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    Hans Ulrich Rudel

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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:35 pm

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    Hans Ulrich Rudel
    Dall’Ombrello allo Stuka
    Nel 1924 ho otto anni e vivo con la mia famiglia nella casa parrocchiale di Seiferdau, in Slesia, dove mio padre è pastore protestante.
    Una domenica, il babbo e la mamma vanno ad assistere ad una «giornata dell'ala» all'aeroporto di Schweidnitz, e vi conducono le mie sorelle.
    Io devo rimanere a casa.
    E’ facile immaginare la mia disperazione e poi, al loro ritorno, il fuoco di fila delle mie domande.
    Le bambine mi raccontano quanto hanno visto;
    ma quel che mi colpisce è la descrizione di un uomo che, attaccato ad un paracadute, s'e lasciato cadere da un aeroplano giungendo a terra sana e salvo.
    Le costringo a disegnarmi il paracadute, poi riesco a farmi cucire da mia madre, con gli scampoli, una piccola calotta.
    Vi attacco sotto un sassolino e quando, dopo averlo lanciato in aria, lo vedo discendere lentamente, sono il bambino più felice di questo mondo.
    Da quel momento, penso soltanto al paracadute, a come posso usarlo:
    questo «grave» problema mi toglie sonno e appetito.
    La domenica seguente, i genitori mi lasciano ancora solo in casa.
    Agguanto un ombrello e, tenendolo stretto nel pugno, salgo a due a due i gradini fino al primo piano, per fermarmi poi, tutto affannato davanti ad una finestra.


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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:36 pm

    A gran fatica, mi rizzo in piedi sul davanzale con l'ombrello aperto e, senza esitare, prima che mi colga la paura, mi raccomando a Dio e salto di sotto.
    Un grosse cespuglio attenua la mia caduta, ma provo un grande spavento:
    tutto il corpo mi duole e per di più mi trovo con una gamba rotta.
    L'ombrello non ha resistito al «volo»: s'e rovesciato, lasciandomi cadere senza pietà.
    Dall'avventura nasce tuttavia una vocazione irresistibile:
    voglio volare, voglio divenire aviatore a qualunque costo.
    Vado matto per le motociclette:
    con due assi e qualche cavalletto costruisco un trampolino rudimentale, poi inforco la mia vecchia motocicletta ed imbocco le tavole a tutto gas;
    dopo un salto di due o tre metri riprendo contatto con il suolo e, con una virata brutale che solleva la polvere, torno al punto di partenza per ricominciare.
    Mia madre trema di paura;
    mio padre mi tratta da apprendista saltimbanco, e la loro scontentezza viene aggravata dalla deplorevole constatazione che i miei compiti scolastici soffrono di questa attività.
    Mia sorella maggiore studia medicina e mio padre non può quindi pagarmi l'istruzione lunga e costosa per divenire pilota civile;
    Ma ad un tratto, quando nessuno se lo aspetta il governo tedesco decreta la creazione della Luftwaffe e subito il Ministero dell' Aeronautica apre il reclutamento dei volontari per costituire un corpo di ufficiali.
    Il concorso per l'ammissione è difficile per quel cattivo scolaro che io sono,tuttavia voglio tentare e la fortuna certamente mi aiuta, perchè, nell'agosto del 1936, vengo invitato a presentarmi alla Scuola di Guerra di Wildpark-Werder il primo dicembre dello stesso anno.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:38 pm

    Hans Ulrich Rudel I349253_mkRudelF11
    Dapprima, la nostra istruzione è uguale a quella di tutte le reclute, con la differenza, tuttavia, che il programma è tanto accelerato che in capo a sei mesi diveniamo fantaccini perfettamente addestrati. Quanto ai velivoli, li vediamo soltanto dal suolo; spesso seguiamo con nostalgia le loro evoluzioni rapidissime stando coricati pancia a terra nel fango gelido del campo di manovra.
    Ma, oltre ai corsi propriamente detti, l'esistenza non è tutta rosea; ci viene raccomandato (il che vuol dire « comandato ») di non bere, di non fumare, di consacrare tutte le ore libere allo sport.
    Nonostante questa austerità ufficiale la mia «mania» di non bere che latte suscita tra i compagni commenti sfavorevoli.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:38 pm

    Al secondo semestre siamo trasferiti e …. finalmente si vola.
    I pazienti istruttori si sforzano di svelarci i principi ed i segreti del pilotaggio ed io svolazzo, giorno per giorno, a doppio comando, intorno al nostro campo d'aviazione.
    Dopo sessanta esercitazioni vengo giudicato capace di volare da solo: sono tra gli allievi di media capacità.
    Contemporaneamente seguiamo i corsi tecnici e completiamo la nostra istruzione militare.
    Alla fine del semestre riceviamo il brevetto di pilota.
    La terza ed ultima parte del programma è molto più monotona: si vola raramente, ma si fatica dalla mattina alla sera nella tattica dei combattimenti aerei e terrestri, l'armamento, le comunicazioni e così via.
    Mano mano che si avvicina l'esame di fine corso, una specie di febbre s'impadronisce di tutti noi:
    sempre più impazienti, ci domandiamo a quali specialità verremo destinati.
    Mentre assistiamo, ad alcune esercitazioni, viene annunciato l'arrivo, del tutto inaspettato, di Goering:
    il Maresciallo chiacchiera familiarmente con noi e chiede se nel nostro gruppo vi siano volontari per le nuove squadriglie di Stuka, reparti appena costituiti, al quale manca ancora un certo numero di ufficiali giovani.
    Rifletto rapidamente:
    «Vorrei pilotare un caccia, ma dovrò certamente contentarmi di un velivolo da bombardamento;
    molto meglio essere volontario negli Sluka! »
    I bombardieri, pesanti e poco maneggevoli, non mi attirano:
    alzo la mano e l'aiutante di volo del Maresciallo mi segna sulla lista.
    Qualche giorno dopo arrivano le destinazioni:
    quasi tutto il corso è destinato ... alla caccia.
    Sono avvilito, ma non c'e più niente da fare: diverrò pilota di uno Stuka !!!
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:39 pm

