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    Gregory "pappy" Boyington

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    Messaggio  Green_Group Mer Ott 22, 2008 10:45 pm

    Gregory "pappy" Boyington I338214_pappyboyingtonf2
    Finalmente a destinazione
    Rangoon, verso la meta di novembre 1941.
    Fummo felici di tornare a terra, perche eravamo aviatori, non marinai.
    Lasciammo la Bosch Fontein con grandi abbracci e saluti all'equipaggio con il quale eravamo stati in ottimi rapporti.
    Giurarono che sarebbero tornati a prenderci al termine del nostro lungo contratto di lavoro.
    Pieni di emozione, cercammo di ottenere informazioni sulle attività dell'AVG, parlando tutti contemporaneamente ai pochi rappresentanti del gruppo che si trovavano a Rangoon in quel momento.
    Ne cavammo ben poco.
    Il nostro centro di istruzione, o come lo chiamavano, si trovava nel centro della Birmania, a meta strada per Mandalay.
    Saremmo partiti in treno quel pomeriggio.
    I libri di geografia che descrivono l'Oriente di solito tralasciano il capitolo sugli odori.
    Rangoon, ad esempio, era calda, sporca e puzzolente e molti degli abitanti si trascinavano per le strade affetti da elefantiasi.
    Lo giuro, vedemmo un’ indiano cosi malamente colpito da avere le parti intime tanto gonfie da farci pensare che avrebbe fatto bene a procurarsi un carretto per portarsele appresso.
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    Messaggio  Green_Group Mer Ott 22, 2008 10:48 pm

    Gregory "pappy" Boyington Pappyboyingtonf2st9
    Il nostro piccolo distaccamento aveva ordine di te nersi unito fino all'ora della partenza, nel pomeriggio.
    E così non mi ero ancora liberato del colonnello Smith, come speravo.
    Pensai che in fondo potevo sopportare la sua disciplina ancora per un po'.
    Nell' A VG avrei incontrato altri due Smith, perchè è un nome molto comune.
    Tutti e due i nuovi Smith erano tipi formidabili; molto più giovani di quello che mi aveva fatto da bambinaia.
    E la differenza tra i due Smith era già stata organizzata prima che arrivassi:
    uno veniva chiamato Bob e l'altro R.T.
    Mentre aspettavamo il treno restammo rinchiusi al Silver Grill, requisito dai piloti.
    Uscimmo sol tanto per procurarci abiti tropicali, giacche e shorts.
    Il Silver Grill era un ristorante o meglio l'unico cosiddetto night club della grande citta.
    Finì col diventare il luogo di ritrovo dell'AVG, quando fummo finalmente trasferiti a Rangoon.
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    Messaggio  Green_Group Mer Ott 22, 2008 10:49 pm

    Finalmente arrivammo nella zona centrale della Birmania, in un piccolo villaggio chiamato Toungoo.
    A Toungoo trovammo soltanto capanne di sterpi e la pista che aveva costruito la RAF.
    Ma c'erano i nostri apparecchi e gli altri membri del gruppo, arrivati in Oriente nel maggio e nel giugno 1941.
    Ci assegnarono delle baracche col tetto di paglia e pavimenti di legno, senza vetri alle finestre.
    L'aria era la cosa più importante.
    Ma ogni notte, migliaia di squadriglie di zanzare ci attaccavano.
    Quegli infernali insetti incominciavano al tramonto e lavoravano coscienziosamente fino all'alba del giorno seguente.
    Il calore era così snervante che, ad esempio, non riuscii a trovare la forza di alzarmi dalla cuccetta mentre alcuni degli altri piloti erano occupati a uccidere un cobra nella baracca vicina.
    Il morso di uno scorpione non è mortale, ma può essere terribilmente doloroso.
    Un mattino, dimenticai di scuotere la camicia prima di indossarla e per due giorni mi portai sulla schiena un bozzo grosso come un melone.
    Non c'e da stupirsi se alcuni dei componenti del primo gruppo se ne tornarono a casa disgustati.
    Sei mesi di attesa.
    Niente da fare.
    I monsoni dovevano sfogarsi, prima che i piloti potessero volare.
    Ci informarono che il nostro distaccamento si componeva di cento piloti e di circa altri duecento addetti ai servizi a terra.
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    Messaggio  Green_Group Mer Ott 22, 2008 10:50 pm

    Finalmente, nella prima settimana di dicembre i nostri apparecchi furono pronti per l'azione.
    Erano dei p 40, equipaggiati sul posta con mitragliatrici, serbatoi che si risigillavano automaticamente e corazze in modo da trasformarli in apparecchi da combattimento.
    Questi P .40 erano stati prestati all'Inghilterra e poi restituiti.
    Erano cento.
    E fu tutto quel che l'AVG riuscì ad avere.
    Sul muso dei P .40 vennero dipinti dei musi di pescecane a colori vivaci, un idea presa da una fotografia di rivista, di un P 40 nel Nordafrica.
    Poichè non avevo mai volato con un motore raffreddato a liquido, non sapevo niente della loro manovra e ancora meno della manovra di quei congegni corazzati dietro il seggiolino del pilota, con armi e munizioni, e tutte le modifiche che non erano state prese in considerazione quando avevano progettato il velivolo.
    I piloti che avevano gia volato, dicevano che queste «Pinne di pescecane» avevano la spiacevole abitudine di andare in vite con quelle impreviste modifiche, e che se non si era a una quota sufficiente, diventava praticamente impossibile uscire dall'avvitamento.
    A sostegno delle loro affermazioni, c'erano parecchie lapidi.
    Un giorno, dopo un controllo da parte di un pilota qualificato, feci il mio primo volo.
    Il P 40 revisionato non mi sembrava troppo strano, considerando che non ne avevo mai pilotato uno e che non volavo da tre mesi.
    Tutto andò bene fino a quando non mi presentai per l'atterraggio.
    Ero abituato ad effettuarlo «seduto» e perciò cercai di mettere a terra il P 40 sulle tre ruote contemporaneamente, nonostante mi avessero impartito istruzioni diverse.
    Per colpa della mia testardaggine presi un «bum» colossale, rimbalzando fuori pista.
    Detti di colpo tutto motore, e la violenza della manovra fece saltare in pezzi il manometro dell'alimentazione, il cui vetro si ruppe.
    Quando mi ripresentai per il secondo tentativo di atterraggio seguii le istruzioni ricevute e tutto andò bene.
    Quando arrestai il velivolo al parcheggio mi venne detto che «non si può manovrare così brutalmente quella maledetta manetta del gas, come si fa con quei maledetti velivoli della marina i cui motori sono raffreddati ad aria ».
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    Messaggio  Green_Group Mer Ott 22, 2008 10:51 pm

