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    Le Reggiane nel dopoguerra

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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 9:51 pm

    La scelta del programma di ricostruzione.
    Alla fine dell'aprile 1945 ci si accinse ad esaminare quanto era rimasto delle OMI Reggiane.
    Si imponeva logicamente per importanza la questione finanziaria, essendo l'azienda gravata da “ forti esposizioni debitorie, urgenti crediti immobilizzati, urgentissime necessità di fondi per la gestione e per la ricostruzione, che avrebbero trovato più integrale soluzione subito, nel piano generale delle provvidenze a favore delle industrie interessate alla rinascita del paese, che più tardi, quando, a situazione normalizzata, ulteriori esigenze finanziarie avrebbero avuto senz'altro l'aspetto di problemi particolari dell'azienda e non avrebbero forse più richiamato l'interessamento risanatore del governo.
    L'estrema urgenza era suggerita innanzi tutto dalla istituzione di una Legge Soleri, nel novembre 1944, che aveva predisposto i primi finanziamenti per la ricostruzione alle industrie, destinandovi un fondo di 5 miliardi, del tutto insufficiente a risarcire i danni di guerra complessivi subiti dalle aziende italiane;
    appariva dunque opportuna da parte delle “ Reggiane, una certa solerzia, anche in considerazione delle lunghissime istruttorie e procedure, cui le operazioni di finanziamento avrebbero dovuto sottostare.
    Un primo piano regolatore della ricostruzione, concordato dai dirigenti delle OMI col presidente della società fin dal febbraio del 1944, aveva previsto:
    si occupassero negli sgomberi le maestranze non qualificate;
    le maestranze qualificate e specializzate fossero impiegate nella riparazione delle macchine utensili danneggiate, nel riordino delle installazioni e degli impianti, dei servizi generali della fabbrica, nei lavori di carpenteria, di riparazione e ricostruzione dei fabbricati metallici danneggiati;
    fossero al più presto avviate le riparazioni veicoli anche all'aperto, predisponendo il parco velivoli necessario ed il restauro di alcuni fabbricati meno danneggiati.
    Ciò era tanto più urgente in quanto la maggioranza delle officine italiane di riparazione e costruzioni ferroviarie erano intatte.
    Senza parlare delle nuove sorte dopo l'armistizio, soprattutto nell’Italia centro-meridionale;
    si continuasse ad incrementare le lavorazioni del ramo ex-SAML ed agricola, che mai si erano arrestate completamente, neppure durante l'occupazione tedesca;
    fossero riattivate le fonderie e le forge;-
    si riordinassero i trasporti per le necessità locali, e per il rastrellamento dei matreiali abbandonati nel nord Italia dai tedeschi in fuga.
    Nel nuovo piano di ricostruzione era inoltre prevista la costruzione di un nuovo capannone per la produzione molini, di una nuova officina riparazioni veicoli con parco e servizi relativi, di una nuova fonderia per bronzo, alluminio e pressofusione, l’ampliamento delle forge, oltre a disposizioni ed iniziative minori e non meno importanti nel campo tecnologico, assistenziale e ricreativo.
    Tuttavia l’autentico concetto rivoluzionario del piano era quello di decongestionare le officine,, col decentrare le lavorazioni intermedie e col limitare gradualmente la funzione di Reggio alle trasformazioni iniziali e finali del manufatto, per esempio fonderia, fucina, montaggi e similari.

    Tale orientamento fu senza dubbio suggerito anche da motivi di carattere sociale.
    A parte le continue difficoltà di direzione e di gestione creata dalla concentrazione in un solo luogo di una gran massa ldi maestranze, altre se ne aggiungevano circa il problema degli alloggi, delle comunicazioni di servizio dei dipendenti, delle inevitabili sperequazioni economiche che un piccolo centro provinciale quale era Reggio, non preparato alla ricezione di una gran massa di operai, come altri centri industriali italiani, naturalmente acuiva ed esasperava.
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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 9:52 pm

