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    8 gennaio 1944

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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 19, 2008 9:32 pm

    8 gennaio 1944 Bomb_F1-vi
    8 gennaio 1944, ore 14,35.
    Che soddisfazione per il "Nigher"!
    Che felicita!
    Le "Officine Reggiane" della sua giovinezza:
    dal fumo denso ed acre che riempiva i polmoni per cui sputava saliva nera come la pece;
    dai rumori assordanti dei martelli pneumatici;
    dai terribili freddi invernali nei capannoni;
    dalle guardie, spie dei padroni, con le loro orecchie ovunque sugli operai;
    l'officina dall'orologio marcatempo che, in portineria, inesorabile timbrava il cartellino, giorno e sera, come un marchio a fuoco e segnava i minuti e i secondi;
    la fabbrica, infine, del velocissimo velivolo 2001, portatore di morte e distruzione attorno al mondo,
    non esisteva più!
    Cancellata per sempre!
    Nelle prime ore del pomeriggio dell'otto gennaio 1944, centinaia e centinaia di bombe di grosso calibro l'avevano sventrata, dilaniata, ridotta in frantumi, crivellata da enormi crateri prodotti dal bombardamento alleato.
    Interi reparti erano bucherellati come colabrodi,le ali spezzate, i motori fusi per l'alto calore, le fusoliere scheletrite.
    Il lavoro di anni di oltre undicimila operai ed impiegati, in pochi istanti d'inferno, era stato annullato.
    Che soddisfazione per il "Nigher"!
    Si era preso la sua bella rivincita una volta per tutte:
    sui capi-reparto;
    sui tempisti che controllavano con l'orologio in mano, i pezzi;
    sui capi-squadra;
    sui servitorelli della Direzione.
    Avevano finito di spronarlo, di tormentarlo; di volere un pezzo preciso al millesimo;
    di subire l'interrogatorio arrogante quando portava una punta di trapano spezzata al Capo-reparto che l'accusava di sabotaggio contro lo Stato;
    di essere seguito perfino quando andava al cesso.
    I malandrini volevano conoscere, a tutti i costi, chi erano gli sconosciuti sovversivi, che avevano la sfacciataggine di scrivere sui muri parolacce e frasi oscene contro il salvatore della Patria e fondatore dell'Impero.
    Ora, lor signori, potevano andare, con i loro preziosi calibri e gli strumenti di controllo del collaudo, a verificare i torni distrutti, le fresatrici andate alla malora;
    gli apparecchi 2001-2002 ridotti a ferrovecchio!
    Sarebbero stati costretti a vendere il materiale semi-distrutto un tanto al chilo per poche lire all'industriale Severi, il re delle cianfrusaglie e del ferrovecchio.
    Ah! Ah! Ah! Che gusto provava!
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 19, 2008 9:34 pm

    Al "Nigher" non importava un fico secco della fabbrica distrutta, così pure della Stazione Ferroviaria, ridotta ad un cumulo di macerie, assieme ai binari, locomotive, carrozze e locali annessi.
    Il suo cruccio maggiore era stato più intimo, più sentimentale.
    Trovava ingiusto il bombardamento degli Alleati proprio in quei giorni: 7 e 8 gennaio 1944.
    Gli Alleati erano a conoscenza che, il 7 gennaio di 147 anni prima, a Reggio Emilia era nata la Bandiera Italiana:
    verde, bianca e rossa?
    Che la Sala del Consiglio Comunale si chiamava "Sala del Tricolore"?
    Era inutile che i loro capoccioni lo negassero perché il bombardamento era stato ben progettato e messo in atto.
    Era veramente dispiaciuto poiché avevano distrutto il maestoso mosaico della facciata della Stazione Ferroviaria.
    Questo infatti rappresentava la solenne proclamazione del Tricolore del 7 gennaio 1797 da parte dei Patrioti reggiani.
    Quindi l'azione degli alleati era stata una vera carognata.
    Un capolavoro di pazienza e di passione durato oltre due anni.
    All'inizio sembrava un grande casellario su cui, con le matite colorate, potevi ricavare un disegno.
    Man mano che percorrevi un tracciato, alla fine, risultava essere una bellissima scena popolata ed animata.
    Dapprincipio, guardandolo, sembrava un grande geroglifico egiziano.
    Ognuno cercava di decifrare ed interpretare il disegno.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 19, 2008 9:36 pm

