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    Capitano Martino Aichner

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    Messaggio  Green_Group Ven Dic 19, 2008 12:05 am

    Andammo sul mare aperto, poi in vista dell'isola di La Galite entrammo in Africa a volo radente, sorvolammo la Tunisia e ci inoltrammo in Algeria tenendoci al di qua delle montagne che fanno bastione alla costa, finche virammo verso nord e imboccando una valle nella schiena dell'Atlas Tellien.
    Questa rotta gliel'ho già descritta, io però era la prima volta che la facevo;
    la valle cominciò a salire e noi di conseguenza, i fianchi montuosi si strinsero e culminarono in un plafond di nubi;
    salivamo costretti dalle pareti montuose come l'acqua di un fiume in un invaso, finche schiacciati tra il tetto delle nubi e il letto della valle tracimammo piombando dalle nuvole come una cascata sul mare e sulla rada di Bougie.
    Certo gli inglesi non si raccapezzarono da dove fossimo arrivati e come mai nessuno ci avesse visto prima, Buscaglia ordinò in cuffia la formazione d'attacco, noi ci buttiamo giù dietro di lui, il mio Settantanove toccò velocità che non aveva mai raggiunte, vibrava tutto, i comandi e la struttura, una picchiata folle in un fragore di metallo e tela, ma non erano solo i colpi di frusta della tela sulle centine, sopra di noi crepitavano le venti millimetri degli Spitfire e sotto le canne delle batterie delle navi da guerra che fecero un grand barrage violento e potente.
    I caccia si accanirono subito contro Buscaglia, indovinando la preda grossa e trascurando noi gregari, il suo apparecchio s'incendiò alle prime raffiche, lui prosegui imperterrito;
    io gli ero dietro, tentai di avvicinarmi per ripararlo e fare pattuglia ala dentro ala ma non riuscivo a raggiungerlo, andavo già a tutta manetta e abbassai il muso guadagnando cosi qualche metro ancora, ma perdendo quota;
    ero sfilato e sotto di lui, il mio mitragliere sparava senza sosta ma gli Spitfire ronzarono frenetici sull'altro lato, si inserirono tra noi, sistemandosi nell'ombra dell'aereo di Buscaglia.
    Ci abbandonarono solo quando fummo a tiro delle batterie navali, speravo che l'equipaggio di Buscaglia potesse domare l'incendio a bordo ma mentre passavamo su un cacciatorpediniere l'aereo incassò altri colpi e la scia di fumo s'ingrossò.
    Buscaglia superò la cinta delle navi da guerra, con l'aereo che bruciava, punto contro un grosso pirascafo alla fonda e sganciò il siluro.
    Era già basso sull'acqua, scese in planata per ammarare nel golfo;
    quando toccò l'acqua esplose e la benzina in fiamme s'impastò col mare.
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    Messaggio  Green_Group Sab Dic 20, 2008 12:14 am

    Il signore anziano trasse un inatteso sospiro, prolungato in un silenzio triste, in uno sguardo sfuggente.
    Buscaglia era morto (almeno noi per mesi lo credemmo tale, sarebbe tornato un anno e mezzo dopo dalla prigionia, per poi morire veramente decollando con un Baltimore americano).
    Un asso dirà lei, un eroe, si lo era certamente, malgrado le regole, perché il nostro tempo non prevedeva assi, il termine apparteneva alla prima guerra mondiale, una definizione generica che indicava eccezionali capacità tecniche e morali poi disciplinata con norme precise per evitarne l'abuso, addirittura con un elenco ufficiale degli assi della prima guerra mondiale, qualifica che andò principalmente ai cacciatori.
    Ma noi non combattevamo aerei, combattevamo navi, e poi con gli anni il concetto di pilota di guerra era cambiato, aveva perso ogni carattere individualistico e duellante, noi fummo educati all'equipaggio e al gruppo, quella era la nostra misura mentale, la nostra misura direi sentimentale.
    Eppure noi aerosiluranti godemmo di un'attenzione speciale, fu un fatto involontario e spontaneo, forse perché eravamo cosi pochi, secondo l'emblema della squadriglia di Buscaglia, i quattro gatti in fila su un siluro, quattro gatti stupiti e perplessi sotto il cartiglio
    Fauci sed semper immites.
    Fauci, anzi sempre di meno, erano morti dodici capi equipaggio su venti in soli otto mesi, e quanta all'immites, con quale coraggio rimettere piede su un Settantanove o su un qualunque aereo dopo la fine di Buscaglia?
    Eppure tornammo a volare, pieni di paura;
    ma tutto divenne più arduo, tali erano le difese degli angloamericani che dovemmo escludere le azioni diurne e anche quelle al crepuscolo, troppe le coincidenze necessarie e di troppi elementi tutti in movimento, noi, i convogli in navigazione nel Mediterraneo, il sole nell' arco strettissimo del tramonto.
    Ci resta la notte, l'attacco di notte, l'oscurità ci risparmiò dagli Spitfire ma ci legò alla luna, al suo ciclo, cominciammo a pensare per lune calanti o crescenti come indiani pellerossa, col plenilunio potevamo riconoscere la superficie del mare, attaccando in contro luna intuivamo l'ombra delle navi.
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    Messaggio  Green_Group Sab Dic 20, 2008 12:18 am

