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    Saburo Sakai

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    Messaggio  Staff Lun Set 29, 2008 11:33 pm

    Non potei continuare a lungo con quel sistema perché ben presto sentii in bocca sapore di salato e il sangue mi salì alle labbra, colando poi sul mento mentre la guancia mi si gonfiava sempre di più.
    Ebbi l’impressione che un'enorme palla di gomma stesse gonfiandosi in bocca, ma non avevo altra alternativa;
    dovevo continuare a battermi per rimanere svegli.
    Pensai che forse il cibo mi avrebbe aiutato a superare la sonnolenza;
    aprii la scatola dei viveri e inghiottii alcuni bocconi di pasticcio di pesce, ma continuai a sentirmi più addormentato di prima.
    Continuai a mangiare ancora, masticando con cura prima di inghiottire.
    A un tratto mi sentii malissimo.
    Il velivolo sfuggì al mio controllo mentre spasimi di nausea mi contraevano il corpo.
    Rigettai tutto quello che avevo mangiato, imbrattandomi le gambe e sporcando anche il pannello degli strumenti;
    contemporaneamente atroci dolori alla testa mi facevano divenire pazzo.
    Ma nemmeno questa specie di agonia riuscì a tenermi desto;
    tornai a colpirmi più e più volte sulle guance, col pugno chiuso, finche non potei avvertire più alcuna sensazione.
    Disperato mi detti allora forti colpi sulla sommità della testa, ma ormai non c’era più nulla che potesse servirmi: volevo solo dormire.
    Oh, poter andare a dormire, dimenticare tutto!
    sapere che il sonno non avrebbe mai avuto fine! Delizioso tepore del sonno! . .
    Lo Zero rollava e sbandava;
    per quanto facessi, non riuscivo a tenere orizzontali le ali;
    cercavo di tenere la mani in una certa posizione, ma non riuscii a avvertire il momento in cui essa si spostava a sinistra oppure a destra, facendo di conseguenza inclinare violentemente il velivolo.
    Ero pronto a morire;
    ero perfettamente conscio che non avrei potuto continuare a lungo in quel modo, ma mi ero giurato che non sarei morto da codardo, che non mi sarei abbandonato fino al punto di planare senza reagire fino a infilarmi nel mare, fino a quando cioè un ultimo guizzo di dolore mi avrebbe piombato nel nulla.
    Se dovevo morire, dovevo almeno farlo da samurai e la mia morte avrebbe dovuto trascinare altre vite nemiche con me.
    Volevo soltanto una nave: avevo bisogno di una nave nemica.
    In preda a un' ondata di scoraggiamento virai e mi misi di nuovo, approssimativamente, in rotta per Guadalcanal;
    dopo qualche minuto la mia mente si schiarì:
    non più sonnolenza, non più dolori lancinanti.
    Non riuscivo a capire cosa stessi facendo: perché correre alla morte adesso che ero in condizioni di raggiungere Buka o forse anche Rabaul?
    Riportai di nuovo lo Zero sulla rotta di ritorno e, qualche minuto dopo, il desiderio di dormire mi riprese fino a farmi intontire.
    Nella nebbia della mia mente riemerse una domanda.
    Cosa stavo facendo?
    Volavo verso casa?
    «Cerca una nave nemica!»
    A un tratto ricordai lucidamente: dovevo cercare una nave nemica per picchiarvi sopra;
    dovevo sfracellarmi contro di essa a tutta velocità per uccidere quanti più nemici mi fosse possibile.
    Il panorama mi appariva immerso nella nebbia e tutto vi si dissolveva.
    Debbo essere tornato verso Guadalcanal almeno cinque volte e altrettante debbo avere Invertito la rotta per rientrare invece a Rabaul.
    Alla fine mi misi a urlare con tutte le forze che mi rimanevano, in continuazione, deciso a mantenermi sveglio.
    Urlare e gridavo: «Sta' sveglio!»
    A poco a poco la necessità di dormire si attenuò e mi ritrovai all'incirca sulla rotta.
