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    Le Reggiane negli anni della prima guerra mondiale.

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    Messaggio  michele Sab Dic 04, 2010 10:58 pm

    Le  Reggiane negli anni della prima guerra mondiale. Reggiane_F16-vi
    All’ inizio della prima guerra mondiale il settore nazionale dell’ industria del materiale ferroviario aveva raggiunto un notevole livello di produzione e di qualità;
    alcune industrie, quali ad esempio la Breda, la Miani e Silvestri, l'Ansaldo si erano sviluppate in modo da far fronte largamente alle richieste di costruzione delle locomotive a vapore.
    Le stesse ditte e molte altre, circa 20, tra le quali le Reggiane, che frattanto avevano portato il numero dei propri operai, come si è detto, a circa 2000 unità e sviluppato i propri impianti su di un'area di 450.000 mq. dei quali 75.000 coperti, fornivano quasi tutti i veicoli necessari alla rete italiana.
    Le OMI Reggiane, che avevano cominciato a fornire materiale mobile ferroviario anche a società private, come per esempio alle Ferrovie di Reggio Emilia, alla “ Benevento-Cancello “,
    alla Società Veneta, alla “ Valsugana “, alle Società di Bologna, Genova, Roma, Ancona ed anche Atene, presentavano, poco prima dello scoppio delle ostilità, una struttura solida di impianti e macchinari, sommariamente articolati in: sezione veicoli e sezione locomotive.
    La sezione veicoli, adibita alla costruzione e riparazione di carri e carrozze per le FF.SS. e per le società private, comprendeva un magazzino legnami con essiccatoio, un reparto macchine a legno, un reparto macchinario per la lavorazione delle parti metalliche, un reparto montaggio telai con impianto di chiodatura pneumatica, reparti di ebanisti, tubieri, coperturai, tappezzieri e varie sale per la verniciatura dei veicoli ultimati.
    La sezione locomotive, fornitrice oltre che delle FF.SS. di varie ferrovie private, comprendeva a sua volta un locale forgia, un locale fonderia, un locale macchinario, un locale montaggio.
    Lo stabilimento era inoltre dotato di 7 gru a ponte, azionate elettricamente, della capacità variante da 10 a 30 tonnellate e di carrelli di trasbordo, ad azionamento elettrico, disimpegnanti i vari fasci di binari, permettendo la manovra dei veicoli tra i capannoni di montaggio.
    Una rete di decauville, che toccava ogni punto dello stabilimento superando nel suo complesso i 25 km., serviva per i piccoli trasporti.
    Alle manovre di smistamento si provvedeva con una locomotiva di manovra, grazie ad un allacciamento diretto dello stabilimento alla stazione ferroviaria di Reggio.
    Allo scoppio della prima guerra mondiale, con la conseguente mobilitazione industriale, le industrie siderurgiche e meccaniche italiane si trovarono di fronte a problemi e situazioni gravissime.
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    Messaggio  michele Sab Dic 04, 2010 11:00 pm