    E in una notte del gennaio del quarantatre venne il mio turno, usci il mio numero, una notte senza luna, del resto non si poteva andare in combattimento solo col suo favore; decollammo alle otto di sera da Decimomannu per la baia di Bona in Algeria, sganciammo nella più perfetta oscurità contro un piroscafo, subito il cielo s'illuminò d'una pirotecnia saettante di traccianti e colpi di mitraglia;
    fuori dalla rada trovammo i soliti caccia ad attenderci, dai quali ci disimpegnammo scendendo a pelo del mare, puntammo verso la Sardegna continuando a volare basso. All'improvviso, dopo un'ora di navigazione verso casa, dall'oscurità sotto di noi eruttò un geyser abbagliante di zampilli luminosi e proiettili, stavamo sorvolando un convoglio senza essercene accorti, tanto buia era la notte e nero il mare.
    Fummo colpiti in più punti e quando sembrò che fossimo al sicuro i tre motori piantarano di colpo.
    A quella quota c'era ben poco da restare in aria o da riflettere, lanciammo l'S.O.S. in chiaro, io mi disposi a un ennesimo ammaraggio, il primo però senza vedere nulla, non l'orizzonte ne la linea del mare.
    Fissavo gli strumenti sul cruscotto, altimetro e anemometro.
    Aspettavo.
    Entrammo in acqua a duecento all'ora, uno schianto contro un muro viscoso, la decelerazione fortissima ci proiettò in avanti, io battei la mana e la fronte contro il traguardo di puntamento pieno di levette e cremagliere.
    Quando l'aereo riemerse dall'onda avevo il pollice spappolato e grondavo sangue da un occhio.
    Alzai la mano sana e trovai alla cieca il portello che stava sopra il mio posta di pilotaggio, lo aprii e mi sporsi col busto nel vento gelido e negli spruzzi d' acqua, sembrava davvero di uscire da un sommergibile nel mare notturno, saltai sull'ala e fu come immergersi nella fonte ghiacciata delle tenebre.
    Qualcuno mise a mare il battellino, ci ritrovammo li dentro, tutti feriti, mentre il Settantanove s'allontanava col muso sommerso e la coda in alto.
    Andammo alla deriva intirizziti per tutta la notte, gli spruzzi d'acqua salata bruciavano sulle ferite, e questo almeno ci teneva svegli;
    non sapevamo di essere quindici miglia al largo di Capo Spartivento, ne che il semaforista dell'isola di Sant'Antioco ci aveva visto scendere in acqua dando l'allarme.
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    Messaggio  Green_Group Sab Dic 20, 2008 12:24 am

    In ospedale mi risvegliai tutto fasciato, ero il più malconcio ma riprendevo bene, qualche settimana dopo mi tolsero le bende e mi alzai dal letto;
    col tempo accadde però che voltando nei corridoi urtavo leggermente la spalla contro il muro o negli stipiti delle porte, come se avessi perso quella mira naturale che ciascuno di noi ha nel camminare;
    ne parlai al dottore e venni subito rimesso a letto nella più assoluta immobilità, mi dettero degli strani occhiali con soltanto un forellino per vedere e dopo alcune settimane mi fu annunciato che nel battere la testa e l'occhio contro il traguardo di puntamento la retina s'era accartocciata e chiusa, magari con le cure si sarebbe riaperta, chissà.
    San Remo, dove passai la primavera, era proprio bella, un gigantesco convalescenziario per feriti di tutte le armi;
    la sera passeggiavo lungo la spiaggia, sapevo che non sarei mai più tornato al gruppo, la guerra per me era finita, guardare il mare dalla riva dava una strana sensazione di solidità e riparo.
    Bellissima la riviera di Ponente, ero un graziato dal destino, eppure provavo nostalgia degli altri, in ogni momento della giornata sapevo cosa stessero facendo, potevo immaginarlo senza sforzo, anche la sera in quelle passeggiate quando me ne stavo a guardare la luna che cessava di essere per me fonte di luce per la sopravvivenza e ridivenne struggente, metafisico arredo del paesaggio notturno.


    Il signore anziano tacque, passò una mano sul tavolino, il suo bel fermacravatta, nel movimento, brillò di un riflesso di luce lunare.
    Ne lui ne io avremmo saputo dire come fosse cambiata quella luce, la sera era scesa sul campo a passi felpati, solo scurendo a poco a poco l'orizzonte e i nostri volti.
    L'avrò annoiata con tutte queste chiacchiere, disse il signore anziano, io gli risposi sa che non e così.
    Vede, aggiunse lui, io volo ancora, volerò finche la visita medica non mi fermerà e ho più di settant'anni, volo con gli stessi aerei con cui vola lei, però quel macchinone coi tre motori e le torrette non lo dimentico, maculato come un leopardo.

    Daniele Del Giudice
    Staccando l’ombra da terra
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    Messaggio  Green_Group Sab Dic 20, 2008 12:34 am

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    Martino Aichner, medaglia d'oro degli aerosiluratori, e morto il 21 dicembre 1994 a Verona.
    Il nome di Aichner è legato a doppio filo all'affondamento - avvenuto il 15 giugno del 1942 - del cacciatorpediniere britannico Bedouin, impegnato nella scorta di un convoglio tra Gibilterra e Malta e colpito da un siluro lanciato dal Savoia Marchetti S 79 dello stesso Aichner.

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