    Il volare in quella direzione, non era tuttavia una garanzia che avrei potuto raggiungere la base;
    non avevo la minima idea circa la mia posizione e tutto quello che sapevo era che stavo volando all'incirca verso Rabaul.
    Dovevo essere a una notevole distanza da Guadalcanal, ma non sapevo a quanta;
    guardai sul mare ma non vidi nessuna delle Isole che si allungano a catena verso Rabaul.
    Avendo solo il piede destro in condizioni di agire sulla pedaliera era molto probabile che avessi deviato a oriente delle Isole Salomone.
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    Messaggio  Staff Mer Ott 01, 2008 9:32 pm

    Estrassi la carta della zona da sotto il sedile, era tutta sporca di sangue rappreso e dovetti sputarvi sopra molte volte, sfregandola poi contro la combinazione, per pulirla in modo da potervi distinguere qualcosa-
    Per il momento però non mi serviva e cercai allora di orientarmi in base alla posizione del sole-
    Passò cosi un'altra mezz'ora, ma ancora non appariva alcuna isola.
    Avevo sbagliato molto?
    Dove stavo andando?
    Il cielo era assolutamente limpido e l’ oceano si stendeva senza soluzione da un’ orizzonte all’altro.
    A un tratto ebbi la sensazione di sentirmi sollevato sul sedile:
    ero forse entrato in una colonna d’aria discendente?
    Tutto mi appariva cosi strano!
    Mi ritrovai di nuovo rovescio e non mi ero accorto che il velivolo ruotava sul proprio asse fino a che non ero rimasto appeso per le cinghie del seggiolino.
    Ripresi lentamente la posizione di volo normale, poi sentii che qualcosa stava sbattendo sotto le ali, come se queste fossero schiaffeggiate dolcemente.
    Cosa poteva essere?
    Guardai in basso e vidi qualcosa di scuro, una sagoma indecisa che si muoveva senza posa sotto le ali
    del mio caccia.
    L'acqua!
    Stavo per infilarmi nell'oceano.
    Spaventato mi chinai in avanti e spinsi la manetta del gas, tirando la leva all'indietro fino a mettere lo Zero in cabrata.
    Arrivato a cinquecento metri di quota ridussi di nuovo il motore fino a riportarlo al regime di minima velocità di crociera.
    Un'isola!
    Esattamente di prua vedevo un'isola.
    Era apparsa sull'orizzonte, emergendo dall'acqua;
    Insuperbito per il successo della mia navigazione sorrisi a me stesso.
    Tutto andava per il meglio, adesso; avrei potuto fare il punto e prendere poi la rotta esatta per Rabaul. Ansioso di poter distinguere al più presto la linea della costa, proseguii.
    Ma l'isola non voleva più mostrarsi.
    Dov'era ,andata a finire?
    Cominciavano dunque le allucinazioni ?
    Che mi stava dunque accadendo?
    L'« isola» mi stava passando sulla destra: era solo una grossa nuvola che si era formata a bassa quota dandomi quell'illusione.
    Cercai di nuovo di studiare la rotta, ma la mia visione era tornata indistinta e non riuscivo a leggere la bussola:
    Mi sputai sulla mano e mi misi a sfregare l’ occhio sinistro, pur senza ottenere alcun miglioramento;
    alla fine mi chinai in avanti fino quasi a toccare il cruscotto col naso e, alla fine, potei leggere qualcosa.
    Ma la lettura mi procurò una scossa sensibile;
    stavo volando con prua 330°!
    Per forza non avevo visto alcuna isola da circa due ore:
    lo Zero stava puntando esattamente verso il centro dell'oceano Pacifico!
    Ripresi la carta e cercai di fare una stima della mia posizione;
    dovevo trovarmi a oltre cento chilometri a nord est delle isole Salomone;
    il calcolo era molto approssimato, ma era quanto di meglio potessi fare in quel momento e in quelle condizioni.
    Virai di novanta gradi sulla sinistra e puntai verso la zona dove speravo che fosse la Nuova Irlanda, che si trova esattamente a nord est della Nuova Britannia e di Rabaul.