    Hans Ulrich Rudel I350330_mkRudelF1
    Volo nella Bufera
    A Rehilbitzy, l'estate è torrida e soffocante.
    Quando non voliamo, ce ne stiamo al fresco, nell'ombra delle nostre tende.
    Il nuovo comandante, il capitano Steen, divide con noi gioie e dolori.
    Io gli parlo di rado, ma ho l'impressione che ci intendiamo a meraviglia, forse perchè abbiamo qualcosa in comune.
    Steen non ha molta simpatia per l'alcool e quindi non se ne ha a male se non ne assaggio.
    Steen è un comandante come se ne trovano pochi; grazie al suo ascendente personale, alla sua energia, al suo sangue freddo ed anche alla cura che pone nel risparmiare i suoi uomini, ottiene dai piloti il massimo rendimento.
    Anche lui ha in odio la contraerea, ma nemmeno il peggiore sbarramento potrebbe spingerlo a mollare le bombe prima d'aver picchiato fino a poca distanza dall'obbiettivo; fa equipaggio col maresciallo Lehmann, il piu anziano dei nostri mitraglieri ed io invece volo col più giovane, il sergente Scharnowsky, «Alfredino », come viene chiamato, tredicesimo figlio di un contadino della Prussia Orientale, un ragazzo taciturno che non si scompone mai.
    Finchè lo sento alle mie spalle, il dito pronto sullo scatto della mitragliatrice, non ho alcun timore dei cacciatori russi:
    nessun «Ivan» potrebbe essere così freddo e flemmatico come Alfredino.
    A Rehilbitzy, siamo investiti da certi temporali di una violenza inaudita.
    Senza dubbio si verificano spesso nel continente russo; il minimo abbassamento di temperatura scatena la collera celeste e in pieno giorno cadono di colpo le tenebre come se fosse notte.
    Le nuvole toccano quasi la terra, si aprono enormi cateratte e non ci si vede più che a qualche metro.
    Quando siamo in volo, abbiamo cura di girare al largo da questi uragani apocalittici;
    ma una volta ci capitiamo all'improvviso proprio nel mezzo.
    Ora appoggiamo le truppe nella zona di Luga, ma qualche volta le nostre azioni ci portano molto lontano nelle retrovie nemiche.
    Riceviamo l'ordine d'attaccare la stazione di Tsciudovo, sulla ferrovia Leningrado-Mosca.
    Pochi minuti prima della partenza, una formazione d'apparecchi da combattimento russi, di quelli che noi chiamiamo «Gustavi di ferro », attacca il nostro campo.
    Saltiamo nelle trincee scavate sugli orli della pista;
    il tenente Stahl salta per ultimo e mi piomba, a piedi giunti, esattamente sulle reni.
    Questo è ben più sgradevole dell'attacco dei « Gustavi » che d 'altronde, accolti dal fuoco della contraerea, lanciano le bombe senza nemmeno perder tempo a mirare e filano via in volo radente.
    Molto rumore per nulla.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:39 pm

    Subito decolliamo, e saliamo fino a tremila metri, puntando a nord-ovest.
    Il cielo è pulito senza nemmeno una nuvola e la mia ala quasi sfiora quella del capitano Steen, mentre, attraverso le vetrate delle cabine, distinguo il suo volto impassibile.
    Scorgiamo ben presto in una vasta depressione, la superficie blu del lago limen, le cui acque calme e chiare abbiamo tanto spesso sorvolato, sia puntando a nord verso Novogorod che a sud verso Staraia Russa: due punti nevralgici del fronte.
    Vediamo spuntare all'orizzonte una massa di nuvole nere.
    Dove sarà l'uragano?
    Prima o dopo la stazione che dobbiamo attaccare?
    Con la coda dell'occhio, vedo il capitano Steen consultare la carta, mentre attraversiamo qualche banco di nuvole sparse, avvisaglie della tempesta.
    Aguzzo inutilmente la vista, cercando la stazione che invece deve trovarsi esattamente sotto l'uragano.
    A giudicare dalla durata del volo, non dovrebbe esser lontana, ma è impossibile orientarsi su questa regione monotona, e, per di più, traversando le nuvole, navighiamo per qualche secondo in piena notte.
    Nel timore di perdere di vista il mio capo-pattuglia, m'avvicino maggiormente a lui,il che è l'unico sistema per evitare una collisione.
    Anche le pattuglie che ci seguono si sono ristrette perchè tutti i piloti hanno serrato le distanze tra ala ed ala.
    Ma perchè Steen non fa dietro-front?
    Un attacco in mezzo all'uragano è senz'altro impossibile;
    forse studia sulla carta il tracciato per cercare, nei dintorni, un altro obbiettivo.
    Ecco che picchia leggermente, certo per cercare un passaggio fra gli strati delle nuvole. Ma il tempo è chiuso dovunque.
    Risaliamo per passarvi sopra.
    Steen ripone la carta, poi, all'improvviso, fa un brusco dietro-front:
    si è reso conto senza dubbio delle cattive condizioni atmosferiche, ma si è anche dimenticato che la mia ala tocca quasi la sua, proprio dalla parte della virata.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:41 pm

    Hans Ulrich Rudel I350329_mkRudelF12
    Reagisco in una frazione di secondo con una virata secca, più secca ancora della sua, evitando così l'investimento fatale.
    Mi ritrovo sul dorso, ma sotto l'ala sono attaccati settecento chili di bombe, e questo peso mi squilibra tanto che dopo un paio di secondi l'apparecchio cade di muso nella massa nera delle nuvole.
    Intorno a me buio pesto;
    non odo che fischi stridenti e sinistri fruscii, mentre da tutte le parti l'acqua corre a rivoli per la cabina.
    Ogni tanto un lampo accecante squarcia le tenebre, mentre raffiche violente squassano il velivolo la cui struttura scricchiola paurosamente.
    Non vedo niente, ne sole ne orizzonte, e non ho un punta di riferimento per raddrizzarmi.
    Gli strumenti di bordo sono impazziti, le loro lancette sembrano indicare la fine del mondo e, se debbo ancora credere a loro, l'apparecchio ora sta cadendo come un sasso, girando in vite.
    L'accelerazione è spaventosa;
    debbo lottare con tutte le mie forze per rimettermi senza perdere un istante, poichè l'altimetro scende sempre di più mentre piombo, in candela o quasi, a seicento chilometri all'ora
    ... l'altimetro segna 2300... 2000... 1700... 1500.
    Continuando così, fra qualche secondo tutto sarà finito in una enorme esplosione...
    Sono bagnato fino alle ossa, ma non so se sia sudore o acqua che entra a torrenti...
    1000 metri, 800, 500 ... poi ancora 500.
    Non cado più, sono riuscito a raddrizzarmi...
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:41 pm