    Come nazione industriale, l'Italia era ancora valutata ben poca cosa e la si poneva, per importanza, dopo molte altre nazioni d'Europa ben più piccole;
    come produttrice di materiale da guerra poi essa occupava realmente uno dei posti minori, tributaria come era dell'estero e specialmente della Germania, per le armi e le munizioni.
    Dal più piccolo dei proiettili, al più grande dei cannoni, dall'interruttore per lampade elettriche al generatore elettrico di grande potenza, dalle caldaie ai grandi motori termici, alle più grandi e potenti macchine utensili, troppo se non tutto proveniva dall’estero.
    La guerra rivoluzionò completamente i metodi, i sistemi, i prodotti di molte industrie italiane, di altre aumentò enormemente la produzione;
    pose nuovi e urgenti problemi agli industriali, domandando prodotti, per ottenere i quali fu necessario incominciare dall'erigere il fabbricato, dal costruire le macchine e gli apparecchi necessari.
    Mentre le industrie siderurgiche accrescevano gli impianti per aumentare la produzione dell'acciaio e delle ghise, erigendo nuovi capannoni, impiantando nuovi forni, nuovi laminatoi, nuove trafile, le industrie meccaniche si ingrandirono installando migliaia di nuove macchine utensili, per lavorare decine di migliaia di proiettili al giorno, centinaia di affusti, di cannoni, di bombarde, di fucili, di mitragliatrici.
    Gli stabilimenti produttori di materiale bellico si distinguevano in due grandi categorie: stabilimenti privati e stabilimenti militari.
    Gli stabilimenti privati erano distinti in due gruppi:
    gli stabilimenti cosiddetti ausiliari, ossia controllati dall'autorità militare, che erano circa 950 e occupavano più di 400 mila lavoratori, e quegli stabilimenti che, circa 1200 e con una manodopera complessiva di circa 40 mila unità, non avevano ottenuto la dichiarazione di ausiliarietà.
    Altri 35 mila lavoratori erano impiegati nei 66 stabilimenti militari.
    Il numero enorme delle maestranze richieste specialmente dalle industrie meccaniche non era disponibile al principio della guerra, tanto più che non pochi operai erano stati mobilitati ed inviati al fronte;
    si provvide allora, con una istruzione rapida di poche settimane, fatta in officina o nelle apposite scuole, a formare una vera falange di operai ed operaie con uomini e donne presi da altri mestieri e destinati alla lavorazione in serie dei proiettili, delle ogive, delle spolette.
    Diverse scuole per tornitori vennero create nei principali centri italiani di produzione, a cura del Ministero per le armi e munizioni.
    L'inizio delle ostilità apportò un completo rivolgimento anche nelle strutture delle OMI Reggiane, che iniziavano per l'appunto alcune lavorazioni belliche.
    L'improvviso aumento del ritmo di produzione è testimoniato dai seguenti dati:
    - il consumo medio giornaliero dello stabilimento, in piena attività bellica, raggiungeva i 1500 HP al giorno con un maximum di 2050 HP di conto agli 850 del periodo immediatamente precedente;
    tali cifre veramente enormi appaiono del tutto giustificate quando si pensi che nello stabilimento si trovavano 400 lampade ad arco, 700 ad incandescenza da 200 candele, 300 ad incandescenza da 400 candele, 700 motori elettrici la maggior parte dei quali da 3 a 50 HP, ed alcuni anche da 250 HP.
    Quattro caldaie destinate ad azionare 8 magli a vapore, dei quali 3 da 1000 kg. e 5 da 500 kg. rimanevano accese in continuità.
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    Messaggio  michele Sab Dic 04, 2010 11:02 pm

    Le  Reggiane negli anni della prima guerra mondiale. Reggiane_F15-vi
    Nuovi grandi reparti vennero costruiti e destinati alla fabbricazione dei proiettili;
    altri capannoni furono costruiti ed adibiti al taglio delle barre d'acciaio, alla lavorazione dei trapani, alla attrezzeria ed alla lavorazione delle ogive ed al collaudo, occupanti complessivamente una superficie di circa 4.955 mq.
    Venivano inoltre alzati due nuovi fabbricati destinati alle forge ed alle presse, occupanti un'area di circa 4.200 mq.
    Locali precedentemente destinati al macchinario locomotive furono adibiti alla lavorazione delle granate di grosso calibro:
    infatti non solo nuove macchine e nuovi fabbricati furono impiantati per le sopravvenute esigenze di guerra, ma una rilevante trasformazione avvenne in tutta la gestione delle “Reggiane” che, dichiarate nel maggio 1916 “Stabilimento militare ausiliario” risultavano in tal modo una potente industria di guerra.

    La dichiarazione di ausiliarietà di uno stabilimento comportava l'applicazione a tutto il personale della giurisdizione militare.
    Ogni stabilimento ausiliario era controllato da appositi comitati regionali, dipendenti dal Comitato Centrale di mobilitazione industriale, ai quali, dopo l'agosto 1917, fu affidato anche il compito della sorveglianza disciplinare, prima di competenza dei comandi militari.
    Gli industriali si accorsero ben presto che se ne potevano ricavare molti vantaggi, come quello di ottenere l'esonero dal servizio militare degli operai qualificati e quindi necessari alla produzione bellica, e di mantenete nella fabbrica una rigida disciplina di tipo militare, essendo
    gli scioperi e le agitazioni vietati;
    anche i più restii deposero pertanto ben presto ogni prevenzione.