    Di più i dirigenti subodoravano probabilmente il fermento che in seno agli operai avrebbe accompagnato il risveglio delle attività dei partiti politici, delle organizzazioni sindacali, della propaganda di ogni colore:
    le difficoltà, le incertezze, che avrebbero inevitabilmente caratterizzato i primi tempi della ricostruzione e della riconversione della produzione, avrebbe offerto il miglior terreno, perché tanti fermenti fruttificassero;
    d’altro canto gli episodi gravissimi successivi alla prima riconversione, dopo la grande guerra, erano ancora un bruciante ricordo.
    Un grosso interrogativo era inoltre rappresentato dai rapporti che sarebbero intercorsi fra maestranze e dirigenti.
    Infatti, quando, durante il periodo clandestino della lotta di liberazione, tra i dirigenti ed i lavoratori si era creata una lodevole e coraggiosa intesa di sabotare ed osteggiare la produzione a scopo di favorire il processo di dissolvimento della vita economica in cui operavano le truppe nemiche occupanti, tutti i principi gerarchici si erano quasi completamente perduti.
    Gli stessi dirigenti avrebbero dovuto, a liberazione avvenuta, parlare un'altra lingua e chiedere ai loro operai il massimo impegno, in un clima che si prospettava arroventato dalle passioni politiche.
    Orbene un decentramento della produzione con un frazionamento avrebbe della massa operaia, avrebbe ridotto se non scongiurato completamente il rischio, permettendo alla direzione una maggiore capillarità e sollecitudine nell’azione.
    A questa prima fase del piano di ricostruzione, che avrebbe dovuto consentire il superamento del primo momento, il più delicato e difficile, della rinascita, sarebbe seguita la seconda fase tendente a far rinascere completamente l'organismo industriale delle "Reggiane" in tutti i settori, vecchi e nuovi.
    Modifiche tecnologiche avrebbero interessato il ramo costruzioni ferroviarie e produzioni ex-SAML;
    le costruzioni aeronautiche sarebbero state riprese coi necessari mutamenti di indirizzo per i settori motori e velivoli.
    La cocente esperienza nel passato di una attività, nel ramo ferroviario, sempre incerta ed oscillante, in attesa che la direzione delle FF.SS. facesse cadere dal cielo qualche commissione di cari e carrozze per aspettare poi, a distanza di anni magari, la manna successiva, aveva suggerito di impostare un indirizzo tecnico e costruttivo più originale, tale comunque da non legare completamente le sorti dell’azienda alle solite assegnazioni annuali di commesse.
    Perciò, durante i lunghi anni di guerra, mentre l'attività nel ramo ferroviario languiva, vari progetti come si è detto, erano stati presi in considerazione dall'Ufficio Tecnico.
    La necessità delle modifiche e delle innovazioni nel ramo ex-SAML (molini, laterizi, pastifici) era dettata da alcune considerazioni d'ordine tecnico;
    per esempio, l'inizio delle importazioni di cereali diversi da quelli coltivati nel paese avrebbe
    modificato i metodi di macinazione e sarebbero stati di conseguenza richiesti sui mercati nuovi macchinari.

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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 9:54 pm

    Allorché, dopo la liberazione, si trattò di tradurre in pratica le prime tappe del programma, gravi contrasti vennero delineandosi fra gli esponenti della direzione.
    Mentre da un lato alcuni dirigenti, per esempio il direttore amministrativo F. Bellelli e il direttore tecnico A. Vischi, propendevano per un “ immediato ridimensionamento dell’azienda, onde adeguare l'attività futura alla diminuita fonte di lavoro”, dall’altro l'ingegnere A. Alessio, direttore generale, mirava, sulla base del primo programma studiato, alla totale rinascita dell'azienda.
    Non occupavano forse le Reggiane negli anni 1941-1942-1943 il quarto posto in Italia dopo la FIAT, l'Ansaldo, la Breda per importanza ed ecletticità di attività industriali, per numero di dipendenti, per volume di lavoro ?
    Quanto al campo delle costruzioni velivoli, ove le OMI si erano affacciate per ultime, non erano balzate al primo posto come volume di produzione e modernità di tipi e strutture?
    In tali condizioni - si chiedeva l'ing. Alessio - perché voler tendere alla rinascita parziale dell'azienda e trascurare certe possibilità di fondamentale importanza?.
    Le Reggiane avrebbero potuto e dovuto mantenere il ruolo del passato nell'ambito dell'economia di una provincia sempre travagliata dal fenomeno della disoccupazione, che soltanto le OMI in piena efficienza avrebbero potuto attenuare.
    Il contrasto fra le due correnti era soprattutto vivace a proposito della possibilità o non di riprendere la produzione aeronautica.
    Le ragioni che l’ ing. Alessio adduceva, a sostegno della propria tesi, contro gli “iconoclasti” della produzione aeronautica, erano le seguenti:
    sulla rispettabile cifra di L. 2.465 milioni fatturati complessivamente dalla ditta tra il 1937 ed il 1943 - il settore aeronautico aveva contribuito per L. 1.820 milioni cioè per il 75%.
    A questi introiti erano dovuti i sostanziali progressi compiuti dalle Reggiane negli ultimi anni, l’ammodernamento di tutta l’attrezzatura produttiva, la costruzione di case operaie, colonie, asili, istituzioni ricreative ed assistenziali.
    Da un attento esame delle cifre, considerando come nei sette anni che vanno dal 1937 al 1943 il fatturato complessivo dei rami ferroviario ed ex-SAML, ai quali erano addetti in media i 2/5 (3700 circa) delle maestranze, era stato di 645 milioni, e quello del ramo aeronautico, al quale erano addetti i tre quinti delle maestranze (5300 circa) era stato di 1.820 milioni, appariva chiara la diversità dell’ indice del fatturato medio per operaio:
    lire 175 per ogni operaio della produzione ferroviaria ed ex-SAML,
    lire 345 per ogni operaio della produzione aeronautica.