    Non è vero: il variometro indica ancora discesa...
    Intorno a me la notte è completa, ed i lampi continuano ad accecarmi.
    Con un ultimo sforzo disperato tiro la cloche con ambedue le mani:
    il sangue mi fluisce dalle tempie, ho l'impressione di soffocare, e vorrei proprio abbandonarmi, senza insistere in questa lotta disperata.
    Per di più, ricordo ad un tratto che il mio altimetro segna sempre duecento metri più del giusto, il che significa che quando l'indice mi darà duecento metri di quota invece mi schianterò al suolo.
    Tiro sempre, chiudo gli occhi, un colpo pauroso:
    «Sono morto! » penso, e lo credo veramente per qualche secondo, poi m'accorgo che se fossi morto non potrei pensare
    ... odo persino il rombo del motore mentre mi giunge la voce impassibile di Alfredino.
    «Signor tenente, dobbiamo aver urtato contro qualcosa. »
    Questa flemma mi toglie il respiro.
    Ma almeno so che non ci siamo fracassati, voliamo. ancora.
    Un' occhiata all'altimetro mi assicura che l'indice comincia a risalire.
    Sento che me la caverò:
    la bussola mi da la prua ad ovest, che è la direzione buona per rientrare nelle linee.
    Fisso il cruscotto come per ipnotizzarne gli strumenti, sperando che funzionino normalmente, nonostante la caduta e l'urto.
    Con molte precauzioni abbozzo una virata per rendermi conto se il mio povero cassone obbedisce ancora ai comandi.
    A poco a poco l'oscurità si fa meno opaca perchè stiamo certamente uscendo dalla zona dell'uragano.
    Alle mie spalle Alfred Scharnowsky mi comunica, con voce indifferente:
    « C'e un gran buco su ogni ala, con dentro un ramo di betulla;
    manca anche un bel pezzo dei flap ».
    Sbuchiamo in piena luce.
    L'apparecchio ha superato lo strato inferiore delle nuvole.
    Guardo fuori e vedo che effettivamente ho nelle ali due piccoli tronchi di betulla.
    Questo carico imprevisto, unitamente ai danni riportati alle ali ed ai flap, mi spiega la scarsa velocità ascensionale e la poca obbedienza ai comandi.
    Per quanto tempo potrà reggere il mio povero Stuka?
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:43 pm

    Probabilmente mi trovo ancora ad una cinquantina di chilometri dietro le linee russe, una distanza indifferente per un apparecchio in buono stato, ma troppo per questa baracca mal ridotta
    Ad un tratto ricordo le bombe: mi sbarazzo subito del loro peso e l'apparecchio alleggerito si comporta un po' meglio.
    Mi assale poi il timore della caccia russa che abbiamo già incontrato in questi paraggi. Così ridotto, chiunque potrebbe abbattermi senza sparare, con un semplice sguardo di traverso.
    Ma la fortuna continua ad assistermi, perchè non vedo nel cielo neanche un'ombra sospetta.
    Al momento in cui passo le linee, tiro ugualmente un gran respiro di sollievo.
    Nel timore che l'atterraggio non riesca, ordino a Scharnowsky di tenersi pronto per lanciarsi col paracadute.
    Cerco intanto di ricostruire il «miracolo» che mi ha fatto uscire vivo da quell'inferno.
    Certamente a furia di tirare sui comandi avevo raddrizzato l'apparecchio proprio mentre stava per toccare terra ed ero passato a tutta velocità in mezzo ad un gruppo di betulle, due delle quali avevano bucato le mie ali, lasciandovi i rami attaccati.
    Per una fortuna inaudita l'elica non aveva toccata nulla, e sarebbe bastato un niente per strapparla od almeno torcerla.
    Certo non ci voleva meno di uno Junkers 87, l'apparecchio più robusto della Luftwaffe, per restare in volo dopo una simile avventura.
    Il ritorno mi sembra interminabile, ma finalmente vedo in una radura il campo di Stolzy dove sono i nostri cacciatori.
    «Scharnowsky, appena saremo sulla pista, si lanci col paracadute ».
    «Domando scusa, signor tenente, ma non mi lancerò.
    Sono certo che lei atterrerà senza danni. »
    Che dire dopo un simile voto di fiducia?
    Non faccio nemmeno in tempo a domandarmelo: già siamo sul campo che, per la prima volta, mi sembra particolarmente pieno di attrattive.
    Li mi aspettano i colleghi che pensavo di non rivedere più.
    Sembra che vi sia una riunione davanti al Comando.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:43 pm

    Forse Steen sta già dando le istruzioni per la nuova azione; bisogna affrettarsi.
    Ma che succede?
    Tutti alzano la testa verso di me, poi il gruppo si disperde.
    Dirigo all'atterraggio e per maggior sicurezza tocco terra in velocità: tutto va bene. Rullo fino al limite della pista, dove mi fermo.
    Qualche collega accorre: scendo dalla cabina, ma sento che le gambe mi tengono male.
    Scharnowsky invece è tranquillissimo, come se rientrasse da una passeggiata.
    Tutti i piloti mi circondano per rallegrarsi della nostra fortuna ma appena posso me ne libero per andare a fare il mio rapporto al comandante.
    « Tenente Rudel, rientrato dalla missione;
    l'apparecchio è gravemente danneggiato perchè ha toccato terra nelle vicinanze dell'obbiettivo ».
    Il comandante sorride, mi stringe affettuosamente la mano e se ne va, scuotendo la testa.
    I colleghi allora mi dicono che aveva fatto radunare il personale per tenere il seguente discorso commemorativo:
    « ... l'equipaggio del tenente Rudel ha tentato l'impossibile, picchiando attraverso l'uragano per attaccare l'obbiettivo; ma invece vi ha trovato la morte .. ».
    In quel preciso momento, il mio velivolo, stranamente sagomato, era comparso sul limite del campo;
    Steen era diventato pallidissimo ed aveva messo in liberta i piloti con un gesto secco della mano.
    Più tardi, mi fa chiamare per avere particolari dell'avventura, che ascolta con visibile incredulità.
    lnvano gli spiego che è stata la sua virata brutale che mi ha precipitato nelle nuvole:
    è sicuro che io ho voluto attaccare nonostante l'uragano e non sente ragioni.
    «Le assicuro, comandante, che non avevo affatto l'intenzione ... ».
    «Non racconti storie.
    La conosco benissimo e so che cosa ci si può aspettare da lei.
    Lei non voleva tornare senza aver attaccato la stazione. »
    « Lei mi sopravvaluta.»
    « Assolutamente no! E d'altra parte it suo non è coraggio, è follia.
    Uno di questi giorni ci lascerà la pelle: il futuro mi darà ragione, vedrà.
    Ad ogni modo, ripartiamo fra pochi minuti. »
    Dopo un'ora, sono ancora in volo accanto a lui, nella zona di Luga, con un altro apparecchio, naturalmente.

