Il campo appare improvvisamente al termine della pista che si diparte dalla Litoranea;
una distesa irregolare e malamente delimitata alla quale soltanto la presenza degli apparecchi, distribuiti in file asimmetriche, da fisionomia di aeroporto e distingue dall’altra distesa desertica ch'è tutt’intorno.
Sotto al piccolo ciglione che par sorgere su di un lato la piattaforma del campo sono gli attendamenti per gli uomini e ì servizi;
grandi tende doppie che fanno difesa al sole incalzante e alla polvere;
tende più piccole nelle quali dormono gli ufficiali, officine, depositi, dormitori, tutto è raccolto al labile riparo dei teli.
E tra le tende spicca più evidente per contrasto una baracca di legno, una piccola baracca senza pretese dal tetto basso e piatto, dalla porticina aperta contro vento (un problema difficile a risolvere perché tu non puoi mai sapere da che parte spiri il vento tra un'ora) e un piccolo comignolo fumante sul tetto e due finestrelle su ciascun lato.
E’ la mensa dei cacciatori.
Una piccola tavola di fronte alla porta alla quale prendono posto il comandante e i capitani, due tavole più lunghe allacciate alla prima e prolungale sui fianchi per i subalterni.
È mezzogiorno.
Le pareti di legno della baracca non sanno dare refrigero al caldo afoso che brucia rabbiosamente l'aria rarefatta;
ma sembra già gran vantaggio la mancanza di vento.
Nella mensa ci sono soltanto due ufficiali, un tenente e un sottotenente;
parlano sommessamente come a fatica per il gran caldo.
Improvvisamente la piccola stanza si colma di giovinezza;
tutti han gran fretta di mangiare perché tra mezz'ora son di servizio.
Giunge poco dopo il maggiore e siede affrettato ma sorridente alla tavola,imitato dagli altri.
Parole scarse;