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    Capitano Tullio De Prato

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    Messaggio  Staff Dom Mar 15, 2009 12:07 am

    Capitano Tullio De Prato ReggioE_F1-vi
    Caccia addio: Reggio Emilia
    Nel settembre del 1941, da Ravenna - dove il II Gruppo Caccia era in attesa di nuovi velivoli - la 150a Squadriglia fu inviata a Reggio Emilia per seguire la messa a punto e curare poi il ritiro-dei primi caccia Re 2001.
    I piloti di questo Reparto, entusiasti del nuovo aereo, rientrarono a Ravenna destando l'ammirato stupore dei colleghi che si prodigarono per accelerare la transizione sul caccia.
    Il Comandante titolare del Gruppo, nel frattempo, era stato trasferito
    allo Stato Maggiore cedendo interinalmente la guida del Reparto al Capitano più anziano, prossimo alla promozione, il quale intensificò l'addestramento in vista del ritorno in linea.
    All'improvviso, senza alcuna comunicazione superiore,giunse a Ravenna un giovane Maggiore - abile bombardiere - che ignaro della necessità di rodaggio, e affiatamento richieste dalla difficile e prestigiosa specialità, si dichiarò investito del nuovo Comando;
    e così, all'italiana, il... bombardiere, si pose alla testa di ventisei cacciatori, consumati nel "mestiere" e legati da affiatamento e affetto, maturati in anni ed anni di vita in comune, di voli di pace e di guerra!
    Il Capitano ..anziano,non ingoiò il rospo.


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    Messaggio  Staff Dom Mar 15, 2009 12:09 am

    Carta bollata alla mano, chiese al'Ministero di venire assegnato ad un ufficio qualunque.
    Allegò due estratti di “stato di servizio”':
    il proprio e quello del Maggiore bombardiere.
    Si dichiarò ben deciso a... pilotare una “Olivetti”, per il resto della carriera.
    Gli uomini del II Gruppo piansero, con lui, al momento del distacco.
    Il Capitano fu assegnato allo Stato Maggiore della Squadra Aerea di Padova
    Con l’importante incarico di “... spostare bandierine” su una mappa del fronte
    balcanico, minacciato dai partigiani di Tito.
    Un compito “da naso” che era stato dominio riservato di uno dei tanti "indispensabili", riuscito a schivare le zone calde dei fronti facendo ammoine.
    Ma il nuovo arrivato, considerato un usurpatore, venne isolato, trattato con distacco e dovette... rinculare.
    Si dedicò all'orto di guerra, creato nei pressi del Comando, anche per non disertare del tutto l'attività bellica.
    Inatteso, un mattino del marzo '42, giunse a Padova il Direttore generale delle Officine Reggiane per offrirgli l’incarico di curare i collaudi del "Re 2005”'; una macchina d'avanguardia.
    L’invito era entusiasmante ed il depresso, forzato agricoltore di guerra", accettò l'incarico.
    Il Generalo Porro, responsabile della Squadra Aerea, caldeggiò la cessione del pilota-disoccupato.
    Fu così che il prefato Signore cambiò mestiere dopo una travagliata carriera.
    E ne intraprese una nuova con lo slancio con cui si abbraccia una nuova missione.

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    Messaggio  Staff Dom Mar 15, 2009 12:10 am

    Capitano Tullio De Prato ReggioE_F3-vi
    Le O.M.I. - Reggiane
    Nel 1942, le “Reggiane” erano forse le officine aeronautiche più moderne dell'Italia, attrezzate con macchinari costosi e perfetti, avevano maestranze abili, assidue, volonterose;
    guidate da tecnici sagaci, perseguivano temi d'avanguardia.
    Fino a quel momento, però, l'industria non era riuscita a sfondare nel campo della produzione in serie.
    Il “Re 2000", il discusso aeroplano dalla paternità... ambigua era stato dichiarato inadatto all'impiego bellico.
    Aveva il serbatoio del carburante contenuto nell'ala-stagna, il ché veniva considerato un handicap, ma - aerodinamicamente - era una macchina perfetta.
    Docile, evoluiva con la sicurezza e l'agilità di un biplano “Rosatelli” e surclassava i similari prodotti della concorrenza.
    Forse per questo, più che per l'ala che trasudava benzina, era stato... condannato senza appello.
    Per giustificare ciò, si parlò anche di “pudore nazionale”:
    il caccia, assomigliava stranamente ad un noto pari-classe statunitense.
    La fabbrica di Reggio Emilia ne costruì pochi esemplari per la Regia Aeronautica che li impiegò, con buoni risultati, come aerei imbarcati sulle grosse unità della Marina.
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    Messaggio  Staff Dom Mar 15, 2009 12:11 am