    Il pilota di Ferro
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:44 pm

    Hans Ulrich Rudel I350848_mkRudelF24
    La lotta per Leningrado
    Il centro di gravità del fronte si sposta sempre più a nord e così nel settembre del 1941 ci mandano a Tyrkovo, a sud di Luga, per le quotidiane incursioni nella zona di Leningrado.
    L'esercito attacca la città fortificata da ovest e da sud;
    la sua posizione, tra il golfo di Finlandia ed il lago Ladoga, ne favorisce la difesa, perchè riduce il fronte d'attacco ad una striscia relativamente ristretta.
    E qui oramai da molte settimane le nostre truppe segnano il passo.
    Il 16 settembre, il capitano Steen ci riunisce per spiegarci la situazione militare del settore:
    il primo ostacolo all'avanzata è costituito dalla flotta russa che pattuglia le coste ad una certa distanza, intervenendo incessantemente contro la fanteria tedesca con la sua potentissima artiglieria.
    La base di questa flotta è a Kronstadt.
    Ad una ventina dl chilometri verso oriente si apre il porto di Leningrado e verso sud, tra Oranienbaum e Peterhof, lungo una striscia di costa larga una decina di chilometri, si trovano concentrate numerose forze russe perfettamente equipaggiate.
    Il capitano ci fa segnare queste informazioni sulla carta perchè ci sia possibile riconoscere il fronte a vista d'occhio.
    Pensiamo che, naturalmente, i nostri prossimi attacchi saranno diretti contro le concentrazioni di truppe; invece il comandante ci parla di nuovo della flotta russa.
    Questa si compone di due corazzate da ventitremila tonnellate, la Marat e la Rivoluzione d'Ottobre, di quattro o cinque incrociatori, tra cui il Gorki ed il Kirov, ed infine di molte torpediniere.
    Tutte questi navi si spostano lungo la costa, non appena la fanteria russa richiede l'appoggio della loro artiglieria.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:44 pm

    Le corazzate però evitano per quanto è possibile di lasciare il canale profondo di Kronstadt.
    Il nostro Stormo riceve l'ordine di attaccare la flotta;
    i bombardieri ordinari non sono adatti per questi bersagli così mobili e relativamente piccoli, tanto più che la contraerea è molto efficace.
    Le bombe normali, provviste cioè dei normali detonatori, sono impotenti perchè esplodono sul primo ponte corazzato demolendo forse una parte della sovrastruttura, ma senza mai poter affondare la nave. Per queste missioni saremo provvisti di bombe da mille chili che, munite di detonatori ritardati, potranno penetrare profondamente nella chiglia ed esplodere nelle opere vive.
    In tal modo dovrebbe esser possibile affondare le navi, anche le più grosse corazzate.
    Qualche ora dopo, mentre il maltempo sembra volerci condannare all'inattività, arriva l'ordine di attaccare immediatamente la Marat che i nostri ricognitori hanno appena scoperto.
    Il bollettino meteorologico è poco incoraggiante:
    tempo pessimo fino a Krasnovardeisk, trenta chilometri a sud di Leningrado;
    sul golfo di Finlandia da cinque a sette decimi di copertura, con base a ottocento metri;
    questa ci obbligherà a penetrare in questa massa di nuvole, che sul nostro campo ha uno spessore di duemila metri.
    Lo Stormo decolla al completo e punta a nord;
    è uno Stormo ridotto a soli trenta velivoli, mentre sulla carta ne dovrebbe avere ottanta, ma il numero non è sempre un fattore decisivo.
    Purtroppo, però, le bombe da mille chili non sono ancora arrivate.
    Lo Stuka, monomotore, non è molto adatto per il volo senza visibilità, ed il capo pattuglia è obbligato a servirci da guida col suo apparecchio mentre gli altri piloti volano dietro a lui in formazione strettissima. In mezzo a questi nuvoloni neri e spessi, la distanza fra le estremità delle ali di due velivoli che volino accanto non può superare i tre o quattro metri, per non perdersi di vista e non correre il rischio di investire qualche altro velivolo delle pattuglie vicine.
    Col cattivo tempo, la salvezza di ogni pilota dipende, in gran parte, come è risaputo, dall'abilita del comandante nel volo strumentale.
    Fino a circa duemila e duecento metri saliamo attraverso la massa compatta delle nuvole;
    per misura precauzionale, le pattuglie si sono leggermente allontanate l'una dall'altra, ma appena sbuchiamo in piena luce la formazione torna a restringersi.
    Il terreno ci rimane nascosto, ma, a giudicare dal tempo che è passato, dobbiamo essere quasi sul golfo di Finlandia ed infatti, poco per volta, la distesa di nuvole si fa meno compatta e cominciamo a vedere occhieggiare, attraverso gli strappi, l'azzurrino del mare.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:46 pm

    Hans Ulrich Rudel I350849_mkRudelF26
    Siamo certo vicini, all'obbiettivo, ma non sappiamo esattamente dove, perchè è impossibile trovare un punto di riferimento attraverso queste schiarite troppo limitate.
    Ad un tratto, mentre sorvoliamo una specie di immenso imbuto che taglia verticalmente il mobile grigiore, scorgo qualcosa e do subito l'allarme per radio al mio comandante:
    «Konig due chiama Konig uno ».
    Mi risponde immediatamente:
    «Konig due, qui Konig uno, avanti! ».
    «Ho intravisto, sotto di noi, una grossa nave ... senza dubbio la Marat ... ».
    Non ho ancora finito l'ultima parola che il capitano Steen picchia e si tuffa nel varco.
    Mi precipito nella scia e dietro di me segue il tenente Klaus.
    Adesso vedo nettamente la nave.
    Non c'e dubbio, è proprio la Marat.
    Abbiamo soltanto qualche secondo di tempo per afferrare la situazione e prendere una decisione:
    senza dubbio il compito di danneggiare la nave spetta a noi soli, perchè le altre squadriglie non faranno in tempo a passare per quel buco, dato che tanto la nave quanto le nuvole sono in movimento.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:46 pm