    Dopo colazione Jim Cross andò in volo con lo stesso P 40 ed il motore piantò secco.
    Jim riuscì a portarlo in una risaia dove cappottò.
    Non si fece nulla di male, ma io mi sentii piuttosto avvilito perchè l'unico uso ancora possibile della macchina fu quello di fornire parti di ricambio.
    Questa sensazione mi abbandonò ben presto, quando seppi che non ero il solo e che anche il comandante di squadriglia aveva sfasciato tre P 40 in modo tale che non erano stati più utilizzabili che come forniture di parti di ricambio.
    Un pilota aveva cinque bandiere americane dipinte sul suo apparecchio perchè aveva sfasciato cinque P 40, e questo faceva di lui un asso giapponese.
    In fondo, era l'unico modo per procurarsi pezzi di ricambio perchè dagli Stati Uniti non ne arrivavano.
    E in definitiva era abbastanza umano augurarsi che questi pezzi li fornissero altri e non noi stessi.
    Le squadriglie erano tre, composte di venti apparecchi l'una.
    Alla fine della prima settimana di dicembre rimanevano intatti sessanta piloti e sessanta P 40.
    Le squadriglie si chiamavano prima, seconda e terza nel limitato lavoro d'ufficio che il gruppo doveva sbrigare.
    Ma per noi piloti erano Adamo ed Eva, i Panda e gli Angeli dell'inferno.
    Il nostro distaccamento composto di ventisette elementi fu suddiviso in tre gruppi di nove, assegnati ciascuno a una delle tre squadriglie.
    La mia era la Adamo ed Eva, la prima squadriglia caccia, e, tra parentesi, la prima caccia della quale si sappia.
    Poco dopo il mio arrivo a Toungoo, incominciai a provocare una certa costernazione nel cosiddetto comando del gruppo, anche se Chennault non mi disse mai nulla.
    Secondo me, la maggior parte del personale a terra rifilato a Chennault erano fresconi asiatici di prima scelta.
    Quando si rese conto che non avremmo accettato ordini da quell'accozzaglia, Chennault dovette riunire tutti noi piloti e raccontarci la triste storia:
    «Mi avevano promesso un personale militare competente ma tutti quelli decenti sono fossilizzati in America.
    Devo fare quel che posso con quel che sono riuscito a procurarmi qui.
    E vi chiedo soltanto di capire e di aiutarmi a tirare avanti ».
    Il suo discorsetto mi colpì a fondo, ma non riuscivo a digerire il fatto che il personale del comando a terra superasse quello dei piloti combattenti.
    Forse, pensavo, ce ne volevano tanti perchè in dieci riuscivano a fare il lavoro normale di uno solo.
    Per il momento non avevo ancora scoperto che cosa facessero, a parte il presentarsi puntuali all'ora dei pasti.
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    Messaggio  Green_Group Ven Ott 24, 2008 10:56 pm

    Harvey Greenlaw, l'autodidatta ufficiale comandante, si faceva chiamare colonnello Greenlaw, anche se nessuno voleva saperne.
    La sua abitudine di tirar fuori continuamente la corte marziale per minacciare un gruppo di civili, mi dava impressione che, ai suoi tempi, dovesse esserci passato per un pelo.
    Il poveretto dava l'impressione di odiare tutti.
    Chissà, forse aveva le sue ragioni.
    Harvey voleva addirittura mandare davanti alla corte marziale per comportamento indegno Frankie Croft e me perchè tornammo dal villaggio indigeno di Toungoo tirandoci dietro due ridacchianti birmani nei loro risciò.
    Li avevamo pagati parecchio per convincerli.
    In fondo Harvey avrebbe dovuto rendersi conto delle difficoltà che avevamo affrontato, nella quasi impossibilità di capirci a vicenda, a convincere quei due a lasciarci fare la gara di risciò con loro a bordo.
    Naturalmente questo avvenne prima che entrassimo in azione e immagino che Harvey ci tenesse a sentirsi importante.
    E in seguito ce ne furono di occasioni nelle quali avrebbe ,potuto fare la faccia feroce.
    Ma in quei momenti, riuscivo sempre a convincere Harvey a cambiare idea, con una delle mie adeguate espressioni.
    Una, che usai spesso, era: «Squaglia, Greenlaw, o ti ripiego la dentatura ».
    E, occupato a meditarci sopra, dimenticava la corte marziale.
    Molto spesso aerei giapponesi passavano sopra di noi a considerevole altezza, probabilmente per fare fotografie.
    Non si avvicinarono mai abbastanza da permetterci di dar loro una buona occhiata.
    Secondo me, ridevano e pensavano ai danni che pochi piccoli apparecchi avrebbero potuto causarci.
    Non volavamo mai fuori della zona di Toungoo e non avevamo modo di sapere quel che accadeva nel territorio occupato dai giapponesi nella vicina Tailandia o nell'Indocina francese.
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    Messaggio  Green_Group Ven Ott 24, 2008 10:57 pm

    E finalmente s'incomincio a fare qualcosa: la guerra per gli Stati Uniti.
    Tutti dormivano sodo nelle baracche coperte di paglia.
    Poi, nell'oscurità, ci furono i bagliori nelle lanterne in movimento.
    Sentii la voce eccitata di Harvey che gridava:
    «Pearl Harbor è stata attaccata! Pearl Harbor è saltata in aria! Sveglia! Presto! Decollate appena possibile ».
    «A Harvey gli ha dato di volta il cervello! » pensai, e cosi pensarono gli altri.
    Ma eravamo svegli.
    Tanto valeva alzarsi e probabilmente ero curioso di vedere dove avrebbero rinchiuso il povero Harvey.
    Ma non era uno scherzo.
    Era tutto vero. La guerra. La radio diffondeva la notizia.
    Ci ordinarono di decollare appena possibile.
    Santo Dio, che cosa potevamo fare? Era buio pesto. Quel campo non aveva neanche installazioni luminose.
    In seguito seppi che volevano levare da terra gli apparecchi, nel caso i giapponesi avessero in programma un attacco simultaneo.
    (La ragione dell'oscurità era la differenza oraria tra Pearl Harbor e Toungoo).
    Un certo numero di piloti decollò con i motori Allison che tossivano e sputacchiavano perchè non li avevane riscaldati abbastanza.
    Alcuni apparecchi non ne vollero addirittura sapere di alzarsi da terra e andarono a fermarsi con grandi rumori di ferri sfasciati, con il carrello scassato e le eliche con torte, in fondo alla pista.
    A questo punto, nella confusione più selvaggia, quanti tra noi non erano ancora in movimento ricevettero l'ordine di spegnere i motori e quelli già in aria, di scendere.
    Avevano deciso che era meglio correre il rischio di un bombardamento giapponese dall'aria piuttosto di perdere tutti i, velivoli nell'oscurità.
    E fu una saggia decisione perchè, in quella zona oscurata e in una notte come quella sarebbe stato un miracolo ritrovare la strada del ritorno e atterrare senza scassare.
    Durante quella nera notte di confusione, nessuno dormì.
    La mattina seguente ci trovò ancora in uno stato completo sbalordimento, ma finalmente incominciammo a rendercene conto:
    quel che eravamo venuti a fare, i nostri programmi, tutto, era stato cambiato dai giapponesi.
    In breve , questo voleva dire la fine del nostro piano di addestramento, ancora prima che cominciasse.
    Eravamo in allarme.
    Invece dell’offensiva gloriosa che avevamo in programma eravamo semplicemente sulla difensiva
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    Messaggio  Green_Group Ven Ott 24, 2008 10:58 pm