    Ne produsse invece più di un centinaio per ungheresi e svedesi: clienti soddisfatti.
    Le clausole per la fornitura dei "2000" alla Svezia imponevano, per ogni gruppo di dieci macchine, il rilievo delle caratteristiche, cosa mai avvenuta sino ad allora.
    Il “2000” di serie, a pieno carico, confermava le prestazioni del prototipo e, tra l'altro, raggiungeva i diecimila metri di quota con facilità!
    Seguì il “Re 2001”, derivato dal primo, che presentava la fusoliera adattata per ricevere il motore tedesco DB 601, quello del "Macchi 202".
    Ma anche questo velivolo da caccia ebbe scarsa fortuna perché i piloti gli preferirono il più veloce "202" il quale - si diceva - avrebbe dovuto essere costruito “su licenza”, da tutta l'industria aeronautica nazionale;
    anche per ragioni di unificazione.
    Il "Re 2001" armò un Gruppo della R.A. che si logorò su Malta;
    qualche Squadriglia provò ad usarlo come caccia-notturno - con due Mauser da venti nelle ali - mentre fu impiegato sperimentalmente persino come tuffatore e... siluratore!
    Da questi scarsi successi, le "Reggiane” trassero motivi di riscossa che, in breve, si concretizzarono nel "Re 2005".
    Io lo vidi in fase di avanzato montaggio il giorno del mio arrivo a Reggio, dopo aver incontrato l'Ingegner Alessio per definire i dettagli della mia collaborazione.
    Era una macchina che, giudicata ad... occhio, sfiorava la perfezione.
    Alessio era uomo di grandi vedute, un ottimista.
    Mi espose subito i programmi post-bellici evidenziando la opportunità che mi legassi alla Ditta in maniera definitiva.
    Nel reparto-sperimentale incontrai l'Ingegner Longhi che ne era il “capo-fabbrica".
    Un personaggio vulcanico che avevo conosciuto durante la messa a punto dei primi “Re 2001” assegnati - in numero di nove - alla 150" Squadriglia.
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    Messaggio  Staff Dom Mar 15, 2009 12:12 am

    Longhi mi accolse con viva cordialità e dimostrò apprezzamento nei miei confronti;
    penso fosse stato lui a suggerire il mio nome all'Ingegner Alessio.
    Il mio ingaggio era stato determinato da un motivo di fondo:
    Francesco Agello, mio illustre predecessore, collaudando il Re 2001, non aveva
    raggiunto le prestazioni di progetto e su di lui, capro espiatorio, erano state scaricate le responsabilità dell'insuccesso.
    Di qui la determinazione di …liquidarlo e ritentare le valutazioni a Guidonia con un nuovo pilota al quale affidare “ab initio”, l'intero programma “2005”.
    Era, Agello, un gran brav’uomo e, da lui - amareggiato – ebbi i primi ragguagli sul nuovo, difficile ambiente nel quale avrei dovuto svolgere la mia attività.
    Lavorammo insieme, con affiatamento, a collaudare i "2000” e “2001”, fino a quando non gli fu palesemente confermata la sua esclusione dalle prove del “Cinque”.
    Toccato nella sua dignità professionale lasciò le “Reggiane” per la “Breda" dove perì in un incidente di volo.


    Ultima modifica di Staff il Dom Mar 15, 2009 12:14 am - modificato 1 volta.
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    Messaggio  Staff Dom Mar 15, 2009 12:13 am

    Capitano Tullio De Prato ReggioE_F2-vi
    Il "reparto voli e consegne”, al mio arrivo, era diretto dal Capitano
    Zocchi;
    uomo retto, scrupoloso, battagliero che non sopportava soperchierie.
    Per ragioni di lavoro era in perenne conflitto con l'officina ed il reparto di Longhi i quali, a suo avviso, difettavano di meticolosità.
    Molto severo nei giudizi Zocchi necessitava di un ... confessore e ciò me lo rese amico sincero.
    Ero così “sistemato” tra la amicizia di Zocchi e la esplosiva cordialità di Longhi;
    due esseri agli antipodi, in lite perenne tra loro..
    Tra questi due “fuochi” avrei dovuto svolgere... serenamente il mio lavoro!
    Il Capitano Zocchi mi fece subito un ritratto dei protagonisti, perché imparassi a difendermi. Perché in quell'ambiente sospettoso e tetro avessi modo di apprezzare gli uomini di valore - semplici ed irretiti - i quali operavano sotto l’influenza e per conto di due personalità imperscrutabili legate - si diceva - a vicenda, dal “segreto" del Re 2000, e dai conseguenti
    comuni vantaggi.
    Zocchi mi parlò anche dell'Ingegner Pambianchi, il cervello che elaborò il progetto importato dagli Stati Uniti;
    di Vardanega, che ne realizzò con genio il singolare carrello retrattile a duplice movimento.
    E di tutti questi remi ebbi,in seguito, sentore infinite volte attraverso mezze frasi appena bisbigliate onde evitare... sgradite sorprese.
    In questo intricato ed interessante mondo, in mezzo a tanti notevoli personaggi, nessuno degli undicimila dipendenti della Ditta - anche se ammaestrati da una realtà non compiutamente rivelata - intuì che la “Storia” avrebbe accreditato il progetto dell'ottimo “2005" ai due consociati:
    l'uno Direttore Generale di un grosso stabilimento di produzione multipla l'altro, capo-fabbrica di un Reparto ed impiegato di prima categoria.
    E ciò, escludendo l'Ingegner Maraschini, Capo dell'ufficio-progetti in sostituzione di Pambianchi, l'altro... terzo incomodo,liquidato al primo volo del “Re 2000".
    Ma così va il mondo... così andava a quel tempo, quando cominciai il mio nuovo mestiere di collaudatore.