    Ma queste ci nascondono e la contraerea potrà vederci solamente quando ne saremo fuori, cioè solo a 800 metri di quota.
    La tattica da seguire e perciò semplicissima:
    scendere in picchiata, sganciare le bombe e risalire;
    una volta tornati nelle nuvole non correremo più rischi.
    All'attacco, dunque.
    Vedo partire le bombe del capitano, ma cascano vicino alla nave senza toccarla.
    A mia volta sgancio…
    una delle mie bombe fa centro e scoppia nel bel mezzo della poppa;
    disgraziatamente coi suoi cinquecento chili non provocherà danni importanti.
    Vedo sprigionarsi delle fiamme, ma non ho troppo tempo per godermi lo spettacolo, perchè la contraerea si sveglia.
    Alle mie spalle gli altri velivoli della squadriglia stanno precipitandosi attraverso il passaggio, mentre i russi si rendono conto che gli Stuka arrivano da quello squarcio e qui concentrano subito il loro fuoco.
    Noi risaliamo nelle nuvole e, per questa volta, riprendiamo il ritorno senza aver incassato nemmeno un colpo.
    Al campo, discutiamo gli effetti della mia bomba.
    Steen è scettico e ci ripete che, secondo il parere degli esperti navali, una bomba da cinquecento chili non è sufficiente per metter fuori combattimento una nave di linea, ma qualche ottimista si ostina a credere, o meglio a sperare, che la mia bomba abbia prodotto danni molto gravi.
    Forse hanno ragione, perchè effettivamente, per quanto i ricognitori si diano da fare ad esplorare tutti gli ancoraggi del golfo, la Marat resta introvabile per tutti i giorni seguenti.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:47 pm

    Dopo la nostra prima azione contro la flotta russa, il tempo si è rimesso al buono, il che non favorisce molto i nostri programmi.
    La contraerea è pericolosissima, la peggiore tra quelle del fronte orientale.
    Secondo informazioni ricavate dalla ricognizione ci sono, nella zona che dobbiamo attaccare, cento pezzi antiaerei per ogni quadrato di superficie di dieci chilometri di lato;
    certo la cifra non è esagerata:
    gli sbarramenti incontrati formano dei veri banchi di esplosioni.
    Per darne una idea, basta pensare che le granate si sentono, dall'interno dello Stuka, solo quando esplodono a pochi metri dal velivolo; però nel sorvolare quella zona non si odono colpi isolati, bensì un tuonare ininterrotto, un vero uragano.
    La concentrazione contraerea comincia fin dal limite della striscia costiera ancora tenuta dai sovietici, poi incontriamo i porti di Orianenbaum e di Peterhof, protetti da una artiglieria formidabile;
    sull'acqua galleggia una moltitudine di pontoni, barche e zattere, tutti armati di cannoni a tiro rapido.
    I russi utilizzano ogni metro quadrato per installarvi i loro pezzi;
    ad esempio, l'ingresso del porto di Leningrado è sbarrato contro l'incursione dei nostri sommergibili da immense reti d'acciaio sospese a colonne di cemento che sporgono sull'acqua, ed anche da queste minuscole piattaforme la contraerea spara furiosamente.
    Ad una decina di chilometri c'e poi l'isola di Kronstadt, col suo grande porto di guerra contornato da una cintura di difese addirittura fantastica e per di più , entro e fuori del porto, c'e tutta la flotta russa del Baltico che ha una contraerea ancor più potente di quella dell'esercito.
    Lo stato maggiore del Gruppo, cioè Steen, il tenente Klaus ed io, abbiamo adottato la seguente tattica:
    ci avviciniamo alla flotta ad una quota di tremila e cinquecento metri, evidentemente molto bassa ma è necessario se si vuol avere qualche probabilità di colpire le navi;
    nell'affondata utilizziamo le alette-freno per diminuire la velocità e disporre quindi di qualche secondo di più per mirare e correggere il tiro.
    La frenata facilita evidentemente il compito della contraerea russa, ed il rischio d'essere abbattuti è ancora aumentato dal fatto che, senza sufficiente riserva di velocità, alla fine della picchiata non possiamo riprendere quota velocemente come vorremmo.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:47 pm

    Però, contrariamente alla tattica seguita dalle altre squadriglie, invece di riprendere quota ci buttiamo a pelo di mare;
    il passaggio della fascia costiera ci obbliga ad acrobazie disperate per sfuggire al tiro, ma dopo qualche istante rientriamo nelle nostre linee e l'incubo svanisce.
    Dopo ognuna di queste azioni vaghiamo per il campo come sonnambuli, stupiti d'essere ancora vivi: queste settimane sono dure, incredibilmente dure, e quando al tramonto passeggio con Steen, non scambiamo quasi parola;
    nonostante il silenzio però, ognuno indovina i pensieri dell'altro.
    Abbiamo ricevuto l'ordine di distruggere la flotta russa ed è quindi inutile lamentarsi delle difficoltà e dei pericoli di questo incarico:
    è un ordine e dobbiamo eseguirlo a qualunque costo.
    Ed è proprio questa disciplina morale quella che ci consente di trovare il coraggio di rituffarci l'indomani in quell'inferno.
    Una volta interrompo il nostro silenzio per chiedere timidamente a Steen:
    «Come mai è sempre così tranquillo e così equilibrato? ».
    Il capitano si ferma e, guardandomi di sottecchi, risponde:
    « Non creda ch'io sia sempre stato così.
    Lei sa quanto sia difficile la vita, specialmente se, come può accadere nella carriera delle armi, si incontrano superiori che non hanno la capacità morale di non lasciarsi influenzare, in servizio, da eventuali divergenze nei punti di vista personali, e che, confondendo i problemi di un mondo con quelli di un altro, provocano delle situazioni impossibili.
    Lei sa che il miglior acciaio è quello temprato al calor rosso, e se uno cerca una propria via ed un proprio sistema di vita, ne esce fortificato e ben armato per la lotta quotidiana ... ».
    Mi rendo conto come mai quest'uomo abbia dimostrato, fin dall'inizio, tanta comprensione per i miei problemi, poi gli dico:
    «Da tempo ho preso anch'io la decisione di evitare, in comando, gli errori che vedo commettere ai miei superiori ».
    Quando più tardi mi ritiro sotto la tenda, non riesco a dormire ed il mio pensiero è fisso su Steen, che mi appare sotto una luce nuova.
    Mi accorgo anche quanta forza morale e quanta comprensione possano scaturire da una conversazione seria e profonda condotta da uomo a uomo, nello sfondo della battaglia.
    La guerra toglie quella veste che tutti vogliamo portare nella vita normale e rende spontaneo il parlare del soldato, sia che gli salga dal cuore una maledizione od una espressione delicata.
    La guerra sveglia nell'uomo i sentimenti fondamentali che sono lo specchio dell'animo e nei quali hanno radici le capacità di giudicare se e gli altri con vera obiettività
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:48 pm