    Ondate di sonnolenza mi assalirono di nuovo e persi il conto del numero di volte in cui fui costretto a raddrizzare il velivolo da un'inclinazione eccessiva o addirittura dal volo rovescio.
    Volavo barcollando per il cielo, piegandomi spesso in avanti per fare una lettura sulla bussola e virando con la sola leva fino a riportarmi sempre sulla prua che speravo potesse condurmi verso la Nuova Irlanda.
    Il dolore di testa ricominciò, aiutandomi a tenermi sveglio, poi di colpo mi ritrovai in perfetta conoscenza perché, senza il minimo preavviso, il motore aveva taciuto di colpo.
    Dapprima avvertii uno strano suono sibilante e quindi, piano piano , soltanto il fischio sempre più leggero del vento che penetrava dentro l'abitacolo.
    Istintivamente spinsi la leva in avanti per riprendere velocità, riuscendo cosi a evitare lo stallo e impedire che l'elica si fermasse.
    Feci tutti i movimenti con una decisione che, a ripensarci dopo,fu davvero sorprendente;
    ma una mente addestrata fronteggia istintivamente e perfettamente queste improvvise emergenze.
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    Messaggio  Staff Gio Ott 02, 2008 10:24 pm

    Senza nemmeno doverci pensare sopra mi ero reso conto che avevo esaurito il serbatoio principale del carburante.
    Potevo contare su un altro serbatoio, collocato sulla sinistra, ma il tempo disponibile per trasferirgli l'alimentazione del motore era molto breve e il cambio del selettore era un'operazione che doveva essere fatta rapidamente e con sicurezza;
    di solito non avevo alcuna difficoltà a manipolare la rubinetteria con la mano sinistra, ma adesso ero paralizzato e dovevo fare l'operazione con la destra.
    La spostai di traverso sul corpo, ma non abbastanza, tanto che non arrivavo al comando.
    Mi sforzai ancora, senza tuttavia riuscire a toccarlo. .
    Lo Zero s'inclinò lentamente di muso verso l'oceano, planando senza un fremito;
    spinsi allora la mana con tutte le mie forze, cercando di girare ancora il corpo e potei cosi operare il cambio del selettore.
    La benzina però non passava perché la pompa automatica aveva avuto il tempo di aspirare l'aria e le tubazioni si erano, conseguentemente, vuotate.
    Afferrai di colpo la pompa a mano di emergenza e mi misi a lavorare a tutta forza:
    avevo poco tempo disponibile.
    Ma la pompa funzionò a dovere e quasi subito, con un magnifico rombare, il motore riprese vita e lo Zero prosegui.
    Senza perdere altro tempo tornai alla quota di cinquecento metri.
    Tutti i lunghi voli di addestramento sul mare vennero adesso in mio aiuto.
    Una volta avevo stabilito un primato nella marina per il volo col più basso consumo di carburante;
    se fossi riuscito, adesso, a uguagliarlo, avrei forse potuto disporre ancora di una ora e quarantacinque minuti di volo.
    Regolai meglio il passo dell'elica e portai il numero dei giri del motore a millesettecento al minuto; regolai poi l'apertura dell'aria supplementare fino a impoverire al massimo la miscela, fino al punta cioè da impedire, appena al motore di arrestarsi.
    Lo Zero volava lentamente.
    Mi restavano meno di due ore di tempo per poter raggiungere un'isola occupata dalle forze giapponesi:
    meno di due ore di vita, se avevo sbagliato i miei calcoli di rotta.
    Un'ora intera passò senza che i miei occhi avvistassero alcun ostacolo nella vastità del mare e del cielo;
    ma alla fine scorsi qualcosa sull'acqua. Un atollo!
    Non vi erano dubbi: questa' volta non avevo nuvole davanti a me;
    era certamente un'isola e la sua forma si fece più distinta man mano che mi avvicinavo.
    Era l'Isola Verde, la scogliera di corallo fatta a ferro di cavallo, che avevo già notato lungo la navigazione verso Guadalcanal.
    Controllai la posizione dell' isola sulla carta e la speranza mi rinacque in cuore ...
    ero a centodieci chilometri da Rabaul.