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    Messaggio  Staff Gio Mar 19, 2009 11:24 pm

    Capitano Tullio De Prato ReggioE_F4-vi
    Montecavolo
    L'Ingegner Alessio, quando approdai alle “Caproni-Reggiane”, viveva a Montecavolo, in una villa cardinalizia del '700;
    una residenza principesca che dominava la località.
    La proprietà era completata da una azienda agricola-modello, dove non mancavano nemmeno i cavalli da sella.
    Le personalità, a Reggio Emilia, si misuravano anche in “biolche”, ed Alessio, prestigioso Direttore generale delle "O.M.I. Reggiane, - forti di tredicimila operai -possedeva un trono adeguato alla ambita carica.
    Oggi, in tempo di permissivismo, è inimmaginabile l'autorità che emanavano i dirigenti industriali del ventennio.
    Autorità e prestigio che si manifestavano con l'isolamento, con la riservatezza e venivano esercitate attraverso un abituale,altezzoso distacco verso i dipendenti, anche i più prossimi e qualificati.
    Tra Direttore e (vice), ad esempio, esisteva un incolmabile abisso alimentato da una campagna di critiche, per lo più malevole, che servivano a tenere... alla frusta il collaboratore.
    Sovente, i rapporti di lavoro erano basati più sul terrore che sull'affiatamento;
    e così, dal vertice, giù giù fino alla manovalanza.
    Secondo i canoni esatti della gerarchia.
    Il Direttore generale era un monarca assoluto ma anche l'ultimo “graduato" dominava... il manovale.
    L'autorità veniva poi integrata dalla anzianità, della camicia nera e dalle annesse benemerenze per cui gli undicimila si muovevano con diffidenza.
    Solo in poche isole si operava in clima di cordialità.
    Montecavolo era vietata a tutti coloro che avevano rapporti di dipendenza con l’Ingegnere.
    Faceva eccezione la garbata segretaria, parte integrante della famiglia, signora e due figliole, gentilissime.
    Forse per la mia posizione, per la mia veste militare, probabilmente perché nuovo del luogo - non avevo legami con alcuno – fui accolto a Montecavolo con eccezionale calore.
    E da quel colle, potei osservare, senza difficoltà,l'ambiente;
    studiarlo ed intuirne i risvolti più riposti mantenendomi al di fuori della mischia.
    L'abituale frequentazione di casa Alessio mi aveva procurato “prestigio aziendale".
    Inoltre, mi aiutò ad evitare la soggezione dall’ Ingegner Longhi il quale, quasi per potere... ipnotico, riusciva ad orientare tutte le coscienze imponendo la propria volontà.

    Le Reggiane producevano aeroplani, mulini, motori, materiale ferroviario e ciascun settore aveva una direzione ed un apposito ufficio-progetti.
    La sezione velivoli era diretta dall'Ingegner Bonomi mentre, come abbiamo visto, Maraschini capeggiava l'ufficio “progetti-aviazione”.
    Il Direttore generale frequentava -il reparto-sperimentale”, di cui Longhi era capo fabbrica, naturale centro di attrazione è di incontro di tutti i tecnici aeronautici della casa.
    Tuttavia i rapporti Alessio-Longhi erano di... reciproca diffidenza e i superficiali convenevoli non bastavano a nascondere agli altri collaboratori tale precario stato di cose.
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    Messaggio  Staff Mar Mar 24, 2009 12:01 am

    Capitano Tullio De Prato Depratore2005f1
    I collaudi del Re 2005, Sagittario
    Nell'attesa che il primo esemplare del Re 2005 fosse pronto, l’impegno del Com.te De Prato a Reggio Emilia era, ormai, totale con frequenze di otto "decolli, al giorno.
    Esso andava dalla messa a punto dei "Re 2000" appartenenti alla serie costruita per l'Aviazione ungherese - settanta macchine - e per quella svedese (sessanta velivoli), ai voli sperimentali con il Re. 2001 bis.
    Il giorno 19, prima uscita ai comandi di un Re.2002.
    Come si vede, non c'era da starsene a mani in mano!
    Tuttavia, momento importante e più atteso finiva per essere il primo volo con il prototipo del Re 2005, avvenuto il 9 maggio 1942, con un leggero ritardo rispetto agli ottimi concorrenti - il Macchi "M.C.205, ed il FIAT G.55 per i quali il battesimo dell'aria aveva avuto luogo in aprile.
    Per De Prato era subito ... un amore a prima vista, come titolerà una lettera-relazione dedicata al bellissimo caccia che, fra le quasi trenta macchine da lui pilotate , jet compresi - occupa, senza dubbio, il posto d'onore.
    Ne tesse le lodi con l'entusiasmo del neofita e attraverso ricordi, articoli, resoconti, si sofferma a precisarne - cosa insolita - le caratteristiche tecniche, le prestazioni, a raccontarci le impressioni ricavate durante le diverse prove.
    Di ciò gli siamo grati perché ci esime dall'inutile dilungarci su di un tema così ricco d'informazioni.
    Il trasferimento del Re. 2005 da Reggio Emilia al Centro Sperimentale di Guidonia per
    sottoporlo alle prove ufficiali di valutazione da parte della Regia Aeronautica, De Prato lo aveva compiuto il 20 luglio.
    Malgrado gli ottimi risultati conseguiti la R.A. era inspiegabilmente avara nel richiedere alle "Reggiane” l'avvio della produzione dei "2005" che, le esigenze di guerra, avrebbero suggerito immediato.
    Giungeva soltanto, una magra commessa: una pre-serie di sedici velivoli seguita da un ordine per altri diciotto.
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    Messaggio  Staff Mar Mar 24, 2009 12:03 am