    Hans Ulrich Rudel I350860_mkRudelF23
    Il 21 settembre arrivano finalmente le bombe da mille chili e poco dopo un ricognitore segnala la presenza della Marat nel porto di Kronstadt;
    probabilmente i russi hanno riparato i danni prodotti dal nostro attacco.
    Finalmente potrò mostrare che cosa sono capace di fare;
    interrogo a lungo il pilota ricognitore sulla forza e la direzione del vento, la posizione esatta della nave, la forza della contraerea e così via.
    L'essenziale è arrivare sull'obbiettivo; poi il «centro» è sicuro.
    Decolliamo con le bombe da mille chili destinate a finire la corazzata.
    Il cielo è limpido e senza nuvole ed il vento ha spazzato anche la leggera bruma che di solito ricopre il mare;
    appena arriviamo sulla fascia costiera, la caccia russa cerca di sbarrarci la strada ma il suo attacco è disordinato e non ci obbliga nemmeno ad uno spostamento di rotta.
    Il fuoco antiaereo è invece di una intensità terrificante;
    noi siamo a tremila metri ed a dieci o quindici chilometri già avvistiamo Kronstadt.
    La distanza ci sembra enorme perchè, con il tiro che ci accoglie, rischiamo ad ogni istante di ricevere il colpo fatale;
    impassibili, almeno nell'apparenza, il capitano ed io tiriamo diritti pensando che « Ivan» non sta più mirando questo o quell'apparecchio in particolare, ma stabilisce semplicemente un immenso sbarramento alla quota che gli sembra più indicata.
    Alle nostre spalle, invece, gli altri velivoli fanno le capriole più sfrenate nella speranza di ingannare gli artiglieri sovietici.
    Ad un tratto compaiono alle nostre spalle i due apparecchi dello Stato Maggiore dello Stormo, con l'ogiva dipinta di blu, viaggiando a tutto motore attraverso le formazioni per prendere il comando dell'attacco; uno dei due, però, perde la sua bomba.
    Ed eccoci su Kronstadt, in mezzo ad un folle carosello di cacciatori russi e di Stuka che hanno un bel da fare per non investirsi l’un l'altro;
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:49 pm

    io ho già avvistato la Marat a circa tre chilometri davanti a me, un poco sulla sinistra; tutto intorno l'aria è piena di sibili e di esplosione multicolori:
    si potrebbe quasi credere ad una festa di mortaretti, se la situazione non fosse, invece, seria.
    Il mio sguardo si concentra avidamente sulla Marat, presso la quale vedo un incrociatore, il Kirov o il Gorki;
    per il momento le due navi non hanno ancora aperto il fuoco ed aspettano senza dubbio, come nell'ultimo attacco, che noi iniziamo l'affondata.
    Il superare lo sbarramento non mi era ancora mai parso così lungo e così terribile.
    Mi sto domandando se il capitano userà i freni o se, dato l'accanimento della difesa, non picchierà liberamente;
    ecco invece che li estrae al momento di buttarsi sul bersaglio;
    io lo imito e, prima di concentrarmi sulla manovra, getto un'ultima occhiata, attraverso la vetrata della cabina, sul suo viso che appare segnato dalla massima concentrazione.
    Poi, l'affondata vertiginosa ... uno dietro l'altro, con un angolo di picchiata di settanta-ottanta gradi.
    La Marat s'inquadra già nel mio collimatore, vi si ingradisce, diviene enorme.
    Tutti i suoi cannoni sono puntati su di noi e ci danno l'impressione di precipitare verso una muraglia di fuoco.
    Se riusciamo ad attraversarla, la fanteria che sosta lungo la costa pagherà molto meno cara la sua avanzata.
    Ma ecco che l'apparecchio del capitano, che tallono a pochi metri, sembra abbandonarmi ed in pochi secondi è già lontano:
    che abbia rientrato i freni all'ultimo momento per prendere più velocita?
    Naturalmente lo imito e mi precipito di nuovo nella sua scia;
    noto allora che il mio apparecchio è molto più rapido del suo, ma oramai non posso più trattenerlo;
    sul punto di raggiungerlo scorgo, giusto davanti a me, il volto livido del maresciallo Lehman, il mitragliere del capitano, che evidentemente teme che da un momento all'altro la mia elica tagli la coda del suo aeroplano.
    Con tutte le forze spingo sui comandi per aumentare l'angolo di picchiata: devo essere all'incirca in verticale ed un sudore gelato mi scorre per la schiena.
    L'apparecchio di Steen è esattamente sulla mia testa:
    lo passero senza toccarlo o cadremo ambedue in fiamme?
    Lo sorpasso!
    Il centro della nave s'inquadra esattamente nel collimatore:
    il mio bravo Stuka si è stabilizzato sulla traiettoria e nemmeno un novellino potrebbe più sbagliare. Quanto è grande la corazzata!
    Sul ponte alcuni soldati corrono portando le munizioni.
    Premo il bottone di sgancio poi tiro disperatamente.
    Avrò il tempo di raddrizzarmi?
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:50 pm

    Lo dubito, perchè ho picchiato senza freni e al momento dello sgancio ero al massimo a trecento metri;
    e pensare che ci avevano avvertito di sganciare sopra i mille metri per non essere colpiti dalle schegge!
    proprio il momento di pensarci!
    Ma almeno ho colpito la nave?
    Tiro quasi incoscientemente con tutte le mie forze;
    l'accelerazione è troppo grande, gli occhi mi si velano, la vista si confonde ed io perdo la nozione delle cose.
    Poi, lentamente, riprendo conoscenza appena in tempo per sentire alle mie spalle la voce di Scharnowsky:
    «Signor tenente, la nave salta per aria! »
    Aprendo gli occhi mi ritrovo a volo radente, tre o quattro metri sull'acqua, e prudentemente inizio una
    larga virata;
    alla mia destra la Marat sparisce sotto un nuvolone di fumo nero alto quasi quattrocento metri;
    la mia bomba ha centrato una riservetta.
    « Signor tenente, le mie felicitazioni ».
    Scharnowsky è il primo;
    qualche istante dopo cominciano per radio i rallegramenti calorosi degli altri pitoti.
    «Bravo. ragazzo », borbotta una voce rude che riconosco subito per quella del nostro commodoro!
    Mi sento felice ed orgoglioso e mi sembra perfino di vedere gli sguardi riconoscenti di migliaia di fantaccini.
    Mi avvicino alla costa tenendomi sempre il più basso possibile.
    «Due caccia russi, signor tenente », annuncia Scharnowsky.
    « Dove?»
    «Dietro a noi, ci stanno inseguendo... stanno passando lo sbarramento della contraerea della flotta.
    P ... di una miseria, sono stati abbattuti dalla loro stessa contraerea! ».
    Non ho mai sentito Alfredino urlare con tanto entusiasmo ed usare vocaboli così energici.
    Stiamo, adesso, passando la linea delle colonne di cemento alla stessa altezza dei cannoni che vi sono installati;
    basterebbe un leggero scarto per toccare, con l'estremità dell'ala, gli artiglieri russi che stanno sparando ai miei compagni, ancora in quota, pronti a picchiare sulle altre navi.
    I russi appaiono indecisi perchè il fumo dell'esplosione toglie ogni visibilità.
    Qui a quota zero il baccano deve essere assordante ed i russi si accorgono di me solo quando passo loro sotto gli occhi;
    allora fanno girare i pezzi e mi sparano qualche raffica senza, per fortuna, avere il tempo di mirare bene;
    tutto il cielo è rigato di proiettili, e addirittura intessuto di mitraglia, ma per fortuna il tiro non è mirato, e lo sbarramento, alla fine viene superato
    Arrivo sulla striscia costiera:
    qualche brutto momento ancora da passare.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:50 pm

