Veniva così tranquillamente fuori il difficile “looping” (figura per altri aerei infantile) e così si poteva “impastare” con ruote a terra senza un sussulto anche se con il ruotino di coda ancora a mezz 'aria.
I tentativi di “sederlo”, invece, costavano imbardate e capottate.
Per l'acrobazia era soprattutto allergico alle velocità folli che troppi suggerivano ai neofiti come toccasana per la sicurezza.
Un giorno giunsero ad Osoppo, provenienti dall'Albania, cinque o sei piloti ritenuti, per le loro ore di volo, ben addestrati sui G.50.
Scopo dell'arrivo era l'aver personale valido da inserire in uno stormo d'assalto che stava per gustare “a go-go” gli ultimi residuati racimolati un po' dovunque.
Sotto gli occhi di tutto il 50° Stormo vi fu una specie di esame.
Il primo, in ordine di tempo, decollò con manica a novanta (vento di traverso a 90°):
vuoi per l'emozione di sentirsi osservato, vuoi per le sberle secche che sembravano volergli impedire la salita, si impapocchiò in un errore grande come una casa: non rientrò il carrello. Avendo cura di mettersi controvento sulla direttrice picchiò per circa 500 m senza prendere la velocità rituale.
Tirò su e quando fu rovesciato si ritrovo in un assetto piuttosto critico:
appeso come un salame con poca velocità e il motore che stava sbuffando e starnutendo.
Ma non tirò la «cloche” nemmeno in quell'occasione e, secondo lui, fu la salvezza;
per evitare la “piantata” chiuse bravamente manetta.
Spanciando sempre in assetto rovescio mise pian piano il muso sotto l'orizzonte e giù «in candela”.
Una richiamata, un “tonneau” per parte, un mezzo rovesciamento e giù all'atterraggio.
La mana corse alla leva del carrello e, come si suol dire, gli venne un colpo.
Mentre rullava per tornare in linea riviveva e vagliava le sue sensazioni.
Lassù aveva certo notato un comportamento anormale, un miscuglio di inerzia, di durezza sui comandi, di carenza in velocità, ma si era accontentato della prima giustificazione affacciata alla mente:
« chissà che brocco mi hanno rifilato ...
Per molti era stata “un'esibizione assurda”, una “bravata”;
qualcuno aveva creduto alla verità.
In confidenza, solamente quel pilota non sapeva cosa raccontare a se stesso.
Per lui il Gigetto era diventato una specie di padre di famiglia, forse pilotato dall'angelo custode.
Eppure si rimorchiava dietro una lunga scia di incidenti e di lutti.
Questo «Parere del pilota», senz'altro molto vivo anche se basato su ricordi di oltre trent'anni fa, è quello del comandante Sandro Grena, pilota della 376.a Squadriglia, che ebbe modo di accumulare una certa esperienza con il primo caccia italiano della «Serie 0».
Aerei, Marzo 1977