    Era di conseguenza alquanto diminuita l'efficienza delle Officine per quanto riguardava la costruzione dei carri e delle locomotive, che raggiungeva prima della guerra una media
    mensile di 200 unità per i carri e le carrozze ferroviarie ed una media annuale di 30 unità per le locomotive;
    ed era pure fortemente diminuito il lavoro di riparazione, rappresentato da circa 80/100 vagoni e 4 locomotive al mese, nel periodo pre-bellico.
    Le migliori energie dello stabilimento furono allora impiegate nella costruzione di carriaggi per l'artiglieria, proiettili, affusti e loro parti, ed infine di aeroplani modello “Caproni 600 HP (Ca 44)”.
    Fu infatti nell'ultimo anno di guerra che il governo assegnò grosse ordinazioni di aerei Caproni ad alcune fabbriche nazionali:
    800 alla SSA (Società Sviluppo Aviazione), 900 alle Officine già Miani e Silvestri, 600 alla Breda, 600 alla Bastianello, 250 alle Officine S. Giorgio, 200 alla Piaggio e 300 per l'appunto alle “ Reggiane .

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    Messaggio  michele Sab Dic 04, 2010 11:03 pm

    Alla cessazione del conflitto, tuttavia, anche per le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, gran parte delle commesse aeronautiche, così alle Reggiane come altrove, non erano state espletate:
    circa 3 miliardi di forniture aeronautiche erano in corso presso le aziende sopra citate nel novembre 1918.
    Nel 1917 , allorché il numero degli operai, rapidamente salito, aveva raggiunto le 5.000 unità, e, il capitale sociale era stato aumentato a 12 milioni, la produzione giornaliera di proiettili era di circa 8.500 unità di piccolo calibro (70 mm e 75 mm), 100 proiettili da 149 mm. che, essendo composti di una lega di ghisa acciaiosa di difficile fabbricazione erano non solo lavorati ma anche fusi presso le Reggiane, e 200 proiettili da 210 mm.
    A partire dal maggio di quell'anno fu iniziata la produzione dei proiettili da 305i con una media di produzione di 30 al giorno:
    allo scopo erano stati costruiti 50 torni speciali.
    Per la fabbricazione delle granate da 149 venivano settimanalmente fusi circa 600 quintali di ghisa;
    quotidianamente erano sottoposti alle forge 30 quintali di ferro;
    quest'ultima cifra era tanto più rilevante in quanto trattavasi di pezzi di piccole proporzioni e richiedenti minuta e precisa lavorazione.
    Poiché la condotta economica della guerra, a causa della impreparazione di cui si è detto, si era dovuta ispirare alla, “necessità assoluta di produrre a qualunque prezzo ed in qualunque modo e con qualunque mezzo “, accadeva di conseguenza che certe lavorazioni in serie, come quella dei proiettili, il cui costo era generalmente fissato in base al costo di piccole serie in officine male attrezzate, consentissero, in stabilimenti dall'attrezzatura perfezionata, alti profitti.
    Già nel 1915 infatti, a pochi mesi dall’inizio della produzione di guerra, la percentuale degli utili delle società italiane era salita da 4,81 del 1914 a 7,75, e quindi a 12,12 nel 1916 e a 13,907 nel 1917.
    La frenetica attività che nel periodo bellico animò l'apparato nazionale dell’industria siderurgica e meccanica, dando vita a speculazioni acrobatiche sui valori industriali di grossi complessi ed in misura maggiore o minore di tutte le S.p.A., attirò forti investimenti nelle società anonime, raggiungendosi nell'anno 1916 il mezzo miliardo.
    Strumento di questa dilatazione del capitale azionario - scriveva allora il Bachi - si ripresenta l'opera della grande banca, la quale, dopo la breve fase di raccoglimento nel lavoro creditizio ordinario, già ha ricominciato con slancio forse eccessivo la funzione del credito mobiliare.
    Nel corso dello stesso anno si ebbero 24 nuove costituzioni per un complessivo valore di capitali di L. 25.489.500;
    17 aumenti di capitale per un totale di L.9.464.000;
    per contro 3 riduzioni per un totale di L. 868.000, e 10 liquidazioni per un totale di L.2.135.000.
    Imponenti operazioni di credito mobiliare ad opera delle grandi banche, la Banca Italiana di Sconto, la Banca Commerciale e il Credito Italiano, caratterizzarono anche gli anni 1917
    e 1918, dando luogo a numerosissimi e svariatissimi finanziamenti, creazioni, dilatazioni di società.
    Durante il 1918 tutte le più importanti società meccaniche, Breda, Ansaldo, Miani e Silvestri, Meccanica Lombarda, Officine di Savigliano, Romeo, ecc., apportarono aumenti al proprio capitale.
    Le OMI Reggiane, che, non risparmiate dal contagio di quella , “febbre di crescenza” , avevano ampliato ulteriormente la propria potenzialità produttiva, acquistando dalla Società Alti Forni ed Acciaierie di Piombino il Proiettificio di Modena, avevano aumentato il proprio capitale a 12
    milioni dapprima e accresciuto quindi, nel corso dello stesso anno, a 24 milioni.
    Alle OMI il ramo costruzioni ferroviarie, intanto, per quanto avesse ridotta la propria attività e molti operai, prima addetti alla costruzione e alla riparazione di materiale mobile ferroviario, fossero stati impiegati nelle nuove lavorazioni belliche, non venne tuttavia completamente trascurato.
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    Messaggio  michele Sab Dic 04, 2010 11:04 pm