    Gregory "pappy" Boyington Pilots
    La nostra prima squadriglia caccia era divisa in due gruppi di dieci, perchè i nostri P 40 sarebbero stati a corto di carburante all'arrivo a Rangoon e non volevamo mettere tutte le uova nello stesso cesto.
    I due gruppi partirono a venti minuti l'uno dall'altro e il secondo doveva arrivare al tramonto.
    Toccò a me di portare questa metà della nostra squadriglia perchè Sandell stava a molte miglia davanti a noi e non lo si vedeva più.
    Pensavo al personale di terra e ai pochi rimasti del comando che ci avevano salutati al decollo.
    Per la maggior parte, il saluto voleva dire:
    «Spero che torniate vivi ».
    Altri invece pensavano:
    «Spero che non torniate mai più ».
    Andassero all'inferno. Andassero tutti all'inferno.
    Tuttavia il mio dovere, passati i venti minuti di attesa, era di condurre l'altra metà della squadriglia a Rangoon.
    Sapevo di dover preparare minuto per minuto il mio piano di navigazione e il tempo di rifornimento a Lashio, per riuscire ad arrivare a Rangoon poco prima del tramonto.
    Non dopo.
    Nelle basse latitudini, il crepuscolo non esiste.
    Quando il sole tramonta, si ha l'impressione che qualcuno l'abbia coperto di colpo con un secchio.
    In quei luoghi, c'e un fattore senza dubbio favorevole ai navigatori inesperti, come sulla costa orientale degli Stati Uniti, dove avevo quasi sempre volato.
    La declinazione della bussola è zero gradi, grazie a Dio.
    Insomma, atterrammo al campo di Mingaladon poco prima del tramonto il 2 febbraio 1942.
    Dopo l'atterraggio e il rifornimento, disperdemmo i nostri velivoli intorno nel campo; trascorremmo la serata nella mensa ufficiali della RAF, al campo.
    Bevemmo, tutti insieme, RAF e AVG, cercando di raccogliere tutte le informazioni possibili dai piloti che erano stati in azione, qualsiasi cosa sapessero dei metodi degli aviatori giapponesi contro i quali avremmo combattuto.
    Più parlavamo e bevevamo, più diventava chiara l'importanza di queste informazioni, perchè soffitto e pareti della mensa erano lì ad attestare che non si trattava di un giochetto.
    I nipponici facevano sul serio.
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    Messaggio  Green_Group Ven Ott 24, 2008 10:59 pm

    La mensa, risparmiata dalle bombe, era perforata da pallottole di mitragliatrici.
    Al bar, si doveva stare attenti ai gomiti perchè c'era il rischio di buscarsi una scheggia di legno.
    Quando domandai come annunciavano l'allarme, un allegro pilota dell' A VG disse: «Molto tempo prima che la RAF si decida a segnalare l'allarme, vedrai due Brewster che decollano diretti a occidente, senza badare alla manica a vento. E' il segnale ».
    I giapponesi venivano da est.
    E in fondo non potevo biasimare i due piloti inglesi dei Brewster superstiti, poichè quegli apparecchi avevano già dimostrato la loro inefficacia.
    Prodotto in America, e prestato all'Inghilterra, il Brewster si era rivelato del tutto negativo in combattimento.
    Capita spesso che un velivolo renda meglio di quanto non fosse previsto sulla .carta, come spesso capita l'opposto.
    La mia comprensione aumentò ancora in seguito quando scoprii che un'intera squadriglia di Brewster dei miei vecchi compagni del corpo dei marines alle Midway, aveva un solo superstite.
    In quella squadriglia avrei potuto essermi trovato anch'io.
    Questo solitario superstite, il mio amico Slim Erwin, aveva detto:
    «i giapponesi hanno sforacchiato il mio Brewster con tante raffiche che mi hanno creduto morto, altrimenti non sarei tornato neanch'io ».
    Un altro pilota dell'AVG, evidentemente anestetizzato dall'ottimo scotch, disse:
    «I giapponesi manovrano meglio, ma nessuno riesce a star dietro a un P 40 quando si mette in picchiata ».
    Questo era vero e, finche non entrarono in lizza i Messerschmit 109E, un pilota del P 40 poteva andarsene in picchiata quando voleva.
    I P 40, lenti a cabrare usarono questa manovra evasiva fin quando un pilota di un ME 109E non mostrò sportivamente quel che poteva fare il nuovo apparecchio, apparso per la prima volta nel Nordafrica.
    La storia me la raccontò di prima mano il pilota sudafricano che, mentre scendeva diritto in picchiata, si era visto superare dal pilota tedesco che sollevò due dita della sinistra nel V della vittoria.
    C'era il grosso Gunverdal con il sorriso sulla faccia simpatica, con tutta l'aria di un porco che guarda il truogolo pieno di sbobba.
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    Messaggio  Green_Group Ven Ott 24, 2008 10:59 pm

    Gunny disse qualcosa che non dimenticherò mai:
    «Non credevo che fosse umanamente possibile infilare tutti i miei cento chili sotto uno di quegli elmetti di latta. Ma ti assicuro che ci sono entrati, quando i giapponesi hanno bombardato il campo, a Natale ».
    Più tardi seppi che Gunverdal, lasciato l'AVG, aveva ottenuto il posto di pilota collaudatore negli Stati Uniti ed era morto durante il collaudo di un nuovo velivolo.
    Dopo aver bevuto tutto lo scotch che osai bere, mi accompagnarono agli alloggi della RAF dove avrei dormito per un po' di tempo.
    La mensa sembrava la terra di nessuno, ma le baracche erano ancora peggio.
    Oltre alla ventilazione da mitragliatrice, una bomba inesplosa aveva attraversato il tetto, i due piani dell’edificio e riposava infilata nella terra al di sotto.
    Dormimmo con in casa un cartello che diceva: ATTENZIONE BOMBA INESPLOSA.
    L'indomani scoprii che c'erano molte zone vietate, dove la RAF non aveva ancora trovato il tempo per disinnescare le bombe.
    Sul campo di Mingaladon giacevano qua e là alla rinfusa gli scheletri degli apparecchi bruciati e di alcuni capannoni restavano soltanto mucchi nerastri.
    In molte occasioni l'AVG aveva tentato di inseguire i bombardieri giapponesi durante la notte, ma in seguito tutti i voli notturni furono sospesi.
    Una di quelle notti, alcuni piloti aspettavano seduti in automobile che un P 40 atterrasse dopo uno di questi tentativi.
    Un altro pilota dormiva sui sedile posteriore della stessa macchina.
    Un altro, rendendosi conto che il P 40 stava per atterrare fuori pista, urlo: « Fuori! » e poco dopo, ripulendosi gli abiti dalla terra, ridevano e si complimentavano a vicenda di averla scampata bella:
    l'elica del P 40 aveva affettato l'automobile, ormai vuota.
    Pochi minuti dopo, gli stessi piloti domandarono agli inservienti della RAF se l'automobile dalla quale erano saltati fuori così tempestivamente era stata rimossa dal campo.
    E ricevettero una risposta che li lascio sbalorditi.
    «Già fatto, ma che cosa dobbiamo fare del cadavere che c'e dentro?»
    Ho dimenticato il nome del pilota che dormiva sul sedile posteriore.
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    Messaggio  Green_Group Ven Ott 24, 2008 11:11 pm