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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 9:54 pm

    La produzione aeronautica delle Reggiane aveva interessato, come si è detto, negli anni del conflitto un settore motori ed un settore velivoli.
    Pur essendo certamente prematuro pensare a possibilità concreta nel campo dei motori da aviazione, anche se alcune realizzazioni dei tecnici delle OMI, come quello del motore
    RE.103 costituivano una sicura prova di maturità, sarebbe stato illogico non avvalersi di quel patrimonio inestimabile di tecnici, macchine, esperienza, così faticosamente messe assieme e sarebbe stato “da miopi” negare un avvenire all'aviazione da trasporto.
    Fin dal maggio 1945 si era infatti cominciato ad impiegare su alcune linee italiane per trasporti civili aerei da guerra S.79, opportunamente modificati;
    simili commesse avrebbero potuto essere affidate anche alle Reggiane, il cui programma per una rinascita aviatoria avrebbe dovuto mirare ad appoggiarsi ad una compagnia di trasporti aerei e fornire a questa gli apparecchi.
    Non sembrava insomma all'Alessio che sarebbe stata impresa impossibile per la fabbrica iniziare la produzione di aerei da trasporto, sebbene la tradizione aeronautica delle OMI
    concernesse particolarmente gli aerei da combattimento, dei quali, come si è detto, un preciso articolo del trattato di pace proibiva praticamente la costruzione.
    Il “ piano Alessio “ era considerato dai sostenitori del ridimensionamento dell'azienda un castello di carta:
    dove si sarebbero trovati i fondi necessari essendo lo stabilimento e parte del macchinario distrutto?
    A chi e su quali mercati si sarebbero venduti gli aeroplani?
    Sperare in una possibilità di rinascita alle Reggiane dell'attività aeronautica, sarebbe stato dunque, per costoro, pura utopia.
    A ciò si aggiungeva la decisa presa di posizione delle maestranze che, portate ad intravedere in una realizzazione del “piano Alessio”, una possibile ripresa da parte dello stabilimento della produzione bellica, sfilarono, in quei giorni, per le vie cittadine, trascinando la carcassa di un aeroplano, al grido di “ basta con la produzione di guerra “.
    Intorno al sospirato programma di ricostruzione si dilungarono le trattative, gli incontri, le assemblee dei dirigenti delle O.M.I. e delle rappresentanze operaie, con l’intervento del prefetto di Reggio.
    Prevalse infine il criterio della riduzione dell’attività dell’azienda a dimensioni più modeste.



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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 9:56 pm

    Il Consiglio di gestione.
    Per decisione del Comitato di Liberazione Aziendale (C.L.A.), collegio costituito da, una decina di membri nominati dai partiti subito dopo la liberazione, che, controllando i commissari nominati dal CLNAI nelle fabbriche, presiedeva alle epurazioni ed alla riassunzione del personale, estendendo in pratica i propri poteri su tutta la vita dell’azienda. Vide la luce il primo Consiglio di Gestione alle O.M.I. Reggiane.
    Al Consiglio di Gestione, composto di 11 membri, scelti fra quel primo contingente di operai, tecnici e dirigenti, che nel maggio 1945, avevano iniziato l’attività, fu assegnato il compito di affiancare la direzione e la commissione interna nella conduzione dei lavori di ricostruzione dello stabilimento.
    La costituzione dei consigli di gestione “in tutte le aziende che avessero una certa importanza fossero poi esse nazionaliste e poste sotto il controllo dello stato o rimanessero nell'ambito della produzione a direzione privata, avrebbe dovuto garantire, nelle intenzioni del Comitato di Liberazione dell'Alta Italia e del presidente del Consiglio F.Parri, "la democratizzazione della vita economica e l’assoggettamento di essa agli interessi del paese e non a gruppi particolari” e significare la partecipazione paritetica delle forze del lavoro e del capitale alla rinascita del paese.
    Furono vittime del CLA, nel maggio 1945, circa 130 operai ed una cinquantina di impiegati, e nel giugno 1945 lo stesso direttore generale Ing. Antonio Alessio.

    Fu, dapprima, un decreto del CLNAI, emesso il 17 aprile 1945, a sancire il principio della partecipazione dei lavoratori alla gestione, conservando dunque della abrogata legislazione
    della RSI l’istituto dei consigli di gestione e rendendone in ogni azienda obbligatoria la costituzione.
    Si trattò, per la verità, di un abuso di potere da parte del CLNAI, al quale era sí stata conferita la delega dei poteri governativi, ma non quella di legiferare in tale materia;
    d'altra parte il governo di Roma aveva con un proprio decreto annullato tutti i provvedimenti presi a suo tempo dal governo della Repubblica di Salò, e men che meno il governo militare alleato aveva pensato a salvare una tale istituzione.

