieno di collera nel dover constatare quanto fossi incapace di resistere al sonno.
    Alzai la mano dalla leva per colpirmi, per schiaffeggiarmi più forte che potevo: una, due, tre volte, sempre sperando che il dolore mi restituisse la piena coscienza.

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