    Il Ministero fu invece solerte nel comunicare che al caccia era stato attribuito ... il nome di Sagittario.
    Dopo Guidonia i voli di De Prato, sul monoplano proseguivano nei cieli dell'Emilia.
    Egli dovrà però attendere il 6 marzo 1943 per pilotare il primo Sagittario di serie.
    Ed il 4 aprile per trasferire a Napoli-Capodichino un "Re. 2005, - operativo - preso in consegna dall'unico Reparto della Regia Aeronautica designato ad armarsi - purtroppo tardivamente - con il modernissimo intercettatore:
    il 22° Gruppo C.T.
    Uno dei Comandanti di Squadriglia del 22°, l'allora Capitano Jerry la Ferla, confermò - a chi scrive - le eccezionali doti dell'apparecchio in maniera concisa ma significativa:
    - (Partiti su allarme ci si arrampicava alle quote più elevate per attaccare dall'alto le compatte
    formazioni di quadri-motori Alleati dirette su Napoli.
    Il "Re. 2005" rispondeva in maniera perfetta, sorprendente.
    Era motivo di soddisfazione osservare - 500 metri sotto di noi - i pur brillanti Macchi
    205 di un altro Reparto, arrancare faticosamente.
    Essi avevano raggiunto il top mentre noi continuavamo a salire..., -.

    Il giugno -successivo, vedeva De Prato concedersi una breve parentesi.
    A Perugia in collaborazione con lo Stato Maggiore, effettuava prove di atterraggio corto, con Re 2001, provvisti di gancio d'arresto, per i quali era previsto l'imbarco sulla costruenda porta-aerei "AQUILA” - l'unica - della Regia Marina.
    Frattanto, nel dicembre del 1942 De Prato era tornato presso il "Nucleo di Volo Armamento Aeronautico del Centro Sperimentale per svolgere - sul balipedio di Furbara - un completo programma di prove armi, impiegando un Sagittario bellicamente attrezzato.
    Durante l'estate del 1943, a Reggio Emilia e a Guidonia avevano luogo altre dimostrazioni sotto il controllo della Regia Aeronautica.
    Protagonisti, ancora una volta il capo-collaudatore ed il "Re 2005".
    Le specifiche ministeriali prescrivevano che il velivolo dovesse sopportare una velocità superiore, del cinquanta per cento a quella massima normalmente raggiunta in volo orizzontale.
    Il caccia, lanciato in vertiginosa picchiata sfiorò i mille chilometri.
    Un evento storico non soltanto per Tullio De Prato il quale, da vecchio... lupo di cielo, ancora una volta aveva avuto una felice intuizione nell'entusiasmarsi dell'apparecchio sin dall'inizio.
    Nel dopoguerra, per ponderato riconoscimento dei nemici, di allora, il Sagittario sarà giudicato uno dei più brillanti, se non addirittura il più brillante -in senso assoluto, fra i velivoli da caccia - ad elica - prodotti da Italia, Germania e Giappone.

    Tullio De Prato
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    Messaggio  Staff Ven Mar 27, 2009 11:22 pm

    Capitano Tullio De Prato GianniCaproni
    Gianni Caproni
    lncontrai l'Ingegner Caproni nel 1942 alle REGGIANE e nel vederlo, rammentai un lontano incontro infantile.
    Infatti, prima di conoscere lui avevo conosciuto la sua “fortezza volante”:
    il Ca 3/450 HP.
    Nell'autunno del 1918, avevo dieci anni, stavo servendo Messa alla “Madonna del Carmine”, di Dignano d'Istria, dove eravamo sfollati, quando un rombo infernale chiamò fuori della chiesa i pochi, infreddoliti fedeli, prete e sacrestano.
    Tutti, naso all'insù, ad ammirare spaventati quell'enorme vascello aereo che recava, ben dipinto in coda e sotto le ali, il tricolore.
    Rimasi inchiodato e stupito nel bel mezzo della piazza - con la fierezza di chi avrebbe voluto emulare quei coraggiosi - a seguire le evoluzioni di quel mastodonte che virava intorno al campanile a poche decine di metri dal suolo, rombando.
    Si distinguevano gli aviatori a bordo i quali, sbracciandosi, pareva volessero salutare.
    La guerra era ormai all'epilogo e dalla Piazzaforte di Pola, adesso muta, nessuno sparò.
    Lo spavento si trasformò ben presto in un festoso incontro con i primi fratelli d'Italia.
    Dalle case, molti uscirono per commentare l'accaduto:
    gli uomini dimostrando il loro entusiasmo;
    le donne per esprimere la loro perplessità di fronte a quella... violazione del cielo.
    Quando sarò grande farò l'Aviatore, dissi a mia madre appena tornato a casa.
    Non rispose: si fece il segno della Croce, forse per ricacciare il demonio che mi aveva così mal consigliato.
    Da quel giorno, in ogni crocicchio del paese si parlò dei “Caproni”, di questi enormi aerei costruiti da un fuoruscito trentino di cui nessuno conosceva il nome perché “Caproni”, per la gente, era sinonimo di potenza;
    la potenza della celebre macchina alata che del vigore e dell'impeto del caprone aveva, per l'appunto, assunto l'emblema "Senza cozzar dirocco”.
    Gianni Caproni era un uomo semplice, dallo sguardo dolce, dal tratto familiare.
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    Messaggio  Staff Ven Mar 27, 2009 11:23 pm