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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 9:57 pm

    La situazione finanziaria dell'azienda.
    Le OMI Reggiane si trovarono dunque ad affrontare la ricostruzione con l'80% degli impianti e il 30% dei macchinari distrutti, le scorte di materiali ed attrezzi fortemente depauperate dalle asportazioni dei tedeschi, e con scarsissime riserve finanziarie.
    Infatti per tutto il lungo periodo di improduttività quasi totale dell'azienda, dal gennaio 1944 all'aprile 1945, come già si è scritto, si erano regolarmente corrisposti i salari ad impiegati ed operai rimasti a Reggio o sparsi in provincia di Varese e Vicenza, sia perché i quadri del personale non andassero perduti in vista di una ripresa dell'attività a guerra finita, sia
    per sottrarli alle precettazioni tedesche.
    La direzione della ditta era tuttavia fiduciosa di poter contare sulla liquidazione da parte dello stato dei danni di guerra, valutati nell'ultima denuncia del 1946 a 835 milioni circa, ed inoltre sulla liquidazione dei propri crediti per forniture aeronautiche allo stato italiano, valutati nella cifra di L. 300 milioni circa (gravanti sulla gestione della ditta con interessi passivi ammontanti a circa L. 2.500.000 mensili), e dei crediti per forniture e vendite forzose al governo tedesco, valutati a L. 200 milioni circa.
    Alla fine dell'estate 1945 si pose finalmente mano all'opera di ricostruzione.
    Con limitati capitali a disposizione (sui danni di guerra si era ricevuto un solo acconto di 50 milioni) dirigenti ed operai, il cui numero, notevolmente ridotto per il ritorno di molti,
    particolarmente di quelli impiegati nelle lavorazioni aeronautiche, alle città di provenienza, e di altri alle vecchie attività, si aggirava sulle 4000 unità (3222 operai e 761 impiegati), si rimboccarono le maniche, simili a tanti medici febbrilmente intenti a ricucire le membra di un organismo andato in pezzi.
    Mentre, grazie all'interessamento del prefetto, cominciavano a rientrare i materiali e i macchinari sfollati negli stabilimenti di Vicenza, Torbole, Besozzo, Gemonio, Cocquio, Gavirate, un capannone dopo l'altro, coi relativi impianti rabberciati alla meglio, veniva rimesso in piedi e ricoperto con le capriate estratte contorte dalle macerie e raddrizzate.
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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 9:58 pm

    Fu rivolto un appello alla popolazione perché il materiale asportato dalla fabbrica e nascosto fosse restituito;
    una grossa quantità di materiali e di macchinari, prelevati nel corso della lotta di liberazione da gruppi partigiani e trasportati in località della provincia, Scandiano, Correggio, Barco, Montecchio, Villa Masone, Villa Sesso, Villa Sabbione, Rivaltella, fu ritrovata da una apposita “Squadra Recuperi”, costituita da 12 operai ex partigiani.
    I lavori di ricostruzione in muratura furono affidati al Consorzio delle Cooperative Edili di Reggio Emilia, col quale fu possibile concordare un contratto di pagamento dilazionato.
    Non lesinando il proprio contributo nei sacrifici, costretti nell'inverno a lavorare spesso allo scoperto, scoprendo a volte di sotto la neve il materiale da utilizzare, molte fra le maestranze si prodigarono nei più disparati mestieri;
    vi era anche purtroppo chi, soprattutto tra gli ultimi arcivati, mostrava di non essere troppo compreso della responsabilità del proprio lavoro e di godere “di concessioni particolari”, restando con le mani in mano, chiacchierando e sfumacchiando chi un mozzicone, chi
    una sigaretta comperata a mercato nero o, per dirla ancora con l'organo del Partito d'Azione, facendo letteralmente il proprio comodo.
    Costoro, per la verità, avrebbero avuto modo di segnalarsi in seguito per ben altri meriti;
    per il momento tuttavia si confondevano nella massa per l'ancora disordinato procedere
    dei lavori.
    La ripresa delle lavorazioni fu agevolata dalla efficienza degli uffici tecnici che, come si è scritto, anche negli anni della produzione di guerra, avevano continuato la propria attività;
    nel mese di agosto 32 persone erano impiegate nell'Ufficio Tecnico ex-SAML (impianti per molini, trasportatori, impianti per silos, per pastifici e laterizi, macchine agricole) e 37 nell'Ufficio Tecnico per la produzione di materiale ferroviario e di meccanica varia (locomotive Garratt per le ferrovie calabro lucane, filobus articolati, carrozze CCFR a carrelli, motori diesel, macchine di sollevamento, ponti e varia carpenteria metallica).
    Nel reparto fonderia, uno dei primi a riprendere l'attività, la produzione aumentò da 250 ql. nel giugno, a 271 ql. nell'ottobre;
    nel reparto fucine da 244 ql. nel giugno a 490 ql. nell'ottobre.
    In corrispondenza alla crescente capacità produttiva nei vari reparti, aumentava il fabbisogno di materie prime:
    le spese per l'acquisto di materiali, che nel maggio erano assommate a L. 2.700.000 circa, salirono nel giugno a 5.600.000 circa e nel settembre a 11.700.000 circa.