    Gregory "pappy" Boyington Boyingtonavg
    I primi giorni a Rangoon trascorsero senza avvenimenti di particolare importanza. Dovevamo procurarci i lasciapassare della RAF, con le solite fotografie e impronte;
    andammo alla garitta, all'ingresso del campo di Mingaladon e ci trovammo un indigeno, raggomitolato in modo grottesco, morto, perchè non aveva capito l'ordine delle sentinelle all'ingresso.
    In quella zona erano tutti molto nervosi.
    Poi, un mattino, verso le dieci, dopo tre giorni di calma relativa, vidi i due Brewster decollare verso ovest.
    Pochi minuti dopo ci fu l'allarme perchè il radar di controllo della RAF aveva localizzato un aereo non meglio identificato.
    Oh, era proprio quel che avevo aspettato per tanto tempo.
    Salimmo con dieci dei nostri P 40, otto in formazione stretta, con uno dei veterani di Jack Newkirk come guida e Cokey Hoffman e un altro pilota di copertura a trecento metri al di sopra.
    Gli occhi di una formazione, devono essere quelli del capo perchè gli altri stanno attenti all'apparecchio che vola accanto.
    Nessuno di quella formazione era mai stato in combattimento;
    seguivamo alla cieca, fiduciosi che il nostro capo sapesse dove ci portava.
    Dalla cuffia uscì il confuso annuncio « quaranta o sessanta banditi» e la posizione approssimativa, che cambia va man mano.
    Poi il capo formazione annuncio: «Li vedo. Quaranta o cinquanta I-97».
    L'I-97 giapponese era un velivolo monoposto, molto maneggevole e con carrello fisso. Nella foschia che ci stava sopra, finalmente riuscii a scorgerli, per perderli di vista poco dopo, mentre salivamo contro sole, ormai piuttosto alto.
    Non toccava a me far domande, ma non riuscivo a capire perchè si continuasse a salire, con il sole negli occhi e quelli al di sotto.
    Speravo che colui che ci guidava sapesse il fatto suo.
    Ancora pochi minuti, poi ci trovammo direttamente al di sotto dei caccia giapponesi, dovevano essere seicento metri.
    Che razza di posizione scomoda!
    Quel fesso non capiva dove ci portava?
    Più tardi scoprii che anche per lui era il primo combattimento.
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    Messaggio  Green_Group Ven Ott 24, 2008 11:12 pm

    Il capo non era uno dei vecchi di Newkirk, ma uno dei nostri.
    I miei pensieri si interruppero di colpo, quando vidi i giapponesi virare lentamente sul dorso, in un breve luccichio.
    Poi vidi soltanto le parti corazzate e il fumo e le traccianti delle mitragliatrici giapponesi.
    Il P 40 di Cokey, al di sopra di noi, sembrava proprio un pesce che si contorcesse nell'agonia fuori dell'acqua.
    Guardai con la coda dell'occhio e l'intera formazione con la quale mi trovavo un secondo prima era scomparsa.
    Andavano giù dritti verso la cara madre terra.
    Mi tirai di lato e giù per levarmi di sotto ai giapponesi in picchiata.
    Che sollievo aver soltanto l'aria al di sopra di me.
    Poi scorsi una coppia di giapponesi di lato, diedi gas e seguii in coda.
    Uno dei due cabrò quasi perpendicolare al di sopra del mio P 40, mentre attaccavo l'altro con le mie traccianti.
    Dovevo cessare il fuoco e virare, altrimenti il giapponese che avevo sopra mi piombava diritto addosso.
    Ero tanto intontito da non riuscire a vedere se avevo messo a segno le mie raffiche sull'I 97.
    Ero intontito e le traccianti arrivavano sempre più vicine al mio aereo;
    finalmente mi trovai naso a naso con le mitragliatrici di un altro.
    «Fottuta schifezza », pensai, e me ne andai in picchiata.
    Vero che, trovandosi a un'altezza sufficiente, nessuno poteva seguire un P 40 in picchiata.
    In quel momento, avrei dovuto rendermi conto che la tattica della formazione chiusa alle quali ci avevano preparati con tanta cura, servivano ben poco con i giapponesi e probabilmente furono soltanto l'orgoglio e la presunzione che mi spinsero a riprovarci, anche se non avevo la più vaga idea di dove fossero finiti i miei compagni.
    Ricominciai, attento a picchiare più veloce, da trecento metri al di sopra.
    Mi avvicinai al caccia nipponico che mi permise di accostarlo tanto da potergli sparare, poi il piccolo apparecchio mi fece sotto il naso il più bel dietrofront che mai abbia visto e poi scoprii che stava virando di nuovo, in compagnia dei suoi compagni di gioco.
    «E chi diavolo ha detto che quei piccoli fetenti non sanno volare! Al diavolo tutti!» pensai e mi buttai in picchiata.
    Il denaro del premio speciale per ogni aereo abbattuto si dissolse nell'aria, insieme con l'ultima delle mie illusioni.
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    Messaggio  Green_Group Ven Ott 24, 2008 11:13 pm

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    Forse non vale la pena ricordarlo ora, ma mentre tornavo al campo di Mingaladon, mi accorsi che qualcosa mi pungeva come uno spillo nell'interno del braccio sinistro. Arrotolai la manica della giubba e scoprii la causa:
    una 7,7 millimetri aveva colpito il mio P 40 e avevo la pallottola infilata nel braccio.
    Sfilai delicatamente la pallottola con l'intenzione di conservarla come ricordo, ma cambiai idea.
    Il nostro gruppo non riceveva decorazioni, ma la pallottola era del tipo incendiario e il materiale chimico che ancora conteneva lasciò una grossa cicatrice, simile a quella della vaccinazione: come ricordo bastava.
    Al campo, c'era un quadro di completa desolazione.
    Ricordo vagamente quelli che mi dicevano quanto erano pentiti degli errori commessi e quanto erano felici che fossi tornato perchè ormai mi consideravano abbattuto. Ricordo, come una visione dell'altro mondo, Bob Prescott, in piedi sull'ala del mio apparecchio al limite della pista.
    Molti anni dopo, Bob mi disse che avevo alzato la testa e gli avevo detto:
    «Piuttosto scarsi, eh, socio?» Servì a tirargli su il morale.
    Non ricordo le parole, ma so che la pensavo così.
    Mi odiavo tanto che non mi diedi neanche la pena di scrivere il rapporto del primo scontro perchè quella storia poteva accadere ad altri, ma non a me.
    Una delle mie maggiori debolezze è sempre stato l'orgoglio.
    Ma non so proprio come potessi sentirmi ferito nell'orgoglio, quando il giorno dopo dovemmo seppellire il povero «Cokey» Hoffman.
    Mentre guardavo la fossa appena scavata e la bara di Cokey la accanto, ero nervoso e sudavo.
    Il prete inglese borbottava sotto il sole cocente e la cerimonia sembrava interminabile. In fondo lui non lo aveva mai conosciuto come noi.
    Quando ci accingemmo a calare Cokey per il definitivo riposo, ci accorgemmo che la fossa verso il fondo diventava troppo stretta e la bara si incastrò.
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    Messaggio  Green_Group Ven Ott 24, 2008 11:14 pm

