Il grado di sviluppo industriale di una provincia ad economia tipicamente agricola, come quella di Reggio Emilia era, negli anni che seguirono la raggiunta unità politica d’Italia, quasi trascurabile.
Le poche attività di carattere industriale riguardavano la trasformazione di materie animali, la lavorazione di materie vegetali, l'estrazione di sostanze minerali:
caseifici, piccoli stabilimenti di manipolazione delle carni suine, di filatura della seta, della concia delle pelli, alcune tintorie e cartiere, stabilimenti per la fabbricazione dei mattoni, della calce, del gesso, del cemento.
Intorno al 1870 la manodopera complessivamente impegnata in tali occupazioni era di poco superiore alle 3000 unità;
in quegli stessi anni la popolazione della provincia era di circa 350.000 abitanti.
Nonostante il fiorente sviluppo raggiunto dall'agricoltura, lo squilibrio tra l’incremento della popolazione e le reali possibilità di occupazione aumentò di intensità negli ultimi decenni del secolo.
La capacità di assorbimento delle poche industrie esistenti si manteneva assai limitata, mentre mancavano completamente nuove iniziative.
Per tali ragioni più grave era la situazione della città rispetto a quella del contado;
La Giustizia, quotidiano socialista cittadino, richiamava l'attenzione dei suoi lettori sul fenomeno:
“ avete mai pensato... che tutta o quasi tutta la ricchezza del nostro comune viene dalle ventisette ville che circondano la nostra città e dove lavorano due terzi della popolazione?
La città non ha industrie e vive a spese della campagna”.
La Reggio industriale di fine '800 era infatti così ironica mente presentata:
“ una fabbrica di fiammiferi e di spazzole del sig. Agazzani, una modesta fabbrica di forme da scarpe, una latteria del sig. Arturo Faccioli:
ecco l'industria reggiana.
Un esercito di poveri e di assistiti figurava iscritto nei registri delle Congregazioni di Carità e delle Opere Pie.
La piaga dell'accattonaggio affliggeva la città, e nel periodo invernale, quando, per la cessazione dei lavori stagionali in campagna , la situazione diveniva più critica, per i molti prestatori d'opera disoccupati un'abbondante nevicata poteva rappresentare una vera risorsa. Costretta a vivere in quelle condizioni di disoccupazione cronica e di sottoccupazione, la maggior parte dei proletari abitava dimore denunciate da qualche opuscolo del tempo come:
“ tuguri e ricetti degni, più che d'esseri ragionevoli, di immondi animali”.