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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 9:59 pm

    Complessivamente l'attività dell'azienda, nel corso del 1945, fu forzatamente modesta, in relazione alle contingenze ed alla limitata efficienza degli impianti.
    Lusinghiera appariva,tuttavia, a dimostrare la fiducia della clientela nazionale ed estera, la consistenza del carnet di lavoro fatturando, che al 31 dicembre assommava a circa 650 milioni nel settore del materiale ferroviario, carpenteria metallica e costruzioni meccaniche varie, e a circa 120 milioni nel ramo ex-SAML.
    Le preoccupazioni maggiori erano piuttosto di carattere finanziario, anche in vista della necessità di reperire i forti finanziamenti adeguati.
    La situazione finanziaria delle Reggiane, già pesante per le eccezionali esigenze determinate dalla ricostruzione degli impianti, dalla gestione aziendale in condizioni di precarietà, dall'immobilizzo dei grossi crediti verso lo stato Italiano ed enti germanici, dal mancato risarcimento dei danni di guerra, appariva, a conclusione dell'esercizio 1945, ulteriormente aggravata dagli oneri derivanti dal personale improduttivo che, per le esigenze sociali del momento, si era mantenuto in servizio, impegnandolo in lavori di ricostruzione e riparazione delle strutture.
    La spesa sostenuta per il mantenimento del personale ritenuto esuberante, nel secondo semestre 1945, rispetto alla possibilità produttiva dell'azienda, era valutata a 160 milioni circa.
    Del resto le anormali condizioni di esercizio, nelle quali si era svolta l'attività dell'azienda, erano rispecchiate dall'andamento delle spese generali: L. 295.526.204,10, rispetto a Lire 89.186.938,95 spesi per mano d'opera produttiva, pari ad un valore in percentuale del 331,35 %.
    Il passivo dell'esercizio 1945, sebbene l'utile industriale d'esercizio (differenza fra ricavo dei lavori finiti nel 1945 e costo dei lavori stessi) fosse stato di L. 3.280.727,20, risultò di L. 85.544.803,35, a motivo della cospicua voce “ spese varie “, dovute alle necessità della ricostruzione e che figuravano in bilancio per L. 94.085.907,603.
    La semplice cifra della passività del bilancio ufficiale 1945, L. 24.925.683, presentato agli azionisti della società nella assemblea del marzo 1946, nascondeva pertanto la reale gravità della situazione finanziaria delle OMI.


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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 10:00 pm

    L'uccisione del direttore tecnico Arnaldo Vischi.
    Se tali erano le condizioni “ tecniche “, nelle quali l’opera di ricostruzione si svolgeva, anche le condizioni morali devono esser poste nella giusta luce:
    lo stato d'animo dei protagonisti, la situazione ambientale dentro e fuori la fabbrica con le sue ripercussioni d'ordine psicologico, nei difficili mesi che seguirono la liberazione e che conobbero, nel reggiano, episodi foschi e sanguinosi.
    Lo stato di tensione, che permeava l’atmosfera nell’azienda, soprattutto per l'opera del Comitato di Liberazione, si trasformò improvvisamente in panico a causa di un gravissimo
    avvenimento, che avrebbe pesato da allora per molto tempo sulle sorti della fabbrica.
    La sera del 31 agosto il direttore tecnico e vice direttore generale ing. Arnaldo Vischi, da 25 anni alle dipendenze della società, fu assassinato, mentre a bordo della propria auto si dirigeva alla sua abitazione nella campagna reggiana.
    Il corpo fu ritrovato nel tardo pomeriggio del giorno successivo sul fondo di un fossato, in località S. Maria.
    Sulla scia del delitto ebbe inizio una serie di fatti, a dir poco sconcertanti:
    “ le indagini della questura furono turbate da interventi esterni, senza che il questore sapesse e potesse evitarli, tanto che, come si seppe molto tempo dopo, alcuni individui già arrestati perché ritenuti responsabili, furono rilasciati o riuscirono comunque a dileguarsi, dando poi luogo ad altri delitti, a favoreggiamenti, a colpevoli omertà che coinvolsero e compromisero incredibilmente elementi di rilievo del partito comunista reggiano”.Sorpresa tanto più clamorosa in quanto gli stessi comunisti avevano "bollato con parole di fuoco” l’assassinio, facendo affiggere sui muri cittadini un manifesto che diceva:
    “ i fascisti hanno ucciso il padre del popolo “.
    Durante il processo, svoltosi a Bologna nel 1951, contro imputati defunti o latitanti, la pubblica accusa avrebbe poi sostenuto l'ipotesi della cosciente responsabilità delle organizzazioni comuniste, dei cui ordini gli imputati, tutti operai delle Reggiane, sarebbero stati esecutori;
    proprio per questo la federazione comunista reggiana si sarebbe mossa nel tentativo di cancellare le prove, sopprimendo gli elementi troppo loquaci.
    Il cuore dell'azione si sarebbe trovato dunque, secondo la pubblica accusa, “ nell'organismo pseudo amministrativo delle cellule, che volevano tenere in pugno le fabbriche “.