    Centodieci chilometri: normalmente un piccolo salto;
    ma adesso il volo si svolgeva in condizioni del tutto anormali e la mia situazione non avrebbe potuto essere peggiore.
    Avevo benzina per altri quarantacinque minuti al massimo e per di più lo Zero era stato malamente colpito:
    le rotture del parabrezza e del tettuccio, oltre a tutti i fori che certamente avevano stracciato la lamiera di copertura delle ali e della fusoliera, riducevano di molto la sua velocita.
    Io poi, ferito gravemente e ancora parzialmente paralizzato, avevo l'occhio destro cieco e quello sinistro in condizioni poco buone.
    Ero esaurito e dovevo compiere un grande sforzo per tenere l'aeroplano diritto.
    Un'altra isola, proprio davanti a me: anche questa volta non c'erano nuvole.
    Potei persino distinguere le montagne che caratterizzavano la Nuova Irlanda:
    non vi era alcuna possibilità di errore.
    Se avessi potuto superarne le vette, che arrivavano a settecentoventi metri,avrei potuto raggiungere Rabaul molto rapidamente;
    ma prima di poter raggiungere la base dovevo evidentemente essere costretto a superare una serie infinita di difficoltà e di prove:
    fitte nuvole circondavano infatti la cima dei monti, portate da un forte uragano che imperversava su tutta l'isola.
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    Messaggio  Staff Gio Ott 02, 2008 10:47 pm

    Penetrarvi era impossibile, esausto com'ero sia fisicamente sia mentalmente.,mezzo cieco e con un velivolo molto danneggiato;
    anche in condizioni normali l'entrare in quelle nubi sarebbe stata una cosa molto pericolosa.
    Non avevo aItra scelta che girarvi attorno.
    Fu una amara decisione perché la benzina calava continuamente nel serbatoio e i minuti di volo che mi rimanevano erano ormai contati.
    Serrai tuttavia le labbra e puntai verso sud;
    il velivolo sorvolò lentamente il canale Giorgio, tra Rabaul e la Nuova Irlanda.
    Due scie di spuma vi si muovevano velocemente e riuscii presto a distinguere alla meglio due navi da guerra, che giudicai due corazzate pesanti, da quel che potevo vedere, e che correvano a tutto vapore, a più di trenta nodi, verso GuadalcanaI.
    Mi venne quasi da piangere alla vista delle nostre navi da battaglia;
    avrei potuto ammarare nei loro pressi e una di esse avrebbe forse potuto arrestarsi per ripescarmi.
    Ma la mia speranza svanì rapidamente, nonostante che Rabaul mi apparisse distante alcune migliaia di chilometri.
    Feci un giro sulle due navi pronto a discendere in mare, senza però riuscire a persuadermi a farlo;
    i due incrociatori stavano infatti correndo a tutta velocità per andare a Guadalcanal dove li attendeva il combattimento.
    Se si fossero arrestati per ripescarmi (e c'era molto da dubitare che l'avrebbero fatto) la loro potenza di fuoco sarebbe giunta con un certo ritardo sul posto dove erano stati inviati e dove la loro presenza urgeva:
    non avrei assolutamente dovuto nemmeno tentare di far perder loro un tempo prezioso.
    (Seppi, qualche settimana dopo, che le due navi erano i due incrociatori Aoba e Kinugasa. entrambi da novemila tonnellate.
    Erano stati spediti in tutta fretta a Guadalcanal e viaggiavano a più di trentatre nodi. Insieme ad altre sette navi da guerra giapponesi attaccarono il convoglio americano nella zona di Lunga, affondando quattro incrociatori nemici e danneggiandone seriamente un altro, oltre a due caccia torpediniere.)
    Puntai di nuovo su Rabaul; il livello della benzina indicava che mi rimanevano ancora venti minuti di volo;
    se non fossi riuscito a raggiungere la base avrei potuto fare un atterraggio di fortuna sulla spiaggia.
    Alla fine la sagoma familiare del vulcano spuntò all'orizzonte;
    ce l'avevo fatta; Rabaul era in vista!
    Dovevo ancora atterrare; mi pareva impossibile riuscirvi, a causa della paralisi del lato sinistro del corpo e feci un largo giro di campo, incerto sul da farsi.