    Forse per il nome, ormai celebre, forse per il titolo nobiliare – il Sovrano lo aveva nominato Conte di Taliedo - forse per la potenza del suo gruppo industriale (trentatre fabbriche), forse per l'innato servilismo di molti italiani dell'epoca, non pochi personaggi si genuflettevano al suo passaggio.
    Anch'io, nello stringergli la mano per la prima volta, mi sentii emozionato.
    In quella occasione scambiai poche parole, nella cordialità degli italiani delle nuove provincie.
    Taliedo era la sua città.
    Un Tramway partiva da Piazza Fontana per le “Officine Caproni-Taliedo” recandovi, a frotte, il personale dei vari turni.
    Caproni aveva fama internazionale e la Curtiss-Caproni , la… multinazionale di quei tempi, ne era stato un esempio prestigioso.
    Il Conte, veniva considerato, per le molte e ottime macchine costruite, come uno degli artefici della vittoria nella 1° guerra mondiale.
    La sua intraprendenza, la sua vocazione alle grandi imprese, aveva tra l’altro realizzato il Ca 90 l’aereo più grande del mondo, la lungimiranza, lo avevano reso capo di un complesso industriale a... ciclo completo.
    Dalle miniere di carbone alle fabbriche di automobili, dai motori avio e marini alle armi automatiche, dalle locomotive agli aeroplani ai sommergibili.
    Forse, le sue iniziative erano troppe sia per la deficienza di adeguati collaboratori sia per la molteplicità degli interessi, anche se non gli mancavano capacità e attitudine ad armonizzare il
    grande complesso.
    Ero a Reggio Emilia per il collaudo del "Re 2005", il più bel caccia italiano prodotto durante la seconda guerra mondiale.
    Il prototipo era in avanzata fase di allestimento ed io - quel chierichetto del 1918 - di lì a pochi
    giorni, lo avrei portato in volo.
    L'Ingegner Caproni, vestito con eleganza giovanile, distinto, alla mano, così diverso dai suoi superbi e arroganti “direttori generali" – abitualmente in orbace - mi suscitò anche tenerezza. Nello sguardo, nel sorriso, mi ricordò mio padre, morto a quarantott'anni.
    Parlammo brevemente dell'aeroplano, delle buone esperienze di tutti.
    Ascoltò e intervenne con modestia e competenza.
    Con il suo interessamento ci fu vicino nei difficili momenti delle prime prove e con semplicità condivise le generali, meritate soddisfazioni per il successo ottenuto.
    Agli ottimi risultati “tecnici" seguirono magri vantaggi industriali:
    forse perché il RE2005, era nato troppo tardi rispetto alla situazione bellica, ormai decisamente a nostro sfavore;
    o perché il Conte, signore d'altri tempi,non intendeva . . . forzare più di tanto le scelte dello Stato Maggiore.
    Capo di un' impero industriale si comportò anche in questa circostanza come tale.
    Non fece una piega.

    Tullio De Prato
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    Messaggio  Staff Ven Apr 03, 2009 10:20 pm

    Capitano Tullio De Prato DepratoF1-vi
    L'impari duello
    Il mattino di quel 9 gennaio, le due scarne formazioni di caccia e assaltatori erano portate,da due Capitani, già compagni d'Accademia.
    I piloti dei “C.R." erano vecchi lupi del Deserto e ne conoscevano i punti salienti.
    Affiati tra loro per la lunga, fortunosa attività svolta insieme, impiegavano con
    fiducia il vecchio ma onesto biplano.
    Quelli dei "G.50, erano nuovi dell’ambiente che giudicavano uniformemente... irriconoscibile; non avevano mai volato insieme perché, i tre appartenevano a tre diverse Squadriglie.
    Ciascuna aveva fornito “il meglio”:
    l'unico aeroplano efficiente che,forse, ce l'avrebbe fatta a stare in aria per un'oretta.
    Naturalmente tutti gli apparecchi erano sprovvisti di fonia e i piloti, in volo, parlavano a cenni convenzionali non codificati.
    A forza di volare a contatto d'ala, una strizzatina d'occhio, l'espressione del viso, permettevano un dialogo scorrevole.
    Ma, per arrivare a tanta comunicativa occorreva aver volato... tanto insieme.
    Tutti e otto gli spudorati gladiatori avevano ammirato le esibizioni dei probabili avversari - di casa nel ciclo di el Ftehja - ma nessuno ne conosceva la quota di massimo rendimento, la vulnerabilità.
    Lo Stato Maggiore era stato avaro di queste ed altre utili notizie.
    Il FIAT “G.50”, cosa più importante,... era stato ufficialmente ribattezzato “Freccia” ma chi ci doveva volare e combattere continuava ad ignorarne le prestazioni!
    Così i piloti avevano appreso che il plalond specie dopo l'insabbiamento, era poca cosa e che non dovevano virare stretto per non partire in auto-rotazione.
    Erano però convinti di possedere due armi, solo due, ma efficientissime;
    nessuno degli otto è protetto da una sia pur sottile corazzatura... eppure, così combinati, andavano a zonzo su quella immensa ed eguale distesa, alla cieca, a caccia di camionette e di... guai.
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    Messaggio  Staff Ven Apr 03, 2009 10:21 pm