    La difesa avrebbe controbattuto, scagionando il PCI reggiano e ricordando come l'ing. Vischi, per il cui richiamo alla direzione tecnica dello stabilimento era stato indetto un referendum fra tutte le maestranze, fosse particolarmente gradito alle organizzazioni operaie, nonostante il carattere duro ed autoritario, e non potesse quindi sussistere movente politico del delitto;
    l'unica ragione poteva essere indicata, secondo la difesa, nel rancore e nell'odio personale degli assassini, a causa di una denuncia esposta -a loro carico per sabotaggio sulla produzione bellica, nell'aprile 1943, dall'ing. Vischi in persona.
    Tra gli operai furono in molti tuttavia, come dei resto tra i cittadini, a pensare che esistessero dei mandanti in seno alla federazione comunista e che i motivi di rancore personale degli operai incriminati non fossero altro che un paravento.
    S'era si effettuato il referendum tra gli operai, ma anche sul conto del direttore tecnico, come di altri dirigenti, che lo strapotente Comitato di Liberazione Aziendale aveva costretto, ad allontanarsi, circolavano accuse di “squadrismo” o “mentalità borghese”, “sfruttamento del popolo”.
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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 10:01 pm

    Nei giorni precedenti il delitto poi si era diffusa nello stabilimento la voce che coll' 1 settembre si sarebbero avuti dei cambiamenti nella sfera direttiva;
    un operaio comunista, il giorno seguente il misfatto, fu udito dire uscendo da un'osteria:
    “uno è andato, gli altri seguiranno “;
    assai diffusa dentro e fuori la fabbrica era la convinzione che il direttore tecnico fosse stato ucciso “perché impediva l'attuazione di qualcosa che doveva essere fatto”.
    L'ipotesi conclusiva, tuttavia, di una responsabilità delle alte gerarchie del partito comunista reggiano nel delitto, ancorché fosse parsa a molti allettante, offrendo l’anello mancante della catena per supporre l’esistenza di un disegno preciso nei riguardi delle Reggiane, mirante a peggiorare la situazione per poi sfruttarla a proprio vantaggio, non fu suffragata da
    prove inconfutabili.
    L'uccisione del direttore tecnico seminò la paura nello stabilimento ed un muro di sospetti, di diffidenza, di reciproca malafede si erse a separare sempre più nettamente i dirigenti
    dalle loro maestranze;
    si constatò ben presto che, mancando una efficiente coordinazione tecnica ed una unità di indirizzo, i dirigenti dei diversi settori tendevano ciascuno a sviluppare il proprio programma, e che l'autorità della direzione in officina scemava continuamente.

    La tensione all'interno della fabbrica era il riflesso della situazione di violenza, paura, omertà che caratterizzò il reggiano per tutto il 1945 e per buona parte del 1946.
    Che ci fosse “aria pesante al piano rispetto a quella che si respirava sui monti “, dove pure non erano mancati tra i partigiani motivi di grande contrasto, rancori talora comprensibili, e meno comprensibili eliminazioni di capi, lo avevano provato gli innumerevoli fatti di sangue, accaduti nelle settimane che seguirono il 25 aprile:
    ci si abbandonò allora ad ogni sorta di violenza e di efferatezza;
    un gran numero di persone, che talora non avevano nessun precedente di simpatia verso il fascismo, prelevate dalle proprie abitazioni di notte, erano state uccise:
    di circa un centinaio di esse non fu mai possibile neppure ricuperare il cadavere o conoscere dove esso giacesse.
    La Nuova Penna , organo di stampa, intorno al quale si erano riuniti alcuni ex partigiani anticomunisti, così puntualizzava la situazione nel dicembre t945:
    “ogni giorno che passa l'anima si riempie di profondo disgusto per il disonore ed il vilipendio di cui viene macchiato l'ideale che ha reso storica la nostra resistenza, per le colpe ignobili di molti che in quei giorni erano a noi vicino”.
    Responsabili di molte uccisioni, e tra queste di quelle di otto sacerdoti e di un seminarista, sarebbero infatti risultati elementi appartenenti per lo più alle file comuniste.