    Qualcuno, più intelligente, affermava categoricamente che si trattava nientemeno della conquista di Addis Abeba da parte dei gloriosi legionari mussoliniani.
    Nessuno alla fine era riuscito a capire quei geroglifici.
    Così, man mano che i tasselli venivano collocati secondo il tracciato, apparivano figure straordinarie.
    Fu soltanto alla fine dei lavori che il mosaico brillò in tutta la sua splendida bellezza.
    Il "Nigher" l'aveva visto nascere, un poco alla volta, tassello su tassello.
    Per mesi e mesi egli, assieme agli amichetti, aveva assistito giorno per giorno all'opera meticolosa, paziente degli operai coadiuvati da un valente tecnico specializzato in simili lavori.
    Quando finalmente il mosaico fu completato, il "Nigher", vide, con stupore, il grande disegno dell'angelo bianco con le ali larghe, intento a proteggere la bandiera tricolore.
    I Patrioti italiani, festanti e giulivi, fecero una processione continua per le strade.
    Nel vederlo, rimanevano a bocca aperta, stupefatti.
    Un autentico capolavoro.
    I viaggiatori, che avevano la fortuna di transitare per la nostra città, guardando il mosaico della Stazione, apprendevano così di essere arrivati, per puro caso, nella città del Tricolore.
    Dopo un momentaneo stupore, affermavano quasi increduli:
    - La bandiera italiana non era nata a Genova a Milano,a Roma o Palermo?
    il "Nigher" a sentire queste affermazioni si irritava spazientito.
    Gli Alleati, distruggendo proditoriamente il grande mosaico, volevano dimostrare proprio il contrario, facendo sparire ogni possibile traccia.
    Ma i Reggiani non erano degli allocchi e ignoranti.
    Avevano i loro Musei zeppi di documenti comprovanti tutto questo:
    "Ma per chi li avevano presi?"
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 19, 2008 9:41 pm

    8 gennaio 1944 Bomb_F2-vi
    Il "Nigher", dopo il bombardamento, aveva compiuto una rapida capatina esplorativa lungo il viale Ramazzini, fin dentro la fabbrica, girando in lungo e in largo fra i reparti.
    Ormai la guerra era da considerarsi irrimediabilmente perduta.
    Chi la pensava diversamente aveva tenuto la testa sotto la sabbia come gli struzzi.
    Le camicie nere andassero pure a farsi friggere e a nascondersi una buona volta!
    Presto la resa dei conti sarebbe venuta.
    Qualche bastonatore doveva pur pagare le proprie malefatte durante i vent'anni di Regime.
    Il "Nigher", dopo le prime affrettate considerazioni, ebbe a meditare profondamente su un episodio significativo.
    All'interno dell'Officina aveva incontrato Celso Campari, vecchio operaie del suo reparto.
    Egli, vedendo quelle immani rovine, si era messo a piangere,.sommessamente, come un bambino.
    Lo aveva vista poggiare la testa contro il muro semidistrutto del reparto e piangere.
    Il "Nigher", per un attimo, era rimasto perplesso e silenzioso: non sapeva cosa dirgli.
    Quello, per caso, non era del tutto ammattito?
    Star male per quella fabbrica di guerra e di morte?
    C'era proprio bisogno di piangere sulla fine dello sfruttamento, sulla piaga di fame, sul lavoro da schiavi, per continuare un conflitto assurdo ed immane con milioni di morti uomini, donne e bambini?
    Vedendo piagnucolare così il suo capo-squadra, Celso, come una donnicciuola, s'era arrabbiato per davvero.
    Mentre ritornava a casa, riflettendo meglio sul comportamento del vecchio operaio, se pur con una certa amarezza, il "Nigher" si rese conto che dovevano esserci delle ragioni nascoste e profonde.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 19, 2008 9:42 pm