    Nel settembre 1916 infatti, circolando insistentemente negli ambienti interessati la notizia che l'amministrazione delle FF.SS. aveva ordinato importanti commissioni di materiale ferroviario e di locomotive per l’ importo di parecchie decine di milioni a case estere, la direzione delle OMI Reggiane si rivolse alla Camera di Commercio ed Industria di Reggio Emilia, chiedendo che venisse appoggiata l'iniziativa della Camera di Commercio di Genova, riguardante l'appello da rivolgere al governo, affinché non avvenissero più in futuro ordinazioni di locomotive a case estere.
    Era infatti accaduto che le ditte italiane, che fino ad allora erano sempre state in grado di provvedere agli annuali bisogni di materiale rotabile, a causa delle anormali condizioni create dallo scoppio della guerra, erano state costrette a ritardare notevolmente le consegne dei rotabili e si trovavano in gravi difficoltà per accettare nuove forniture;
    a causa di ciò l'amministrazione statale aveva ritenuto opportuno ricorrere al mercato estero e si era per l'appunto rivolta a case americane che, oltre ai prezzi minori di quelli che venivano
    chiesti dalle ditte italiane, garantivano tempi di consegna assolutamente impossibili pei le case nazionali.
    Per la verità le ordinazioni commissionate all'estero non rappresentavano un grosso stock, ma era comprensibile e giustificato l'allarme dei produttori nazionali, i quali si preoccupavano degli indirizzi che il governo avrebbe seguito quando, cessata la contingente produzione bellica, molte industrie meccaniche avrebbero di nuovo ripreso a vivere delle commesse di materiale mobile ferroviario e di locomotive concesse dalla amministrazione delle FF.SS.
    Per quanto riguarda le condizioni dell'industria nazionale di materiale rotabile alla fine della prima guerra mondiale, le aziende private raggiungevano il numero di 32, con un totale
    di 42 stabilimenti così ripartiti:
    Piemonte 11, Liguria 5, Lombardia 10, Veneto 1, Emilia 4, Toscana 6, Lazio 1, Marche 1,
    Campania 3.
    Mentre per i primi esperimenti di trazione elettrica effettuati all'inizio del secolo in Italia, a causa del limitato sviluppo dell'industria elettromeccanica nazionale, era stata costretta a rivolgersi all'industria straniera, importando dalla casa Ganz i primi locomotori tipo Kando, alla fine della prima guerra mondiale l’industria italiana si era organizzata anche per la produzione di materiale mobile destinato alla grande trazione elettrica, seguendo le direttive statali tendenti ad estendere sempre più l'impiego dell'energia elettrica, sia per eliminare le difficoltà tecniche d'esercizio dovute alle gallerie ed alle forti rampe, sia per i vantaggi economici conseguibili a causa dell'elevato costo del carbone e delle difficoltà di approvvigionamento di esso da nazioni estere.
    Le prime aziende capaci di affrontare la costruzione completa di materiale mobile per la trazione elettrica furono la Breda e l'Ansaldo;
    si aggiunsero a questa la Brown Boveri e la Società Nazionale delle Officine di Savigliano.
    Nello stesso tempo altre aziende prettamente meccaniche (la FIAT di Torino già Diatto, le OMI di Milano già Miani e Silvestri, le OMI Reggiane, le Odero Terni Orlando di La Spezia) andavano affiancandosi ad altre costruttrici di macchine ed equipaggiamenti elettrici (la CGE di Milano, la Marelli di Sesto S. Giovanni) per la costruzione di locomotori ed elettromotrici.

    Tratto da :
    Un'Industria, una città
    Cinquant'anni alle Officine Reggiane
    Sandro Spreafico

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