    I “C.R.” grazie alla lunga permanenza in mezzo alla colorante sabbia della Marmarica, che tingeva anche i quadranti degli orologi da polso, avevano raggiunto una mimetizzazione ideale:
    proiettati sul Deserto, sparivano.
    La esigua scorta doveva seguirli da una quota leggermente più elevata per poter intervenire, con il vantaggio del "gradino”, contro eventuali rompiscatole.
    Un occhio ai biplani, uno al manometro dell'olio - che scendeva in maniera anormale - uno al terreno,... uno al cielo, i tre caccia, in ala destra,facevano il loro mestiere.
    Dopo un quarto d'ora di volo, sollecitato dallo sferragliare dell'ardente motore e per sottrarmi alla calura del volo radente, io - che guidavo in scorta tirai su di un centinaio di metri per dar fiato all'agonizzante “stellare”.
    La modesta manovra, coincidendo probabilmente con una improvvisa accostata degli assaltatori provocò la perdita di contatto con i "32” che, razzolando sulle dune, scomparvero come rospi sulla terra lavorata.
    Gira e rigira nessuno dei tre riuscì a rintracciarli e poiché la situazione non permetteva incertezze ma imponeva decisioni rapide, optai per la scorta indiretta, in quota, proseguendo lungo la rotta primitiva.
    L'eventuale minaccia sarebbe arrivata dall'alto.
    E fu così.
    Mentre i tre "G.50, stavano sorvolando un campo abbandonato il giorno precedente, ad Ain el Gazala, alla stessa quota - sulla destra - ci apparve un veloce monoplano che procedeva in direzione opposta.
    Notatolo, usando il linguaggio... muto, segnalai il pericolo ai gregari.
    Ma essi, non avvedendosi dello scomodo incontro, ritennero di dover serrare la formazione;
    ero un Comandante occasionale e l'affiatamento non risultava dei migliori.
    Tutto si svolse nel giro di pochi secondi.
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    Messaggio  Staff Ven Apr 03, 2009 10:22 pm

    L'Hurricane, superato il traverso alla distanza approssimativa di duemila metri, quando già mi stavo illudendo di non essere stato scoperto, iniziò una lenta virata con il chiaro intento di accodarsi alla nostra pattuglia la quale, apparentemente ignara, galleggiava a quota quattromila.
    A questo punto la sorpresa poteva concederci qualche chance.
    Feci un ultimo cenno ai miei per evitare una collisione ed eseguii un dietro-front secco, al limite dell'auto-rotazione, per volgere il muso all'attaccante.
    I due gregari furono abili nello schivarmi ma persero il contatto.
    Mi trovai così faccia a faccia con l'avversario, pronto per l'estremo confronto.
    L' Hurricane si presentava con il vantaggio della quota che aveva guadagnato durante la virata di avvicinamento;
    io, con lo svantaggio dell'assetto che, per collimare dal basso,mi poneva ai limiti dello stallo.
    Ci sparammo, contemporaneamente, una sola raffica fino a raggiungere una distanza estremamente breve,tale da evitare di un nulla la collisione.
    L’inglese con le sue otto armi a cadenza rapida; io con una sola 12,7.
    L'altra si era inceppata al primo colpo.
    Il nemico non accennò alcuna evoluzione.
    Accentuò l’affondata fino a porsi in candela, a tutto motore.
    "Dovrai pur richiamare”, pensai, e feci un immediato mezzo di vite comandata mettendomi in coda al lontano fuggitivo.
    Anche così, quello, guadagnava terreno.
    Ma l’inseguimento durò poco perché la mia elica non voleva proprio saperne di tirare.
    Con la manetta al massimo al massimo....girava trascinata dal vento.
    Ruotata la testa avvidi che stavo fumando.
    Ero stato colpito al carburatore e, fortunatamente, il fuoco si sviluppava con relativa lentezza. Diedi un ultimo all’ Hurricane che stava scomparendo nella caliginosa calura sottostante e affrontai subito il dilemma :
    saltare con il paracadute o atterrare in fiamme.
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    Messaggio  Staff Ven Apr 03, 2009 10:23 pm