    Il Sacerdote si accorse della tensione che ci prendeva e disse sottovoce:
    «Andate pure, ora. Ci occuperemo noi del resto ».
    Ci allontanammo accendendo le sigarette e lasciammo il vecchio capo pilota.
    Mi parve di sentire la protesta di Cokey:
    «Ehi fetenti, perchè mi avete piantato in asso a meta strada?»
    Nel frattempo, l'atteggiamento dei nostri amici inglesi era cambiato.
    Sembrava che ci vedessero sotto una luce del tutto diversa perchè, a parte un bombardiere solitario che capitava di notte, ormai si sentivano relativamente al sicuro. Dopo l'arrivo della prima squadriglia caccia, in febbraio, durante il giorno neanche un bombardiere cerco di attaccare la città.
    I giapponesi mandavano soltanto sciami di caccia per neutralizzare le nostre difese aeree.
    Gli abitanti di Rangoon, se ne stavano seduti nei patios e contemplavano
    «un gran bello spettacolo »,
    perchè i velivoli si scontravano ormai a una notevole distanza dalla loro cara città. Anch'io fui costretto ad assistere ad alcuni di questi spettacoli da terra perchè era impossibile avere un aeroplano ogni giorno.
    Durante quelle battaglie l'aria si riempiva di scie di condensazione tanto che il cielo sembrava un campo fangoso sul quale un uccello gigante lasciasse le sue tracce.
    Ogni tanto, ma molto di rado, dovevamo correre ai ripari perchè un caccia giapponese scendeva a mitragliare.
    Quando imparammo come combatterli, i caccia nipponici non ce la facevano con noi. Avevamo due mitragliatrici da 12,7 e quattro da 7,7, contro quelle da 7,7 dei giapponesi.
    Avevamo anche piastre corazzate dietro il pilota e serbatoi a chi usura automatica, che i giapponesi non avevano.
    I nostri P 40 erano più veloci degli I-97.
    Imparammo a disperderli per poi colpirli uno alla volta.
    Il P 40 poteva essere colpito malamente e continuare a volare.
    Non viravamo più con i nipponici quando non occorreva; li costringevamo a seguire il nostro gioco.
    Gli spettatori da terra vedevano i nipponici venir giù in fiamme o a pezzi.
    Se non bruciavano completamente in aria, si sentiva una forte esplosione e una colonna di fumo si levava dalla periferia di Rangoon.
    Durante uno di questi combattimenti, Sandell atterrò con un P 40 letteralmente zuppo d'olio.
    Frenò, schizzò fuori dall'apparecchio e corse via come un razzo.
    Subito ci accorgemmo della ragione della sua fuga: un nipponico calava a tutta birra sul P 40 abbandonato, sparando con tutte le armi.
    L'I 97 sfiorò la coda del P 40 e finì in pezzi a pochi metri di distanza.
    Alcuni di noi corsero a vedere se potevamo aiutare Sandy in qualche modo.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:33 pm

    Ci disse che quel giorno aveva fatto fuori tre giapponesi, prima di essere costretto ad atterrare con dei buchi nei serbatoi dell'olio e nel radiatore.
    Volevamo anche dare un'occhiata al caccia giapponese, ma era troppo malridotto per capirci qualcosa.
    E anche il suo pilota.
    Il pezzo più grosso era una minuscola mano sinistra con i tendini spezzati che spumavano fuori.
    Senza dubbio aveva sollevato il braccio per un riflesso inconscio, nell'inutile tentativo di ripararsi la faccia.
    Un altro caccia nipponico, sapendo che non sarebbe più riuscito a rientrare, si buttò deliberatamente contro uno dei nostri velivoli fermo a terra e, davvero, non avrebbe potuto fare di meglio perchè sembrava l'ultimo pezzo di un gioco di pazienza.
    Il pilota aveva fatto il suo harakiri, senza arrecare il minimo danno al nostro aeroplano.
    Sembrava impossibile che l'I 97 fosse riuscito a infilarsi nello spazio disponibile in una qualsiasi direzione a parte quella presa: verticale.
    Due giorni dopo il mio primo scontro, alla stessa ora, i giapponesi arrivarono, come sempre, puntualissimi.
    Se non altro, quelli ci tenevano alla monotonia.
    In quell'occasione, la squadriglia la guidai io e non me ne importava un accidente se quei banditi arrivavano o no a Rangoon.
    Io intendevo soltanto fare in modo di portarmi più in alto di loro e di restarci.
    Riuscimmo a guadagnar quota.
    Tranne Cokey, i piloti erano gli stessi della formazione con la quale avevo avuto il mio primo combattimento.
    Picchiai col mio gruppo sulla formazione giapponese che si disperse allargandosi e perdendo quota sotto di noi: volevano attirare i P 40 alla loro altezza per obbligarli poi ad impegnarsi in virate con loro.
    In seguito, mi abituai talmente a quella manovra delle formazioni giapponesi quando erano sul punto di essere attaccate che, ogni volta, mi sembrava di vedere uno stormo di avvoltoi volteggianti sulla preda.
    Quella volta non ci lasciammo impegnare in virate e ci mettemmo a combattere con metodo, dall'alto in basso.
    Colpii il mio primo giapponese, che esplose in fiamme e, poco dopo, sentii qualcuno gridare alla radio: «Questo è per Cokey, figlio di puttana!»
    Io la pensavo come lui.
    Feci una virata e così avvistai un altro bersaglio sicuro.
    Sparai sul caccia senza fermarmi ad inseguirlo e vidi staccarsi dei pezzi dalla fusoliera. Dopo un secondo anche quel velivolo precipiòo verso terra, avvitandosi e bruciando come una torcia.
    Forse a causa del primo triste scontro o forse perchè non volevamo esagerare, lasciammo andare gli altri.
    Non li inseguimmo.
    Dopo un secondo combattimento, tornammo a Mingaladon in uno stato d'animo ben diverso, perchè ne avevamo abbattuti sedici senza perdere neanche uno dei nostri.
    Mi sentivo molto arzillo, ma non mi permettevo troppo entusiasmo perchè ormai avevo capito che sarebbe stata una lotta per sopravvivere, non per il denaro.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:34 pm