    Impossibile far quota: impiegherei troppo tempo per raggiungere un'altezza sufficiente a mettermi fuori dalla portata dei cannoni e resto dunque a volo radente.
    Sotto le mie ali sfilano vertiginosamente postazioni di mitragliatrici e batterie contraeree;
    i russi al mio passaggio si buttano ventre a terra.
    Ancora la voce di Scharnowsky:
    « Un Rata dietro di noi, signor tenente ».
    Mi volto e vedo il cacciatore russo a circa trecento metri nella nostra scia.
    «Spari, Scharnowsky! ».
    Le traccianti del mio inseguitore mi passano a qualche metro dalla fusoliera.
    Scharnowsky non risponde;
    le pallottole si avvicinano sempre di più.
    Manovro furiosamente l'apparecchio urlando:
    «Scharnowsky! E’ matto? Spari... se arriviamo al campo la mando in galera!»
    Ma Scharnowsky non spara; mi spiega invece con tutta tranquillità:
    «Non posso sparare, signor tenente, perchè esattamente dietro il Rata c'e un Messerschmidt e rischio di colpirlo ».
    Ecco tutto: per Alfredino non c'è altro da dire.
    Per disgrazia però le traccianti del russo non mi mollano ed io viro e volteggio come un pazzo per evitarle.
    «Si può fermare, signor tenente: il Messerschmidt ha abbattuto il russo ».
    Con una leggera virata guardo dietro di me appena in tempo per vedere il Rata abbattersi al suolo;
    il Messerschmidt mi sorpassa.
    « Saremo felici di confermargli la vittoria, vero Scharnowsky? »
    Scharnowsky non risponde: è inquieto perchè un momento fa l'ho insultato e fino all'atterraggio non dirà più una parola.
    Del resto non è la prima volta: gli capita di non aprir bocca anche per tre quattro azioni consecutive.
    Dopo il rientro degli altri velivoli, il capitano riunisce gli equipaggi, come il commodoro ha già telefonato, per rallegrarsi con il 3° Gruppo;
    ha visto personalmente l'esplosione ed è molto soddisfatto.
    Ha chiesto il nome del pilota che ha piazzato la bomba sulla corazzata, perchè vuol proporlo per la Croce di Cavaliere.
    Con una occhiata verso di me Steen continua:
    « Spero che non mi serbi rancore, Rudel, ma ho risposto che ero talmente fiero dei miei piloti che preferivo veder attribuito questo successo a tutto il Gruppo ».
    Quando siamo soli nella sua tenda, mi stringe la mano:
    « Non se la prenda; non è necessaria una corazzata per dimostrare il suo valore ».


    Il Pilota di Ferro
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:51 pm

    Hans Ulrich Rudel Mk_rud10
    Stuka contro Carri
    Per cominciare mi mandano in licenza, ma prima faccio un salto a Berlino.
    Sembra che al Ministero dell' Aeronautica mi si vaglia affidare un- «incarico speciale» e vorrei sapere che cosa si nasconde sotto questa termine vago.
    Temo che si tratti di un pretesto per farmi abbandonare il fronte, giacchè i medici della Luftwaffe pensano che dopo mille azioni un pilota sia finito;
    io invece, quando riuscirò a tornare indietro, non conterò neppure più i miei voli.
    Dopo una maratona lungo i corridoi e attraverso gli uffici del Ministero, scopro che nessuno ne sa niente. Forse si tratta d'un errore di qualche ufficio intermedio, ma nessun capo-ufficio può ammettere d'aver sbagliato, e debbo così assistere a una serie di telefonate che un vecchio generale dirama a tutti i centri di volo, uffici studi e direzioni varie.
    Alla fine apprendo che al termine della licenza dovrò presentarmi a Rechlin, dove il capitano Stepp fa certi esperimenti con cannoncini anti-carro montati sui velivoli;
    tra poco quel reparto dovrà trasferirsi a Briansk per tradurre in pratica i primi risultati.
    E’ sempre meglio di quel che temevo e mi rassegno, tanto più che, nel frattempo, mi hanno promosso capitano.
    Cominciano così le prove pratiche;
    disponiamo di due tipi di velivoli: lo Ju 88 con un cannone anticarro da settantacinque sotto la fusoliera e lo Ju 87, il vecchio Stuka,con due cannoncini contraerei da trentasette sotto le ali.
    I proiettili contengono un'anima di volframio che dovrebbe perforare qualunque corazza ed esplodere soltanto nell'interno dei carri.
    I primi risultati ci consigliano d'abbandonare lo Ju 88 che ha perduto ogni capacità manovriera per l'eccessivo peso;
    anche la maneggevolezza e velocità di volo dello Stuka sono diminuite, mentre l'apparecchio diviene, invece, più veloce in atterraggio.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:51 pm