    Optai per l'atterraggio anche perché ero su Ain el Gazala e osservai uno dei cinque CR-42 che vi stava mettendo le ruote.
    “Ora vediamo come me la cavo”, pensai, e preso dalla letizia per lo scampato pericolo,intonai – nella versione bellica –
    “… Io l'ho vista uscir dalla chiesetta con aria di mistero.... “
    C’era anche dell'incoscienza lo ammetto, ma nella silenziosa planata dell’apparecchio in fiamme,la modulazione della robusta voce del vecchio capo-coro dell’Accademia, si faceva apprezzare.
    L’Eden si avvicinava rapido mentre un gregario, il bravo Pagliani,dopo essersi accodato, mi sopravanzava non riuscendo a mantenere la lenta velocità del mio...aliante.
    In quell’attimo,gli ultimi conversari a gesti..
    “Non ce la faccio,atterro fuori campo…”
    Frattanto, il fuoco divampava e mi rendeva difficile la respirazione.
    Raddolcita la picchiata, estratti i flap, mantenendomi rettilineo stavo pronto a saltare non appena l'elica avesse cominciato a sfiorare la rena.
    L’ulteriore decremento della velocità stava pericolosamente ravvivando l’incendio allorchè il FIAT impattò il terreno e dopo aver brevemente strisciato sul ventre…. scoppiò!
    Come seguendo un programma prefissato ed esprimendo una agilità inconsueta, riuscii a sottrarmi al rogo saltando dall'aereo nell'attimo in cui toccava la superficie sabbiosa.
    Ora, giacevo dolorante poco discosto dall'ardente carcassa.
    Il fuoco faceva esplodere, con sibili da fiera paesana, le pallottole dell'arma inceppata.
    Tutto sommato era finita... benino;
    sarebbe risultata addirittura perfetta se, nel balzo,non avessi rovinato con il fondoschiena su un masso che, in agguato, affiorava dalla rossa rena.
    Il fido Pagliani,che aveva seguito dall'alto,l’avventura fino al suo violento epilogo, osservata l’esplosione ma non il mio fortunoso salto... filò al campo per raccontare la eroica fine del Capitano.

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    Messaggio  Staff Gio Apr 30, 2009 11:33 pm

    L'incontro con il camerata Fritz
    Dopo il primo fugone ed il ripiegamento su Gambut - esauriti i velivoli - i piloti del II Gruppo rimpatriarono per ritirare nuovi “G.50” adattati all'impiego in Deserto.
    Filtro anti-sabbia al carburatore, pesante corazza a difesa del pilota e, dietro ad essa, un serbatoio supplementare.
    Tutti e tre i perfezionamenti, che presi singolarmente avevano scopi egregi, peggiorarono le già precarie doti di volo del “ces@o”:
    il filtro riduceva la potenza, la corazza l'appesantiva in coda - squilibrandolo ulteriormente - e il serbatoio,eccessivamente arretrato, lo rendeva più vulnerabile ed ancor più instabile.
    L’aeroplano doveva essere pilotato di continuo e non ammetteva distrazioni nemmeno in volo piatto.
    I cacciatori italiani, acrobati consumati, accettarono il “più moderno ritrovato della tecnica”, convinti della sua pochezza ma confortati dall’incallito buonumore e dalla fiducia in se stessi. Ciò nonostante, un gregario,durante un volo di trasferimento in formazione, partì in “auto-rotazione” e fini in vite, uscendone a pochi metri da terra.
    Il Gruppo, ripartì per la Libia: da Pisa il 17 febbraio; da Palermo il 6 marzo '41.
    Un Capitano, ammaccato, sollecitato dall'affetto che nutriva per quei cari amici, rinunciata la convalescenza,come usava allora tra uomini legati allo stesso destino, si unì alla nuova spedizione... con l'aiuto di un bastone.
    solo trent'anni dopo gli dissero che l'avventuroso atterraggio di fortuna conseguente all'incontro con un Hurricane, gli era costato un paio di vertebre.
    All'arrivo a Castelbenito c'erano già i tedeschi.
    S'erano impadroniti, senza suscitare opposizioni, delle risorse residenziali di quel magnifico Aeroporto.
    Le camerette, realizzate in costruzioni di stile moresco, la riposante e ombrosa zeriba, la piscina, erano state vietate agli italiani!
    Questo primo incontro con l'alleato aveva provocato disappunto e motivi di tensione, sfociati - anche - in alterchi; bi-lingua ma espressivi.
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    Messaggio  Staff Gio Apr 30, 2009 11:34 pm