    Gregory "pappy" Boyington Blacksheep2
    Mentre volavo verso la nuova base, nelle isole Russell, accarezzavo molte speranze perchè se quell'agglomerato che chiamavo squadriglia non entrava presto in azione, i miei giorni come pilota combattente erano finiti.
    Lo sapevo.
    Età e grado erano contro di me, ormai.
    Soltanto la fortuna poteva aiutarmi ..
    Il pomeriggio del nostro arrivo alle Russell fui chiamato al comando.
    La prima missione era stabilita per le sette del mattino dopo, 16 settembre 1943. Quella notte dormii poco perchè immaginavo che l'indomani sarebbero stati a guardarci, in attesa di vedere la povera piccola squadriglia andare in pezzi.
    Nessuno, credo, capì quant'ero preoccupato.
    Forse se ne accorsero soltanto gli ufficiali del comando, perchè non feci niente di più che fumare una sigaretta dopo l’altra.
    Ma non era insolito.
    E poi odoravo giusto perchè la sera prima avevo rifiutato il bourbon.
    Il combattimento non mi preoccupava, ma temevo che la squadriglia fallisse o facesse qualcosa di ridicolo.
    Eravamo insieme da poco più di tre settimane (quasi tutte le squadriglie si esercitavano per mesi interi negli Stati Uniti, prima di essere inviate in zona di guerra) e soltanto tre dei miei piloti erano già stati in azione.
    Fu un sollievo momentaneo uscire dall'ufficio e lasciare gli ufficiali del comando. «Moon» aspettava pazientemente in una jeep per portare Stan, me e un paio di piloti in fondo alla pista, dove i nostri potenti Corsair aspettavano come snelli e silenziosi destrieri.
    Quei nuovi apparecchi erano una meraviglia.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:34 pm

    Venti Corsair, cinque pattuglie di quattro nella mia squadriglia e naturalmente venti piloti, dovevano scortare tre squadriglie di bombardieri Dauntless e due squadriglie di aerosiluranti Avenger, centocinquanta bombardieri in tutto.
    La missione doveva distruggere Ballale, una piccola isola a ovest di Bougainville, ben fortificata, tutta aeroporto, più 0 meno come il La Guardia.
    La differenza stava nel fatto che il traffico sarebbe state molto più congestionato quel giorno di quanto non lo sia oggi nella zona di New York, senza l'aiuto del controllore del traffico per guidare la nostra rotta.
    A parte l'assenza del controllo, la nostra azione sarebbe stata ostacolata dal fuoco antiaereo e da Dio solo sa quanti Zero.
    Non ricordo di essermi affatto preoccupato di dover percorrere seicento miglia, andata e ritorno, su e giu per il vecchio arcipelago punteggiato di isolette, quasi tutte in mano giapponese.
    Ma ero preoccupato per la squadriglia, mi domandavo se avrebbe resistito.
    Il primo problema consisteva nel decollare con centosettanta apparecchi da una pista sola, uno dopo l'altro, nel tempo calcolato, in modo da aver abbastanza carburante per il viaggio, più una mezzora o più di volo a tutto motore, durante il combattimento.
    Un motore da 2000 cavalli, a tutto gas, consuma carburante più o meno come se lo si rovesciasse da una diga.
    Girai intorno ai nostri apparecchi, ricevetti i saluti, vidi mani agitarsi, e allora mi calmai un poco.
    Ben presto arrivò il segnale di mettere in moto.
    A uno a uno si accesero, sputando fumo nero.
    I motori tossivano convulsi per un attimo, poi prendevano a rombare sicuri.
    Decollo.
    L'ultimo Dauntless era salito pigramente nell'aria, e girava per unirsi alla formazione. Partimmo a coppie sulla pista di corallo candido, a intervalli di circa venti secondi, e questo era già un'impresa in se stessa perchè nessuno aveva volato per più di trenta ore con quei nuovi velocissimi uccelli.
    Mentre salivamo, virando più stretto dei bombardieri, ci portammo al livello dei velivoli di testa e poi prendemmo posizione, arretrati e più in quota.
    Niente comunicazioni per radio.
    Non avevamo alcuna intenzione di far sapere ai giapponesi della nostra partenza.
    La mia squadriglia si allargò come un ampio ombrello sopra i bombardieri, per mezzo di segnali a mano.
    Passammo anche l'ordine di ridurre la velocità per risparmiare carburante.
    Cominciò la monotona navigazione in formazione di scorta.
    Le immense pale dell'elica giravano così lentamente che mi sembrava di poterle contare al passaggio.
    Il comandante dei bombardieri dirigeva la navigazione.
    Non avevo quel pensiero.
    Finalmente la monotonia cessò:
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:38 pm

    Gregory "pappy" Boyington F662e150d52d970bc96ab74842fd0096
    volavamo sopra strati fioccosi di nubi che richiedevano molta concentrazione per tener d'occhio le ombre dei bombardieri al di sotto.
    Questa parete di nuvole era dovuta al fatto che i bombardieri dovevano volare tra uno strato e l'altro e non c'era abbastanza spazio per mantenerci ben visibili al di sopra di essi.
    Il rischio di rovinare l'importante impresa al decollo era ormai superato.
    Ce l'avevamo fatta.
    E, una volta compiuta la missione, non dovevo più preoccuparmi.
    I Pezzi Grossi non m'interessavano, l'impresa era dedicata ai giapponesi.
    Ma saltò fuori una nuova preoccupazione.
    Con quelle nuvole, i giapponesi non potevano scoprirci.
    Niente azione.
    L'alto comando ci avrebbe senza dubbio rispediti in aspettativa e me a dirigere il traffico.
    Pensai: «Accidenti ... perchè continuo a fare programmi per il futuro, quando so che è inutile? »
    Avevo appena finito di commiserarmi, quando mi accorsi improvvisamente che i bombardieri in picchiata erano scomparsi.
    «Ma che diavolo succede? Siamo sopra l'obiettivo? » mi domandai.
    «Gesu, se li perdo, la sorte meno crudele che mi possa capitare e di non tornare più alla base »
    Mi portai con la squadriglia oltre uno strato sottile, alla ricerca dei bombardieri.
    Uscito all'aperto, il rumore che proveniva dagli auricolari mi ruppe quasi i timpani. Una cosa era certa, il silenzio radio non esisteva più.
    Dopo un paio di frasi come «Calmati i nervi, parla adagio », le parole uscivano più acute e rapide: «E chi è nervoso? Tu, figlio di una ... io no davvero ».
    Poi ci fu soltanto un continuo ruggito.
    Avenger e Dauntless che scendevano in picchiata da tutte le parti, facevano a pezzi quella che era stata Ballale.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:39 pm