    Le "Officine Reggiane" erano state, per migliaia e migliaia di operai, la loro vita stessa da difendere, da amare, da sostenere, nonostante tutte le avversità, i dolori, le amarezze, la durezza del lavoro.
    L'Officina era penetrata nel loro sangue e nelle loro ossa.
    Non potevano mica separarsene e liberarsene come un vestito vecchio da un momento all'altro.
    Cosa mai avrebbero fatto domani mattina e posdomani, dal momento che la fabbrica non esisteva più?
    Rimanere con le mani in mano, senza fare nulla, era per loro inconcepibile.
    Chi avrebbe dato da mangiare ai figli?
    Era il dilemma assillante e tragico per migliaia di operai rimasti senza lavoro.
    L'Officina era stata come una madre adottiva.
    Aveva Formato i loro caratteri, indurito i loro propositi di fronte alle gravi difficoltà nel costruire giorno per giorno le locomotive, i vagoni ferroviari, i caccia veloci, gli impianti dei mulini.
    Era diventato il loro modello di vita.
    Il tornio ogni sera, al termine del turno di lavoro, veniva meticolosamente pulito come un damerino ed oliato.
    Le lime e le chiavi inglesi, riposte al proprio posto nel cassetto;
    il banco di legno ripulito, come la piazzetta della Verdura, dopo un giornata di vivace mercato.
    Il trapano verticale, orgoglio del reparto, alto tre metri, di marca tedesca, veniva trattato come un bambino, con estrema attenzione e delicatezza.
    Il calibro veniva messo fuori dal taschino della tuta bianca in bella mostra con orgoglio, lucidissimo:
    era il misuratore infallibile, in millimetri e in centesimi, dei pezzi prodotti, e che costringeva a scartare i più imprecisi e i più sballati.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 19, 2008 9:47 pm

    8 gennaio 1944 Bomb_F3-vi
    I grossi distintivi d'acciaio del Reparto Motori, dove si lavorava, venivano appuntati anche alle giacche domenicali, per darsi delle arie di operai specializzati nel passeggio lungo la via Emilia da San Pietro a Santo Stefano.
    La sigla "M" era sinonimo di classe.
    Negli ultimi mesi del 1943, gli operai, in segno di disprezzo verso i teutoni, rovescia-vano la patacca con la "M" in modo che apparisse una "W" alla Churchill, in segno di vittoria alleata.
    Per mesi e mesi, gli sbirri, all'interno della fabbrica, non s'erano accorti per nulla della singolare protesta degli operai.
    La sirena, "al sciflaoun" li aveva chiamati al lavoro ogni mattina per decine di anni:
    con la neve, la pioggia, le belle giornate e le tristi, fin da ragazzini, poi da giovinetti, fidanzati, sposati, padri, nonni. Intere generazioni erano vissute all'ombra delle "Reggiane".
    Insomma dall'alba della gioventù fino al viale del tramonto e la morte.
    Per molti operai, quindi i rumori, anche i più modesti, le gru del reparto locomotive, la fiamma ossidrica che bruciava gli occhi, la battitura della lamiera, la fame che aggrediva lo stomaco, con la distruzione della fabbrica, assumevano un'altra dimensione, più umana.
    Tutto ciò finiva per essere più sfocato, tenue.
    Constatare che il tornio era stato frantumato, come da mazze giganti, come il cassetto che Celso, assieme al vecchio Orlando Reverberi, teneva gelosamente in perfetto ordine (dentro in bella mostra c'erano la lima il tondino,il seghetto da tagliare il ferro, la squadra, il martelletto di rame, le numerose punte del trapano) constatare, insomma, che gli arnesi di lavoro si erano disposti in mezzo ad ogni sorta di detriti, deformati dal calore delle bombe, gli faceva mancare le forze.
    Era come avesse perduto irrimediabilmente qualcosa di intimamente suo.
    Che disastro!
    Il vastissimo magazzeno di attrezzeria (la banca dell'Officina), che fino a pochi giorni prima forniva ogni sorta di materiale e di strumenti alla richiesta del singolo operaio che ne abbisognava, era un groviglio di rovine.
    Migliaia e migliaia di pezzi perduti, inservibili per sempre.
    Qualcuno, volonteroso, cercava di recuperare il più possibile il materiale prezioso.

    Luciano Guidotti
    Lo Sparviero, il prete guerrigliero

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