    Non sapevo ancora che ero stato dato per morto e che tutti gli altri aeroplani, meno uno abbattuto su Guadalcanal erano a terra già da quasi due ore.
    Il capitano Sasai mi disse, in seguito, che non poteva credere ai suoi occhi quando, a mezzo del binocolo, poté identificare le sigle del mio velivolo;
    aveva urlato il mio nome e subito tutti i piloti erano accorsi da tutte le parti del campo.
    Io, naturalmente, non riuscivo a vederli, col mio occhio mezzo cieco;
    tutto quello che riuscivo a distinguere era la pista d'atterraggio, che non mi era mai parsa tanto stretta.
    A un certo momento pensai addirittura di ammarare proprio sul limite della spiaggia e cominciai a perdere quota lentamente:
    duecentocinquanta, duecento, centocinquanta, cento metri...
    poi mi ritrovai a una quindicina di metri sull'acqua e a questo punto cambiai idea.
    La visione del velivolo che si tuffava in mare proiettando fuori il mio povero corpo già menomato, divenne superiore alle mie forze perché mi resi conto che in nessun caso avrei potuto sopravvivere al colpo. .
    Detti motore, di nuovo, puntando verso la pista e pensando che se avessi concentrato le mie ultime facoltà ce l'avrei fatta.
    La benzina era ormai alla fine;
    diminuii il passo dell'elica, detti ancora motore e tornai a cinquecento metri di quota. Adesso o mai più!
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    Messaggio  Staff Gio Ott 02, 2008 10:53 pm

    Lo Zero planò dolcemente;
    abbassai il carrello e i flaps e la velocità si ridusse rapidamente.
    Vedevo le lunghe file di velivoli ai lati della pista corrermi incontro:
    dovevo assoluta mente evitarli.
    Ero troppo veloce!
    Ero anche spostato sulla sinistra e dovetti dare di nuovo tutto motore e riprendere il volo.
    Dopo il quarto giro sul campo tornai a presentarmi all'atterraggio per un ultimo tentativo; mentre planavo tolsi il piede dalla pedaliera e levai l'accensione al motore servendomi della punta del mio stivale.
    Bastava che nei serbatoi fosse rimasta qualche goccia di benzina per farli esplodere, se l'aereo fosse precipitato.
    Gli alberi di cocco che erano al limite del campo apparvero per un attimo nel mio campo visivo;
    li superai cercando di giudicare la mia quota dalla loro altezza.
    Adesso... ormai ero sulla pista.
    Lo Zero ebbe un sobbalzo quando urtò il terreno;
    tirai allora la leva al ventre e la tenni con tutte le mie forze per evitare che il velivolo alzasse la coda, continuando cosi il rullaggio finché non ci fermammo vicino al Comando.
    Cercai di sorridere, ma un velo di nebbia calò su di me.
    Ebbi l'impressione di precipitare in una caduta senza soste, dentro a un pozzo senza fondo. Tutto sembrava girarmi attorno vorticosamente;
    poi, come da un'enorme distanza, sentii voci che mi chiamavano per nome.
    Urlavano: «Sakai! Sakai!».
    Li maledissi tra me e me; perché non mi lasciavano in pace?
    Il velo di nebbia si sollevò alquanto;
    aprii gli occhi e vidi alcuni volti che mi circondavano.
    Sognavo o ero realmente tornato a Rabaul?
    Non sapevo.
    Tutto mi appariva cosi fuori del reale che ero certo si trattasse soltanto di un sogno:
    non poteva essere vero.
    Poi tutto scomparve di nuovo sotto altre ondate di nebbia fittissima e di oscurità, dalle quali emergevano voci che urlavano.
    Cercai di levarmi in piedi.
    Mi afferrai all'orlo dell'abitacolo e riuscii ad alzarmi un poco:
    ero a Rabaul, veramente; non si trattava di un sogno.
    Poi, per la debolezza, svenni.
    Braccia robuste mi afferrarono sollevandomi dall'aeroplano e alla fine potei abbandonarmi.

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