    Alcuni risalivano giù dalla picchiata, altri stavano uscendone e altri picchiavano ancora.
    Immensi ciuffi di fumo e di terra punteggiavano l'isoletta.
    Tra il fumo grigiastro, un paracadute bianco si aprì.
    Vidi subito che era da un'altitudine eccessiva.
    Poi un aereo precipitò. Avenger o Dauntless? Chi sa!
    Sopra Bougainville le nuvole erano fitte: da quella parte i caccia nipponici non potevano individuarci.
    Non so che cosa pensassi in quel momento ne quel che facessi.
    Forse guardavo quelli al di sotto un po' come uno spettatore.
    La copertura superiore non poteva essere più alta di cosi.
    Ci abbassammo.
    Poco dopo essere usciti dalle nubi e dal fumo, scoprii che stavamo nel bel mezzo di quaranta caccia giapponesi.
    Noi eravamo in venti.
    C'era uno Zero a dieci metri dalla mia ala destra.
    Vidi soltanto la «grossa palla rossa» che mi volava vicino.
    Probabilmente il pilota non si rese conto di chi ero perchè scosse le ali e questa vuol dire: segui. Poi diede gas e superò il mio Corsair.
    Santo Dio, era successo tanto in fretta che non avevo abbassato gli interruttori dei comandi delle mitragliatrici e del collimatore e neanche caricato le armi.
    Sono tutte cose necessarie quando si vuole sparare.
    Passò un secolo, prima che riuscissi a mettere tutto a posto, ma quando ebbi finito, seguii il nipponico, e come.
    Andò giù in vite, incendiato, a piombo su Ballale.
    Le raffiche delle mie mitragliatrici calibro 12,7, il fracasso e lo spettacolo delle traccianti, mi riportarono a questo mondo.
    Come se mi avessero schiaffeggiato con un asciugamani bagnato.
    Quasi nello stesso attimo, mi volsi a guardare al di sopra della spalla come se la cavava Moe Fisher sul mio fianco, dove avevo visto le traccianti passare sfrigolando.
    E bravo Moe, occupatissimo a riversare una raffica continua in un caccia nipponico, a meno di quindici metri dalla mia coda.
    L'apparecchio esplose in fiamme e il giapponese precipitò in vite verso il mare.
    In quei pochi secondi, la preoccupazione per i bombardieri mi lasciò, tanto più che non li vedevo.
    Vedevo soltanto apparecchi incendiati e fumanti ed erano giapponesi, a quanto sembrava.
    Alcuni scendevano in vite senza controllo, verso la tomba liquida.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:39 pm

    Gregory "pappy" Boyington Wolvesinsheepsclothing
    Conosco ben pochi piloti in grado di ricordare minutamente tutti i particolari di un velivolo nemico col quale siano entrati in contatto, ma accidenti a me, se riesco a ricordare qualcosa di più delle ali, rotonde, quadrate, dei motori raffreddati ad aria, o ad acqua e, naturalmente, l'orrido segno del Sol Levante.
    Dopo pochi secondi di spettacolo da Quattro Luglio; quasi tutti i caccia nipponici scomparvero.
    Ci abbassammo verso il mare, dove i bombardieri rientravano in formazione con lo scopo di proteggersi reciprocamente durante il ritorno.
    Un gruppo di caccia nipponici cercava di ostacolare la loro manovra.
    Volando a una velocità eccessiva per l'approccio, aprii il fuoco contro uno di quei Zero, convinto di vederlo virare a destra o a sinistra, in basso o in alto per evitare il fuoco, una volta colpito dalla prima raffica.
    E invece esplose.
    Esplose così vicino, diritto davanti a me, che non sapevo da che parte scappare per evitare i pezzi.
    E così filai diritto nel centro dell'esplosione, nascondendomi il viso con il braccio nel futile tentativo di ripararmi.
    Non so quel che accadde al mio apparecchio quando il caccia giapponese si disintegrò, ma avevo ammaccature dappertutto, sul motore, sulle ali, sui timoni di coda.
    Con quella manovra poco ortodossa mi trovai separato da Moe.
    Non era davvero la manovra abituale seguita durante le tre settimane di allenamento.
    Quando la sorpresa e la paura iniziale mi lasciarono, ebbi un altro pensiero, qualcosa del quale mi rendevo conto molto più chiaramente di tutti i piloti che mi accompagnavano in quella missione.
    La media dei piloti ha meno di una probabilità su cento missioni di abbattere un apparecchio con una sola raffica.
    Inoltre, quando capita quest'occasione rarissima, nove volte su dieci il pilota e in posizione di inferiorità numerica e questo diminuisce ancora le sue probabilità.
    Un gran numero dei miei errori precedenti mi apparve in un lampo.
    Me ne resi conto ed ero ben deciso ad evitarli e, finchè splendeva il sole, ad aggiungere qualche altra unità al mio numero di apparecchi abbattuti.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:40 pm

    Quando la formazione dei bombardieri era già da un pezzo sulla rotta di ritorno, scoprii uno Zero a pelo d'acqua che tornava alla base dopo aver inseguito i bombardieri fin dove lo giudicava prudente.
    Lo sapevo per esperienza: quando un apparecchio è a corto di munizioni o di carburante, il pilota sta più che può vicino terra per presentare un bersaglio minimo.
    Decisi di scaraventarmi su quel caccia.
    Non cambiò rotta, ma incominciò a girare lentamente:
    «Finche gira, sa di essere in pericolo. Troppo facile ».
    Poi ricordai una cosa dei tempi della Birmania, con le Tigri Volanti, e invertii con violenza la rotta.
    Ed eccone un altro arrivare da dietro.
    Aspettava soltanto che il fesso, io, calasse sul suo compagno.
    Lo attaccai deciso, sfruttando la mia velocità.
    Neri sbuffi di fumo uscirono dai suoi 20 millimetri.
    Le sue traccianti passavano tutte al di sotto del Corsair mentre le mie circondarono il piccolo Zero.
    Quando gli fui abbastanza vicino, scorsi i fori sotto la fusoliera, poi filai al di sotto. L'apparecchio picchiò lentamente, fumando, poi precipitò in acqua, in pochi secondi, senza incendiarsi ne esplodere.
    Cercai inutilmente di individuare l'altro Zero, il bersaglio iniziale dei miei tentativi. Tornai verso est di nuovo, per seguire i bombardieri ormai lontani, e incocciai un altro Zero che tornava a casa a pelo d'acqua.
    Questa volta non c'erano soci.
    Andai giù in picchiata sul mare, direttamente al di sopra del caccia.
    Non capii se il pilota non mi avesse visto o fosse così a corto di carburante da non osare nessuna manovra per cambiare la rotta.
    Una breve raffica delle 12,7, poi fumo.
    Mentre giravo per dargli il colpo di grazia l'apparecchio toccò l'acqua.
    Quando un apparecchio ammara a quella velocità, non rimane in superficie: crolla come un masso e scompare subito.
    In quel momento mi accorsi di non avere carburante sufficiente per il ritorno alla base delle isole Russell, ma potevo andare a Munda, nella Nuova Georgia.
    Munizioni, probabilmente non ne avevo più.
    Lo sapeva il cielo, se avevo premuto il grilletto.
    Ma non mi servivano più munizioni.
    La giornata, però, non era ancora finita, anche se il racconto degli eventi del primo giorno incomincia a diventare un po' monotono.
    Per quel giorno, ne avevo abbastanza, in tutti i sensi.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:41 pm

    Gregory "pappy" Boyington Corsairpappy02
    Per quel giorno, ne avevo abbastanza, in tutti i sensi.
    Quando ero ormai in territorio alleato, scorsi uno dei nostri Corsair diretto a casa, a pelo d'acqua.
    Cercai di raggiungerlo.
    E in quell'istante, dal nulla, uscirono due caccia giapponesi che picchiavano sul Corsair con tutto comodo.
    Era così esaurito che non poteva ne virare ne picchiare.
    neanche con due Zero in coda.
    C'era olio dappertutto, sul plexiglas dell'abitacolo e sui fianchi della fusoliera.
    Senza dubbio era costretto a ridurre la velocità per risparmiare al massimo il motore colpito.
    Ad ogni modo, se non arrivava qualcuno in suo aiuto, il pilota era bell'e andato.
    Filai da dietro, addosso allo Zero più vicino al Corsair.
    Lo Zero cabrò velocissimo (se sanno manovrare!) e quasi verticale nell'aria.
    Tiravo con tanta energia che il mio aeroplano perse velocità ed entrò in vite.
    In quell'istante, vidi lo Zero esplodere.
    Una vite a quell'altitudine minima e una gran brutta faccenda in se stessa e mi sarei sentito peggio se non fossero accadute contemporaneamente tante cose.
    Non riuscii a vedere il velivolo che precipitava perchè ero troppo occupato a uscire dalla vite prima che anche il mio finisse in acqua.
    Pochi secondi dopo, sparai una nutrita raffica contro l'altro Zero che virò verso Choiseul, un'isola vicina in mani nemiche, sprovvista di campo.
    Pensai che l'apparecchio avesse subito danni e il pilota tentasse di atterrare il più vicino possibile a Choiseul.
    Ma non avevo abbastanza carburante da seguirlo per controllare il mio sospetto.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:42 pm