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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 10:02 pm

    L'esercizio industriale 1946.
    L'esercizio 1946 si aprì con buone prospettive di lavoro, per le commesse già ottenute e per quelle in trattativa, ma con una situazione finanziaria fortemente deficitaria, e il cui risanamento appariva il presupposto indispensabile per l'inizio di un normale svolgimento dell'attività industriale.
    La produzione, sebbene ostacolata e ritardata da grave deficienza di materiali, per le difficoltà di approvvigionamento soprattutto dei prodotti siderurgici e di legname, da mancanza di macchinari, dalla insufficiente erogazione di energia elettrica, ed anche da freddi eccezionali che rallentarono le lavorazioni all'aperto, poté essere ripresa in quasi tutti i settori tradizionali.

    La fonderia accresceva lentamente la propria produzione:
    399 ql. nel gennaio, 586 nell'aprile, 637 nel luglio, 954 nel settembre, 1277. ql. nel novembre; maggiori le difficoltà nel reparto fucine dove la produzione, che da 695 ql. nel gennaio scese a 468 nel marzo e a 404 nel giugno, risalendo a 704 nel luglio e scendendo di nuovo a 531 ql. nell’agosto, si dimostrò nettamente insufficiente al fabbisogno.
    Nel settore del materiale ferroviario, a motivo delle difficoltà accennate, non si poté organizzare nella maniera sperata la produzione di carri Fc;
    furono ultimati e consegnati n. 296 carri alle FF.SS. ed alcune vetture all'amministrazione locale esercente la ferrovia Reggio-Ciano.
    Si incrementò, sensibilmente la produzione di carrozzerie per autopullman, delle quali 9 furono consegnate, mentre vi erano ordinazioni per oltre 100 unità da parte della FIAT;
    furono esauriti i lavori di riparazione degli autocarri e delle autovetture americane, assunti nel 1945 per conto del ministero dei Trasporti;
    la produzione di locomotive fu invece ostacolata e limitata dalla ritardata ultimazione del reparto della nuova meccanica generare.
    L'Ufficio Tecnico Studi approntò progetti di automotrici elettriche, di vetture letto, di automotrici diesel , di locomotori ed accumulatori a due sale richiesti dalla Marelli, di carri serbatoio da 22 mc, di carri LZ per carbone da 32 tonn, di carrozzerie per autobus, di carrozzerie per autovetture da turismo Ferrari.
    Le ordinazioni del ramo ferroviario e meccanica varia, al 31 dicembre 1946, assommavano a L. 1.903.850.000 circa, rispetto a L. 642.126.000 dell'anno precedente.
    Per quanto concerneva poi le possibilità di esportazione, erano pervenute richieste di materiale ferroviario da ogni parte d'Europa e dall'America latina;
    ma si opponevano alla conclusione di trattative con paesi esteri le stesse difficoltà che impedivano la realizzazione rapida dei programmi di ricostruzione predisposti dalle FF.SS., perché solo raramente i possibili clienti- si dichiaravano disposti a fornire i semilavorati o
    quanto meno le materie grezze occorrenti.
    Anche nel settore delle lavorazioni ex-SAML, il fatturato, a causa della riorganizzazione dei reparti ancora in atto e delle difficoltà di approvvigionamento dei materiali, fu assai inferiore alle ordinazioni ricevute.
    Nel ramo macchine agricole, dopo la stasi quasi completa nelle vendite a causa delle speciali situazioni del mercato, allorché nell'ultimo quadrimestre dell'anno le richieste aumentarono, le Reggiane non si trovarono a disporre di sufficienti scorte di magazzino:
    soltanto un centinaio di falciatrici e circa 130 aratri furono gettati sul mercato.
    Nel ramo molini e silos le ordinazioni ammontarono a Lire 740 milioni e la cifra degli affari avrebbe potuto essere sensibilmente superiore se le possibilità di costruzione fossero state adeguate alle richieste del mercato.
    Furono conclusi importanti affari con i Magazzini Generali di Trieste per ricostruire i silos del porto in collaborazione con i Cantieri Riuniti dell'Adriatico, e con i “Silos e Depositi Napoletani” per la ricostruzione dei silos del porto di Napoli;
    richieste giunsero dal Perú, dall'Argentina, dal Cile, dall'Egitto, dalla Turchia.
    Nel ramo pastifici grazie alla messa a punto di una nuova pressa continua, le vendite sia in Italia che all'estero (Londra, Bahia Blanca, Rosario di Santa Fé) furono sensibilmente incrementate, ammontando le ordinazioni assunte a 90 milioni circa.
    Minore fu invece l'incremento delle ordinazioni nel ramo laterizi:
    64 milioni circa, a causa principalmente della lentezza e dell’impaccio dell’ industria edilizia in quei mesi;
    giunsero ordinazioni dall'India e dal Sud America.
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    Messaggio  michele Dom Dic 05, 2010 10:02 pm

