Verso la fine del 1940, mentre i primi esemplari dell'F4F-3 Wildcat iniziavano la loro vita operativa con gli Squadron della U.S. Navy, e il prototipo del Corsair, l'XF4U-1, aveva, da pochi mesi, compiuto il suo primo volo, sia gli uffici tecnici della Marina che i progettisti della Grumman, seppure per ragioni diverse, si erano resi conto che la situazione dei reparti da caccia imbarcati della U.S. Navy non era soddisfacente.
Le cause di questa situazione dovevano essere ricercate nella tendenza conservatrice di molti ambienti della U.S. Navy, che erano rimasti legati per troppo tempo alla formula del caccia biplano, molto maneggevole, ma dotato di scarsa velocità, nell'illusione che la manovrabilità potesse supplire, in qualche modo, alla velocità inadeguata al combattimento con gli ultimi modelli di caccia monoplani terrestri.
I risultati dei combattimenti aerei svoltisi durante le campagne di Polonia e di Francia, nonché le indicazioni, molto più probanti, che stavano emergendo dalla Battaglia d'Inghilterra, mostravano chiaramente che il fattore decisivo nel combattimento aereo era non la sola manovrabilità, ma un insieme di fattori che comprendeva la velocità massima, la velocità di salita,un'adeguata protezione per il pilota e per gli organi fondamentali dell'aereo, un potente armamento, buona visibilità, e, infine, una discreta capacità di manovra.
A queste doti, per ottenere un buon caccia imbarcato, era necessario aggiungere una velocità di stallo e di atterraggio molto bassa e un'autonomia molto più elevata di quella richiesta ad un caccia basato a terra.
Ci si può rendere facilmente conto che ottenere il miglior compromesso fra tutte queste caratteristiche, spesso in conflitto fra loro non era un problema di facile soluzione.
Necessariamente alcune caratteristiche dovevano essere trascurate in favore di altre, e, dato che la velocità massima era in testa alla lista, mentre la manovrabilità si trovava in fondo, doveva essere quest’ultima ad essere sacrificata.