    Hans Ulrich Rudel I353807_mkRudelF19
    Sia il comando che i nostri ingegneri sono molto scettici sulle sue possibilità d'impiego, tanto più che un esperimento contro un distaccamento di carri russi ci fa perdere due velivoli lasciando i nemici illesi, ma io rimango impressionato dalla precisione di tiro consentita da questa nuova installazione, con uno scarto medio di venti o trenta centimetri.
    Bisogna però colpire i carri nei loro punti vulnerabili ed allora ci dedichiamo all'analisi delle fotografie forniteci dal servizio informazioni per studiare la disposizione dei motori, serbatoi e depositi di munizioni.
    Poi, per quindici giorni, ci esercitiamo a tirare su certe sagome di legno che rappresentano alla meglio i vari tipi di carri russi.
    All'improvviso arriva da Berlino l'ordine di trasferirci in Crimea dove i sovietici attaccano tenacemente:
    dovremmo trovarvi una buona occasione per mettere alla prova i nostri cannoni.
    Sono convinto che il velivolo così adattato non passa trovare impiego su di un fronte già stabile dove la contraerea è già accuratamente piazzata e ben mascherata;
    il nostro attacco, che deve essere condotto in volo radente, ci procurerebbe perdite superiori a quelle che potremmo arrecare al nemico;
    otterremmo invece migliori risultati su di un fronte in movimento, quando la contraerea non è ancora completamente organizzata.
    Comunico ai miei colleghi queste riflessioni, ma nessuno crede alle possibilità dello Stuka-cannone, già battezzato lo «Stuka-suicida ».
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:52 pm

    Hans Ulrich Rudel Mk_rud12
    Il capitano Stepp rimarrà a Briansk e sarò io a prendere il comando dei velivoli disponibili, che conduco, via Konotop-Nikolajev, a Kerc dove ritrovo la mia vecchia Squadriglia che continua le sue incursioni sulla testa di ponte del Kuban.
    I miei vecchi compagni mi descrivono la nuova tattica dei russi:
    quando essi tentano uno sfondamento con i carri, li fanno avanzare solo per uno o due chilometri dalle linee, per essere raggiunti dalle altre truppe.
    Saremo dunque obbligati ad attaccarli mentre sono ancora sotto la protezione della contraerea, installata subito dietro la prima linea e che, su questo fronte limitato, è molto concentrata.
    Si direbbe che tutte le riserve sovietiche vi si siano riunite;
    già qualche giorno dopo il nostro arrivo possiamo compiere un primo tentativo a sud di Krimskaia dove diversi carri russi sono penetrati per circa ottocento metri.
    Li individuiamo rapidamente, ma mentre li sorvoliamo io comincio con l'incassare una cannonata in fusoliera e debbo rientrare.
    Anche i miei piloti non hanno miglior fortuna e per di più arrivano cacciatori russi, con vecchi Spitfire che vediamo per la prima volta da queste parti.
    Un giovane sottotenente è costretto ad un atterraggio di fortuna in un frutteto.
    E’ già notte quando torna a casa con molta frutta ed una colica formidabile.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:52 pm

    Le prime prove sono dunque negative e per di più quando atterriamo tutti ci compiangono e ci consigliano di assicurarci sulla vita, di pagare i debiti, di compilare il testamento;
    ma non mi perdo di coraggio.
    Noto che durante gli attacchi dobbiamo disporre di bombe sufficienti a distruggere la contraerea.
    Giacchè gli apparecchi-cannone non potrebbero portarle anche per il sovraccarico dei cannoni, ci faremo, d'ora in poi, accompagnare dagli Stuka normali.
    Al nord-est di Temryuk i russi tentano d'aggirare le nostre posizioni del Kuban ed hanno già cominciato a trasportare, con i natanti, due divisioni attraverso le paludi;
    in quella zona, dove mare e terra si mischiano confusamente, non abbiamo che qualche piccolo presidio troppo debole per poter resistere, ed allora, come sempre nei casi d'emergenza, si ricorre agli Stuka.
    Cominciamo con l'attaccare i porti di Jeisk e di Astary, gremiti di piccole imbarcazioni;
    ma queste sono talmente numerose che, per massicci che siano i nostri interventi, non riusciamo mai ad impedirne l'avanzata e tanto meno a distruggerle tutte;
    i russi avanzano navigando giorno e notte attraverso le lagune, tutte collegate da un labirinto di canali naturali e riescono ad approssimarsi furtivamente a Temryuk:
    ad aggirare il fronte e a infiltrarsi profondamente nell'interno del paese.
    Per riposarsi si infilano nei giuncheti che rivestono tutte le anse delle innumerevoli isolette;
    li dentro è impossibile scovarli e poi, dopo qualche ora, riprendono la marcia.
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    Messaggio  White_Group Dom Nov 30, 2008 9:53 pm

    Hans Ulrich Rudel Mk_rud13
    Voliamo dodici ore al giorno frugando dappertutto;
    raramente incontriamo barche a motore perchè di solito « Ivan» usa barchette a remi, che trasportano da cinque a venti uomini pigiati come sardine ed armati anche di mitragliatrici e mortai.
    Contro questa strana flottiglia i nostri cannoni ottengono risultati straordinari, sia perchè adoperiamo le munizioni della Flak dotate di una spoletta sensibilissima, sia per la grande precisione del nostro tiro che causa perdite enormi:
    in pochi giorni riesco ad affondare più di settanta natanti.
    A poco a poco la difesa russa si fa più ordinata, ma non ci disturba molto;
    il tenente Ruffer, di una squadriglia di Hs 129, deve atterrare alla disperata su di una isoletta, ma una nostra pattuglia riesce a ripescarlo e condurlo in salvo.
    Finalmente, dopo qualche tempo, i russi si accorgono che è impossibile continuare l'operazione e la sospendono.
    Il 10 maggio 1943 ricevo la comunicazione ufficiale che il Fuhrer mi ha concesso la decorazione delle «Fronde di Quercia» e che dovrò andare personalmente alla Cancelleria per riceverla;
    l'indomani perciò, invece di portarmi in azione col mio Stuka-cannone, parto per Berlino con un Me 109.
    Lungo la rotta mi preparo a sostenere la battaglia per ottenere l'immediato rientro al mio reparto;
    appena arrivato a destinazione comincio col parlarne al tenente colonnello von Below, rappresentante permanente della Luftwaffe al Gran Quartier Generale;
    quando sente che se si opporranno ai miei desideri rifiuterei la decorazione, si arrende e promette il suo appoggio;
    cosi, qualche minuto prima dell'udienza, mi viene comunicato che potrò tornare a prendere il comando della mia vecchia squadriglia nello Stormo « Immelmann ».
    Mi si chiede però di continuare a studiare la possibilità di impiego dei cannoni ed io accetto ben volentieri perchè sono convinto che questa nuova arma ha un avvenire.
    II Fuhrer ci consegna le decorazioni nel suo ufficio personale: siamo undici tra ufficiali e soldati e per più di un'ora rimaniamo a conversare con lui.
    Tornato a Kerc, riprendo il comando della mia vecchia squadriglia, e i voli con quegli stessi compagni con cui ho già diviso tante peripezie.-

    Il Pilota di Ferro
    Hans Ulrich Rudel

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