    E non riuscivo più a rintracciare neanche il Corsair macchiato d'olio.
    Non potevo aiutarlo, ma credo che fosse Bob Ewing che non tornò dalla missione.
    Una cosa era certa, quel Corsair lento, crivellato di proiettili non poteva andare molto lontano.
    Quella prima giornata della nuova squadriglia era stata molto pesante.
    Mi accorsi all'improvviso che l'indicatore di livello della benzina tendeva verso lo zero. Diminuii ancora il consumo di carburante e raggiunsi il campo di Munda, o meglio i margini del campo e stavo per entrarvi quando il motore si spense di colpo.
    I serbatoi erano vuoti.
    Gli armieri vennero a ricaricare l'aereo e mi informarono che mi restavano soltanto trenta caricatori calibro 12,7.
    Ero tornato proprio in tempo.
    Forse sbagliavo pensando che tutti i giorni sarebbero stati come quello.
    Ma quel giorno, con cinque apparecchi abbattuti, doveva rimanere il migliore che mai mi fosse capitato in combattimento.
    Sembrava che la guerra l'avessimo vinta noi in quel momento.
    La lentezza con la quale arrivavano le nuove squadriglie dagli Stati Uniti e la fiducia del colonnello Sanderson nella mia capacita, più una certa dose di bluff, erano gli ingredienti necessari che dettero vita alla mia squadriglia.
    Avevano approvato un'operazione a credito: apparecchi, piloti, e perfino il numero della squadriglia, 214, tutto in prestito.
    Ricordo vagamente quella notte, un quartetto composto da Moe Fisher, Moon Mullin, George Ashmun e Bruce Matheson che cantavano in coro sulla branda vicino alla mia. In quel momento il domani, l'avvenire significavano ben poco per me.
    Neanche la possibilità di un risveglio penoso mi preoccupava e così ingoiai un buona quantità di brandy, gentilmente concessoci da Tim Ream, il nostro medico.
    Il brandy ed io ce ne andammo per i fatti nostri.
    Sandy non poteva immaginare che la nostra prima missione sarebbe riuscita così bene, no?


    L'asso della bottiglia
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:44 pm

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    L'alba filtrava dalle finestrelle della baracca Dallas e potevo dormire ancora un poco, volevo riaddormentarmi, chiudere fuori il mondo ancora per un poco, ma non potevo.
    Avevo troppi problemi.
    Prima di tutt dovevo riunire i ragazzi e insegnar loro alcune cose che non erano state eseguite come intendevo io.
    Mentre indossavo la divisa da fatica, giacca e calzoni, pensavo a quel che avrei dovuto spiegare ai piloti.
    La divisa, un affare di cotone verde, era l'indumento più comodo che si potesse indossare, dopo che l'avevano lavato un paio di volte, e comodissimo da togliersi di dosso, se si finiva in mare per un ammaraggio forzato.
    La prima persona che incontrai quel mattino fu il maggiore Stanley Bailey, il mio aiutante.
    Stan era stato promosso maggiore da poco e ne andava fierissimo.
    Sono sicuro che lucidava ogni giorno le foglie d'oro.
    Ed ecco Stan, tutto vestito in cachi, stirato e in ordine e col berretto che ben pochi tra noi si davano la pena di portare.
    Quando notai che aveva anche un piccolo frustino, credetti per un attimo che si trattasse di un'allucinazione, ma no, non lo era.
    Sembrava che Stan avesse aspettato soltanto di diventare maggiore, per poter portarsi dietro il frustino.
    Stan era un bravo ragazzo e un buon pilota, un po' ingenuo, il tipo di uomo sincero con il quale ci si può divertire.
    Gli altri piloti della squadriglia lo ricordavano da Pensacola, dove insegnava volo strumentale dopo il brevetto ottenuto alla scuola di pilotaggio.
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    Messaggio  Green_Group Dom Ott 26, 2008 8:45 pm

    Quando si agitava per qualche ragione, i ragazzi della squadriglia, dicevano:
    «Calma, maggiore.
    Basta ricordare: bussola, manetta e velocità ».

    Moon Mullin, ufficiale addetto ai voli, chiamò i piloti alle nove per una riunione.
    Le facce che mi circondarono erano quelle di giovani allegri e mattacchioni, non quelle che si vedono in tutti i film di guerra.
    Incominciai.

    « Prima dei complimenti e delle critiche, c'e qualcosa che dobbiamo decidere immediatamente.
    Bisogna scegliere un nome per la squadriglia, un nome che si possa stampare. »
    «E come sarebbe, Gramps?»
    «Boyington's Bastards non va.
    Prima di tutto, una squadriglia non deve portare il nome di una persona.
    In secondo luogo, ieri sera un corrispondente mi ha detto che in patria non lo stampano.»
    Tutti si misero a discutere e a dare suggerimenti:
    « Outcasts? »
    «Forgotten Freddies?»
    «Bold Bums?»
    «Ma vadano al diavolo! Faremo tali cose che dovranno stamparlo per forza.»
    E così tornammo al punto di partenza.
    «No, Gramps, ci abbiamo pensato, ne abbiamo trovati anche altri, ma a noi piace il nome che avevamo già.
    E poi ci hanno trattati come bastardi, va benissimo. »

    Potevo rispondere, ma non dissi niente, perchè temevo che mi ridessero in faccia.
    Fin dall'infanzia, i rumori dei treni e dei motori di vario tipo, in molte occasioni mi avevano cullato e il ricordo di quei sogni ad occhi aperti è ancora piacevolissimo.
    La canzone preferita della mia infanzia era:
    Baa, Baa, Blacksheep. «Bee, bee, Pecora Nera, hai della lana? SI, signore, ne ho tre sacchi pieni.»
    E cosi dissi:
    «Sentite, ho un'idea! Qualcosa che si possa usare tra la gente bene educata.
    Qualcosa che la società abbia già accettato ».
    « Okay, fuori, Gramps.»
    «Sentite un po'. Black Sheep. Tutti sanno che vuol dire la stessa cosa di bastardi.
    Ma non ha un significato offensivo e Black Sheep lo possono stampare. »
    «Cribbio, ci piace, Gramps.
    Possiamo inventare uno stemma bastardo, come facevano in Inghilterra.
    Lo useremo come insegna.»

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