    I nostri Aviatori non si adattavano alle imposizioni.
    Tuttavia, i rapporti migliorarono non appena il ... camerata Fritz seppe che i ventisette cacciatori del “II Gruppo” avrebbero partecipato alla marcia della riconquista, al suo fianco.
    L'arrivo delle magnifiche truppe germaniche- aveva risvegliato entusiasmi anche tra la popolazione locale:
    il popolo plaude sempre il soldato che sfila, impettito e armato, al suono cadenzato di
    una banda militare; ignora il vinto ché, straccione, ripiega disordinatamente.
    Chiunque esso sia.
    Nessuno, prima di allora né in Libia né in Patria, aveva visto tanta efficienza e tanta dovizia di mezzi moderni e superbi.
    Dai corazzati ai cannoni anticarro, dalle mitragliere pesanti ai fiammanti autoveicoli che trasportavano tutto e tutti.
    Procedevano a piedi, marzialmente, solo i pochi comandanti della occasionale sfilata.
    La Divisione d'arresto dell'Afrika Korps, senza incontrare seri ostacoli, arrivò in pochi giorni alle porte di Bengasi e, in altrettanti pochi giorni, i “nostri” cacciatori si ritrovarono ad el Ftehja.
    Inseriti nella prodigiosa macchina bellica tedesca, senza alcun contatto con la valanga di inutili ... intermediari alla ricerca di benemerenze, operarono alle dipendenze del Generale Frohlich, comandante delle forze aeree germaniche dislocate in Libia.
    Ai suoi ordini, asciutti, precisi, indiscutibili, parteciparono alle operazioni sul contrastato fronte di Tobruch, senza intoppi.
    Tutto filava alla perfezione e in armonia.
    Una sola distinzione fra tedeschi e italiani: a terra.
    Gli uni, lindi e sbarbati, alloggiavano nelle palazzine di Derna, in riva al mare, nutriti e serviti convenientemente; salivano il ciglione - in automobile - soltanto per compiere le azioni di guerra.
    Gli altri, ritornarono alle vecchie tende, corredati di un malandato autocarro a gomme piene, in edizione bus, per gli spostamenti “rapidi” attraverso il Deserto.
    Da el Ftehja operavano tre Gruppi di Stukas, una Squadriglia di “Junkers 88”, una di “Messerschmitt 110".
    Completava la massa dei bombardieri a tuffo, una Squadriglia italiana su "Ju-87”.
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    Messaggio  Staff Gio Apr 30, 2009 11:34 pm

    Nelle "giornate dell'ala” – come scherzosamente erano chiamate le azioni di guerra condotte da quell'intera, cospicua moltitudine di velivoli - accolti da minacciosi, rossastri salamini, essi piombavano ordinatamente a precipizio sulle fortificazioni di Tobruch, sulle navi alla fonda, su quelle in navigazione, sulle colonne di carri armati che sollevavano nubi di sabbia lungo le loro rotte infuocate.
    - Gli Stukas, erano difesi - sull'ala - dai “G.50”;
    con un “gradino” di duemila metri dai “Me-109” dello Jagdgeschwader 27, basato ad Ain el Gazala, mentre negli abissi del cielo incrociavano i “Me-110".
    Nelle battaglie più impegnative appariva un piccolo “Fiesler”: Rommel.
    Tutto procedeva con cronometrica regolarità, tutto funzionava eccetto le armi dei-FIAT!
    Nessuno se ne avvide, fino al primo impiego, che quelle 12,7 non sparavano.
    Una “modesta” camma - che comandava il riarmo automatico – era stata realizzata con un profilo inadatto. Errore? Sabotaggio? Italica leggerezza? ...
    Per ovviare all'inconveniente, gli Armieri, scambiandosi le poche lime al carborundum rintracciate sul mercato di Bengasi, lavorarono l‘intera notte perché il “camerata Fritz" non s'avvedesse della manchevolezza.
    I piloti continuarono a volare, imperterriti, appiccicati ai tuffatori garantendone la
    difesa: magari a spintoni...
    ci apprezzammo a vicenda e divenimmo buoni amici dimenticando la apartheid decretata a Castelbenito contro gli italiani.
    Italiani che, a pensarci bene, con il fugone in Libia e le figuracce in Grecia, avevano fatto diffondere, anche oltr'Alpe, l'opinione che - di buono -essi avevano soltanto l'alleato.
    Gli uomini dei “G.50” parteciparono, con i tedeschi, ad un centinaio di missioni belliche, incontrando, di rado, i temibili avversari:
    si stavano preparando per il prossimo attacco.
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    Messaggio  Staff Gio Apr 30, 2009 11:35 pm

    Il II Gruppo, volò sino alla consunzione dei velivoli.
    Il personale a terra visse giorni duri, tra difficoltà, rischi e privazioni.
    La benzina annacquata, gli attacchi aerei , il lavoro incessante per arrangiare le imperfette- e- logore macchine in un clima ingrato, il vitto scarso: tutto ciò li aveva debilitati.
    Uomini esemplari, operarono nel clima
    di fraternità del Reparto senza nulla chiedere e... nulla ottenere.
    Al rientro in Patria ebbero le cassette di ordinanza perquisite;
    qualcuno, non fumatore, aveva accumulato le assegnazioni di sigarette "Mílit" per farne dono al “vecchio”.
    Povero, illuso contrabbandiere! Gliele requisirono.
    Si preparava una nuova fase della guerra del Deserto e, finalmente, ci si accorse che i "G.50” avevano fatto il loro tempo.
    Furono declassati ad impieghi meno pretenziosi - con risultati dubbi - per far posto ai "Macchi 202”, macchine all'altezza del compito.
    Tuttavia, la FIAT continuò a produrli - assieme ai biplani "C.R 42” - fino all'armistizio:
    doveva dar lavoro agli operai...
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