    Si era cominciato intanto a rafforzare l'organizzazione commerciale periferica che poteva contare sull'attività di filiali funzionanti a Milano, Padova, Bologna, Roma, Napoli e Catania.
    L'incremento mensile del fatturato complessivo dell'azienda era incoraggiante:
    si era passati da una media mensile di 37 milioni nel primo semestre ad una media di 83 milioni nel secondo semestre.
    Il fatturato complessivo dell'anno 1946 fu di L 808 milioni e 90.000 lire, con un aumento che era da ritenere tuttavia, rispetto a quello del 1945, in parte fittizio per il fortemente diminuito potere della lira.
    L'utile industriale di esercizio di circa 13 milioni fu ingoiato dalle “spese varie” (riparazioni di macchinari e attrezzature danneggiate, installazione di altre macchine, smobilitazione delle officine dell'Italia settentrionale), che gravarono sull'esercizio per oltre 108 milioni.
    La gestione dell’anno 1946 si chiudeva pertanto con una perdita complessiva di L. 95 milioni e 611.066,55 lire.
    Al cauto ottimismo, suggerito dalla ripresa della produzione, dalla possibilità di reperimento delle commesse, dalla manifestazione di fiducia della vecchia e nuova clientela italiana ed estera, si opponevano le serie difficoltà finanziarie, nelle quali l'azienda si dibatteva.
    Nonostante le mille sollecitazioni dei rappresentanti della ditta e l'interessamento delle autorità cittadine, ancora nell’ aprile 1946, non si era ottenuto sui danni di guérra che un’acconto di 120 milioni;
    i crediti per forniture belliche allo Stato erano mantenuti congelati;
    unico contributo era un mutuo IMI di 130 milioni, che i dirigenti erano riusciti ad ottenere sulla legge n. 367 dell’ 1-11-1944.
    Fu per l'appunto in data 16 aprile 1946 che il consiglio di gestione inviò al prefetto di Reggio, Potito Chieffo, una circostanziata relazione sulla difficile situazione finanziaria delle O.M.I.;
    v i si legge :
    “.. nulla o quasi nulla finora è giunto ad aiutare la ricostruzione della ditta e a finanziare la ripresa produttiva.
    Preoccupati di ciò d'accordo con la direzione, ci siamo rivolti al nostro consiglio di amministrazione, di cui è presidente S.E. il conte Franco Ratti di Desio e vice presidente il conte Gianni Caproni (che è anche il maggior azionista delle Reggiane), affinché provvedesse con i mezzi di sua esclusiva competenza al finanziamento della ditta, impegnandoci anche con licenziamenti e sospensioni del personale esuberante per ora alle nostre necessità a favorire, con quanto in nostro potere, il risanamento della gestione nell'azienda.
    A questo punto è bene precisare che, allo stato in cui si trova la ricostruzione delle Officine e dato il notevole carnet di lavoro affidatoci dalla più svariata clientela, basterebbe una volta
    tanto un finanziamento di L. 500 milioni, ma a buone condizioni di interesse e a lunga scadenza, per permettere con sicurezza e tranquillità la conclusione della ricostruzione e l'acquisto delle materie prime occorrenti alla produzione;
    è pure bene che S.E. sappia che allo stato attuale delle cose la nostra direzione ha finanziato tutto quanto era in suo potere e che si trova ora nell'assoluta o quali impossibilità di procurare altri mezzi finanziari alla ditta e che perciò, qualora da parte del nostro consiglio di amministrazione non venissero al più presto presi quei provvedimenti che possano assicurare la vita delle Reggiane, queste non solo non potranno svolgere una parte della loro attività, ma non potranno svolgere alcuna”.

    La situazione era tale che si dovette ricorrere di nuovo all' IMI, ottenendo, sulla legge n. 449 dell’ 8-5-1946 un mutuo di 350 milioni.

    Per potere valutare le reali esigenze finanziarie delle OMI, basti pensare che al 31 dicembre 1946 l'esposizione finanziaria complessiva nei confronti delle banche e di altri enti di credito
    assommava a 654 milioni circa, dei quali oltre 590 erano stati assorbiti dalle spese per i lavori di ricostruzione.
    Risultava dunque la gestione aziendale essersi praticamente finanziata da sé, per mezzo del realizzo dei crediti e degli anticipi sulle commesse da parte dell'amministrazione delle FF.SS. e dei clienti privati, cui si ricorse quasi di regola in quei mesi.

    Tratto da :
    Un'Industria, una città
    Cinquant'anni alle Officine Reggiane
    Sandro Spreafico

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