La scelta del programma di ricostruzione.
Alla fine dell'aprile 1945 ci si accinse ad esaminare quanto era rimasto delle OMI Reggiane.
Si imponeva logicamente per importanza la questione finanziaria, essendo l'azienda gravata da “ forti esposizioni debitorie, urgenti crediti immobilizzati, urgentissime necessità di fondi per la gestione e per la ricostruzione, che avrebbero trovato più integrale soluzione subito, nel piano generale delle provvidenze a favore delle industrie interessate alla rinascita del paese, che più tardi, quando, a situazione normalizzata, ulteriori esigenze finanziarie avrebbero avuto senz'altro l'aspetto di problemi particolari dell'azienda e non avrebbero forse più richiamato l'interessamento risanatore del governo.
L'estrema urgenza era suggerita innanzi tutto dalla istituzione di una Legge Soleri, nel novembre 1944, che aveva predisposto i primi finanziamenti per la ricostruzione alle industrie, destinandovi un fondo di 5 miliardi, del tutto insufficiente a risarcire i danni di guerra complessivi subiti dalle aziende italiane;
appariva dunque opportuna da parte delle “ Reggiane, una certa solerzia, anche in considerazione delle lunghissime istruttorie e procedure, cui le operazioni di finanziamento avrebbero dovuto sottostare.
Un primo piano regolatore della ricostruzione, concordato dai dirigenti delle OMI col presidente della società fin dal febbraio del 1944, aveva previsto:
si occupassero negli sgomberi le maestranze non qualificate;
le maestranze qualificate e specializzate fossero impiegate nella riparazione delle macchine utensili danneggiate, nel riordino delle installazioni e degli impianti, dei servizi generali della fabbrica, nei lavori di carpenteria, di riparazione e ricostruzione dei fabbricati metallici danneggiati;
fossero al più presto avviate le riparazioni veicoli anche all'aperto, predisponendo il parco velivoli necessario ed il restauro di alcuni fabbricati meno danneggiati.
Ciò era tanto più urgente in quanto la maggioranza delle officine italiane di riparazione e costruzioni ferroviarie erano intatte.
Senza parlare delle nuove sorte dopo l'armistizio, soprattutto nell’Italia centro-meridionale;
si continuasse ad incrementare le lavorazioni del ramo ex-SAML ed agricola, che mai si erano arrestate completamente, neppure durante l'occupazione tedesca;
fossero riattivate le fonderie e le forge;-
si riordinassero i trasporti per le necessità locali, e per il rastrellamento dei matreiali abbandonati nel nord Italia dai tedeschi in fuga.
Nel nuovo piano di ricostruzione era inoltre prevista la costruzione di un nuovo capannone per la produzione molini, di una nuova officina riparazioni veicoli con parco e servizi relativi, di una nuova fonderia per bronzo, alluminio e pressofusione, l’ampliamento delle forge, oltre a disposizioni ed iniziative minori e non meno importanti nel campo tecnologico, assistenziale e ricreativo.
Tuttavia l’autentico concetto rivoluzionario del piano era quello di decongestionare le officine,, col decentrare le lavorazioni intermedie e col limitare gradualmente la funzione di Reggio alle trasformazioni iniziali e finali del manufatto, per esempio fonderia, fucina, montaggi e similari.
Tale orientamento fu senza dubbio suggerito anche da motivi di carattere sociale.
A parte le continue difficoltà di direzione e di gestione creata dalla concentrazione in un solo luogo di una gran massa ldi maestranze, altre se ne aggiungevano circa il problema degli alloggi, delle comunicazioni di servizio dei dipendenti, delle inevitabili sperequazioni economiche che un piccolo centro provinciale quale era Reggio, non preparato alla ricezione di una gran massa di operai, come altri centri industriali italiani, naturalmente acuiva ed esasperava.
Alla fine dell'aprile 1945 ci si accinse ad esaminare quanto era rimasto delle OMI Reggiane.
Si imponeva logicamente per importanza la questione finanziaria, essendo l'azienda gravata da “ forti esposizioni debitorie, urgenti crediti immobilizzati, urgentissime necessità di fondi per la gestione e per la ricostruzione, che avrebbero trovato più integrale soluzione subito, nel piano generale delle provvidenze a favore delle industrie interessate alla rinascita del paese, che più tardi, quando, a situazione normalizzata, ulteriori esigenze finanziarie avrebbero avuto senz'altro l'aspetto di problemi particolari dell'azienda e non avrebbero forse più richiamato l'interessamento risanatore del governo.
L'estrema urgenza era suggerita innanzi tutto dalla istituzione di una Legge Soleri, nel novembre 1944, che aveva predisposto i primi finanziamenti per la ricostruzione alle industrie, destinandovi un fondo di 5 miliardi, del tutto insufficiente a risarcire i danni di guerra complessivi subiti dalle aziende italiane;
appariva dunque opportuna da parte delle “ Reggiane, una certa solerzia, anche in considerazione delle lunghissime istruttorie e procedure, cui le operazioni di finanziamento avrebbero dovuto sottostare.
Un primo piano regolatore della ricostruzione, concordato dai dirigenti delle OMI col presidente della società fin dal febbraio del 1944, aveva previsto:
si occupassero negli sgomberi le maestranze non qualificate;
le maestranze qualificate e specializzate fossero impiegate nella riparazione delle macchine utensili danneggiate, nel riordino delle installazioni e degli impianti, dei servizi generali della fabbrica, nei lavori di carpenteria, di riparazione e ricostruzione dei fabbricati metallici danneggiati;
fossero al più presto avviate le riparazioni veicoli anche all'aperto, predisponendo il parco velivoli necessario ed il restauro di alcuni fabbricati meno danneggiati.
Ciò era tanto più urgente in quanto la maggioranza delle officine italiane di riparazione e costruzioni ferroviarie erano intatte.
Senza parlare delle nuove sorte dopo l'armistizio, soprattutto nell’Italia centro-meridionale;
si continuasse ad incrementare le lavorazioni del ramo ex-SAML ed agricola, che mai si erano arrestate completamente, neppure durante l'occupazione tedesca;
fossero riattivate le fonderie e le forge;-
si riordinassero i trasporti per le necessità locali, e per il rastrellamento dei matreiali abbandonati nel nord Italia dai tedeschi in fuga.
Nel nuovo piano di ricostruzione era inoltre prevista la costruzione di un nuovo capannone per la produzione molini, di una nuova officina riparazioni veicoli con parco e servizi relativi, di una nuova fonderia per bronzo, alluminio e pressofusione, l’ampliamento delle forge, oltre a disposizioni ed iniziative minori e non meno importanti nel campo tecnologico, assistenziale e ricreativo.
Tuttavia l’autentico concetto rivoluzionario del piano era quello di decongestionare le officine,, col decentrare le lavorazioni intermedie e col limitare gradualmente la funzione di Reggio alle trasformazioni iniziali e finali del manufatto, per esempio fonderia, fucina, montaggi e similari.
Tale orientamento fu senza dubbio suggerito anche da motivi di carattere sociale.
A parte le continue difficoltà di direzione e di gestione creata dalla concentrazione in un solo luogo di una gran massa ldi maestranze, altre se ne aggiungevano circa il problema degli alloggi, delle comunicazioni di servizio dei dipendenti, delle inevitabili sperequazioni economiche che un piccolo centro provinciale quale era Reggio, non preparato alla ricezione di una gran massa di operai, come altri centri industriali italiani, naturalmente acuiva ed esasperava.